The Suicide of Rachel Foster – Recensione

Dopo l’orrore di Daymare: 1998 e Remothered: Tormented Fathers (di cui arriverà il sequel, Remothered: Broken Porcelain), passando per una piccola parentesi comica con The Bookbound Brigade, l’Italia muove un altro passo avanti nel vasto panorama del thriller/horror grazie a The Suicide of Rachel Foster. Sviluppato da ONE-O-ONE GAMES, il videogioco ci si presenta come un walking simulator lungo il quale saremo chiamati a svelare i segreti di un oscuro passato: nei panni della giovane Nicole Wilson, faremo ritorno dopo dieci anni all’hotel di famiglia per venderlo secondo la richiesta della madre poco prima di morire.

C’è una ragione specifica per cui Nicole ha lasciato l’hotel senza più volerci fare ritorno ed è lo scandalo che ha colpito l’astrofisico McGrath, suo padre, rimasto coinvolto in un affaire con una sedicenne – Rachel, appunto – che si sarebbe suicidata dopo che la loro relazione è stata esposta. Tradita e delusa dalla figura che più ammirava, Nicole abbandona l’hotel seguendo la madre, perde qualsiasi contatto con il padre e si reca malvolentieri alla proprietà di famiglia con l’obiettivo venderla e di sfruttare parte del ricavato per fare ammenda, in qualche modo, agli errori del padre, donandoli alla famiglia di Rachel.

Costretta da una violenta tormenta di neve a trascorrere alcuni giorni barricata all’interno dell’edificio, con la sola incorporea compagnia dell’agente FEMA (Federal Emergency Managemente Agency) Irving attraverso l’antenato dei moderni telefoni cellulari, Nicole si ritroverà a indagare su quel passato di cui non ha mai voluto fare parola iniziando a nutrire sospetti sull’accaduto.

Davvero Rachel è morta? Il suo corpo è stato trovato dalla polizia, quindi non ci sono dubbi, eppure qualcuno afferma di averla vista aggirarsi tra i corridoi dell’hotel. Inoltre, strani fenomeni paranormali iniziano a verificarsi la notte, costringendo Nicole a rivalutare le sue convinzioni e pensare che forse, certi scheletri, andrebbero comunque tirati fuori dall’armadio.

Comincia così una serie estenuante di giorni trascorsi a scavare in cerca della verità, mentre i misteriosi fenomeni aumentano d’intensità. Mescolando Firewatch con What Remains of Edith Finch, The Suicide of Rachel Foster mette in scena una storia molto matura e toccante, dove non sempre la verità è ciò che ci viene presentato davanti agli occhi.

L’intera ambientazione del gioco è costituita dall’hotel e il vero nemico si può dire essere la tormenta di neve all’esterno che impedisce a Nicole di lasciare l’edificio: inutile negare che, per atmosfera soprattutto quando inizieranno ad avere luogo le prime stranezze, The Suicide of Rachel Foster ci ha riportato alla mente Shining.

Non abbiamo dubbi su quanto il capolavoro di Stanley Kubrick rientri tra le ispirazioni degli sviluppatori, similmente ai giochi citati poco più sopra, e in questo senso non possiamo dire che il gioco brilli per originalità: tuttavia, il fatto di essersi affidati concettualmente ad altre produzioni, con quel sapore di già visto da qualche parte, non significa che il gioco in sé manchi di una propria anima, anzi, nel caso specifico possiamo dire trattarsi di un notevole passo avanti per i videogiochi italiani.

The Suicide of Rachel Foster riesce infatti a costruire, gradualmente, un’atmosfera inquietante (forte anche dell’audio binaurale che garantisce un’immersività totale) in cui la solitudine diventa la nostra peggiore nemica e vorremmo poter comunicare con Irving più spesso di quanto avviene, fosse anche solo per avere compagnia nelle nostre esplorazioni solitarie.

Diremo di più, il coinvolgimento è tale che vi capiterà di contestare alcune decisioni di Nicole, chiaramente contro i canoni di qualsiasi thriller/horror che si rispetti: andare in giro da sola e decidere di indagare su fatti strani quando cala il sole, abbandonare il rifugio sicuro per rimediare a un problema all’impianto elettrico a notte fonda… insomma, tutte situazioni che in un film ci avrebbero già portato a una morte brutale (e meritata, in un certo senso). Nessuno che abbia a cuore la propria salute, non solo mentale, andrebbe in giro la notte in un hotel abbandonato.

The Suicide of Rachel Foster è un notevole passo avanti per i videogiochi italiani

Probabilmente è proprio su questo bagaglio di cliché ed esperienze che il team di sviluppo fa leva per restituirci la costante sensazione di non essere davvero soli in quell’hotel, sebbene, stando alle parole dello stesso Irving, non vi sia anima viva – né in grado di raggiungere l’edificio a causa della tormenta – per miglia. E dei morti invece che si racconta? Perché circolano voci secondo le quali Rachel sarebbe stata vista aggirarsi nei corridoi dell’hotel, ad anni di distanza dalla sua triste scomparsa.

A livello d’interazione, come in ogni walking simulator, c’è poco che si possa fare oltre a seguire in maniera piuttosto lineare lo svolgimento della trama, che non lascia molto spazio alle intuizioni anche grazie a un memo pronto a ricordarci di volta in volta quale sia il nostro obiettivo successivo. The Suicide of Rachel Foster, del resto, si basa tutto intorno alla sua storia e all’atmosfera che vi crea attorno, usando alcuni espedienti di gameplay per accrescere la tensione che giorno dopo giorno il senso di isolamento concorre ad accumulare.

Non abbiamo dubbi che se, proprio come in Shining, il gioco avesse avuto a corredo anche qualche visione orripilante, l’esperienza si sarebbe radicata ancora più a fondo, ma il bello è proprio questo: un continuo gioco di detti/non detti in cui ci aspettiamo qualcosa che potrebbe non arrivare mai e contribuisce a farci diventare un tutt’uno con Nicole, di cui non vediamo mai il volto proprio per questo. Non per giocare come lei, ma per essere lei.

Sebbene la prospettiva in prima persona favorisca alla base l’immersività in un videogioco, un personaggio potrebbe ugualmente distaccarsi dalla nostra persona per diverse ragioni: Nicole invece, pur prendendo decisioni che nessuno approverebbe in un contesto potenzialmente paranormale, potrebbe essere chiunque di noi. Determinata ad affrontare il suo tragico passato e chiudere per sempre un capitolo della propria vita.

Approvato a mani basse dunque sotto il profilo dell’atmosfera e dell’ambientazione, The Suicide of Rachel Foster perde qualche colpo in termini di narrazione, accelerando a volte alcuni passaggi che avrebbero potuto prendersi più tempo e influenzando così la durata stessa della trama: è vero che, mancando di comprimari al di fuori di Irving, non era facile creare una situazione che non si percepisse troppo diluita, ma l’atmosfera venutasi a creare e la tensione sempre più crescente posta sul giocatore avrebbero potuto essere sfruttati maggiormente.

The Suicide of Rachel Foster è un thriller ben orchestrato

Nel complesso, The Suicide of Rachel Foster è un thriller ben orchestrato, che sfrutta un bagaglio culturale pregresso di horror e situazioni à la Paranormal Activity per instillare nel giocatore la sensazione che debba accadere qualcosa da un momento all’altro: gioca molto bene con la tensione, forte anche di un’ambientazione come l’hotel e della totale assenza di musiche.

Gli unici suoni a farci compagnia nella nostra solitaria permanenza saranno i nostri passi, gli occasionali scricchiolii di un edificio lasciato a se stesso e la rassicurante voce di Irving. Sulla falsa riga di Firewatch, avere qualcuno dall’altra parte che ascolta (e con cui possiamo interagire tramite risposta multipla) è rassicurante ma al contempo contribuisce a generare tensione ogni volta che la chiamata viene appesa. Mentre, come in What Remains of Edith Finch, narrativamente il gioco esplora temi tragici e delicati, magari senza la stessa originalità del lavoro di Black Swan ma dimostrandosi comunque toccante.

Conclusioni

The Suicide of Rachel Foster è un ottimo punto di partenza per ONE-O-ONE GAMES, che si ispira molto sia ad altri videogiochi del suo genere sia a pellicole come Shining per creare una crescente situazione di tensione sulla base di un bagaglio culturale che affonda in anni e anni di horror e thriller paranormali: avremmo preferito una maggior fluidità narrativa nel trascorrere dei giorni, che usa l’escamotage visto nel film di Kubrick ma spezza un po’ troppo la tensione e la continuità.

Allo stesso modo, il gioco avrebbe potuto sfruttare maggiormente quella tensione che concorre a creare, provando a disorientare il giocatore anziché farlo proseguire sui binari della linearità: le fasi di gameplay vero e proprio sono interessanti e avrebbero potuto essere integrate di più, ma ci riteniamo soddisfatti.

The Suicide of Rachel Foster è un “buona la prima” con solo qualche piccola riserva, che ha dalla sua un’ambientazione visivamente molto curata e una storia matura, ma manca di quel guizzo utile a farlo emergere con la giusta grinta. Rimane comunque un prodotto al quale guardare con ammirazione nell’ambito dello sviluppo italiano.

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