12 Giu 2020

The Last of Us Parte II – Recensione

“Ognuno crede di essere nel giusto. Non ci sono i buoni e i cattivi, esistono solo i nemici e i non nemici.” Chiunque abbia colto la citazione, si chiederà quale improbabile comunanza possa esserci tra Final Fantasy VIII e The Last of Us Parte II: ovviamente i due videogiochi non potrebbero essere più distanti fra loro, ma dopo oltre trenta ore, mentre le inconfondibili note di Gustavo Santaolalla ci accompagnano lungo i titoli di coda, troviamo che nessuna frase meglio di questa possa esprimere il nucleo dell’ultima fatica di Naughty Dog. O forse sì, ma è semplicemente la prima e unica a esserci venuta in mente, così abbiamo deciso di assecondare l’istinto.

Parliamo di un videogioco che non ha bisogno di presentazioni, un sequel che molti volevano ma nessuno si aspettava davvero perché il titolo originale si era chiuso talmente bene, nella sua sospensione, da non rendere necessario indagare oltre le vite di Ellie e Joel. Sono stati quattro anni lunghi, flagellati soprattutto nell’ultimo periodo da un forte pregiudizio, dalla sfiducia e da una generale tossicità che non vorremmo riscontrare mai per nessun gioco: parte della community di videogiocatori – in senso ampio – è stata feroce e non lo si può negare, rendendo questo viaggio difficile prima ancora di intraprenderlo.

Ma oggi eccoci finalmente qua per parlarvene nel dettaglio e lo facciamo anticipandovi che abbiamo voluto giocarlo alla massima difficoltà disponibile, disattivando tutti gli indicatori possibili ed evitando di fare affidamento sulla meccanica dell’ascolto: un’esperienza violenta, feroce, spietata e snervante, che intendiamo restituirvi nella sua forma più pura e immersiva. Nessun filtro.

Non è semplice parlare di un gioco come The Last of Us Parte II, profondamente narrativo, senza poter discutere le scelte autoriali adottate. Quello che possiamo anticiparvi è che Naughty Dog è riuscita a rendere le due parti imprescindibili l’una dall’altra. È impossibile, una volta finito il gioco, pensare che possano esistere separate, perché siamo di fronte a un proseguo talmente naturale da non farci più nemmeno sfiorare l’idea che non potesse esistere.

Gli sviluppatori si sono presi tutto il tempo per esaminare le dinamiche create in precedenza, riconoscendo tanto i limiti quanto le possibilità di un primo capitolo che aveva ancora molto da raccontare ma doveva trovare il perfetto compromesso da tra narrazione e gameplay. Ci eravamo lasciati con una situazione sospesa, un tacito accordo fra Ellie e Joel dove noi giocatori avevamo assunto il ruolo di custodi della verità: il mondo muore, i sopravvissuti combattono. Gli anni passano. L’equilibrio di Ellie nella comunità di Jackson è stravolto da un avvenimento che getta le basi per l’intero gioco ma ha radici più profonde che dovremo esplorare, mentre ci impegniamo a rimanere in vita.

E di esplorazione, The Last of Us Parte II, non è assolutamente parco: lasciato il nido sicuro di Jackson per inseguire la nostra vendetta, ci troviamo davanti a un mondo che non ci vuole, pronto a fagocitarci in una desolazione che lascia intravedere cosa c’era prima – ora ridotto ad ampi spazi aperti e selvaggi. I ruderi di una civiltà perduta di cui noi, nel mondo reale, facciamo ancora parte, non si negano a uno sguardo più approfondito, ma è come scrutare in un abisso: non c’è niente al di là che possa darci sollievo, solo un vuoto ancora più grande, un’incertezza in cui decidere se muovere i nostri passi. E similmente al lupo delle fiabe, spalancano le loro bocche pronte a divorarci meglio, nascondendo la chiostra di zanne e lusingandoci con la promessa di risorse che ci aiuteranno a sopravvivere un poco di più.

The Last of Us Parte II è, nella sua interezza, un gioco ad ampio respiro

Mentre il primo capitolo, in un certo senso, rassicurava grazie a una linearità che al contempo guidava anche i nostri passi, qui siamo di fronte a un paesaggio più ad ampio respiro, che dobbiamo piegare al nostro controllo per sfruttare tutti i vantaggi in grado di offrirci. Non lasciatevi ingannare da un’espressione abusata come “open world”, pensate piuttosto a una versione più contenuta delle macro aree di Monster Hunter: World. Ampi spazi entro i quali muoversi, cercare risorse, valutare se e quali rischi correre, persino correre ai ripari (letteralmente) se la situazione dovesse volgere al peggio. Non c’è un unico approccio alla situazione e qui Naughty Dog comincia a sollevare il velo di quell’ambizione alla quale ha sempre accennato parlando di The Last of Us Parte II, in termini di spazi ma soprattutto di possibilità.

Pensiamo all’incredibile beneficio portato dalla verticalità: scalare, saltare, sfruttare le corde per coprire distanze più grandi, sono tutti elementi nuovi non per il videogioco in senso ampio ma per The Last of Us in sé e Naughty Dog costruisce, attorno a queste meccaniche, le ambientazioni che fanno da sfondo al nostro viaggio. Non vogliamo rovinarvi la sorpresa di cosa vi aspetta ma provate a chiudere gli occhi e immaginate: un cielo terso, l’erba che si piega sotto gli zoccoli del vostro cavallo, il profilo degli edifici all’orizzonte; portato dal vento, il rantolo mai sopito di un mondo che non c’è più, quell’attimo sospeso in cui tutto ha smesso di essere come lo conosciamo ed è mutato, cristallizzandosi in una cartolina tragica e affascinante. Nel mezzo noi, padroni indiscussi di una città morta, pronta a offrirci ciò che resta di lei e della sua memoria: le macerie diventano uno spazio nuovo dove muoversi, scoprire le vite che l’hanno animato, chiedersi come sarebbe stato se.

C’è un passato da scoprire e un presente da conquistare, strappandolo dalle mani di un’intelligenza artificiale nettamente migliorata. Sì, perché uno dei maggiori difetti dell’originale era la goffaggine della IA, con Ellie invisibile a nemici ottusi nelle loro reazioni. Clicker compresi, nonostante l’udito sviluppato. Naughty Dog ha raccolto tutto e gli ha dato il giro di vite, arricchendo umani e infetti di sfumature che soprattutto a difficoltà elevata mostrano la loro bellissima complessità. Sopravvivere significa soprattutto improvvisare, adattarsi, correre qualche rischio laddove la pianificazione più precisa non può nulla contro l’imprevedibilità del caso.

Gli umani si dividono in due fazioni: il Washington Liberation Front (WLF) che possiamo inquadrare come un gruppo reazionario nemico della vecchia FEDRA, l’unità militare del primo capitolo; le Iene, o Serafiti, i cultisti che hanno deciso di vivere in comunione con la natura rifiutando qualunque contatto con il vecchio mondo e pronti a eliminare chiunque considerino “perduto”, oltre a combattere gli infetti che considerano dei veri e propri “demoni”. A prescindere dalle loro differenze, gli sviluppatori li hanno plasmati affinché avere ragione di loro sia molto più complesso che in precedenza; a meno di non sorprendere un nemico isolato, possibile sebbene piuttosto raro, la loro reazione di fronte a un eventuale pericolo sarà dividersi per controllare l’area avendo però cura di guardarsi vicendevolmente le spalle.

Dimenticatevi il lancio del mattone come soluzione univoca ai problemi e prestate un occhio di riguardo ai cani da guardia che alcuni si porteranno dietro: un passo di troppo e loro saranno in grado di percepire il vostro odore, venendovi a stanare con una pervicacia ammirevole. I fattori da tenere in considerazione sono molteplici, tutti perfettamente amalgamati tra loro per spingervi a un costante adattamento. L’incredibile sensibilità di cui sono permeati questi personaggi virtuali è l’elemento portante di una violenza che non viene negata al giocatore, anzi, vi si scontra apertamente per comprendere da solo fino a dove valga la pena spingersi.

Il guaito straziante di un cane, o il suo uggiolio quando ne uccidete il padrone, le grida disperate di qualcuno alla scoperta del cadavere di un compagno, gli sguardi terrorizzati che vi rivolgeranno quando si renderanno conto di star morendo per mano vostra: non c’è un dettaglio che Naughty Dog si sia lasciata sfuggire per calarvi quanto più possibile in Ellie e nella sua spietata ferocia. Gli sviluppatori, come già detto, non vogliono imporvi cosa fare o come dovervi sentire. Siete voi, le vostre azioni, a deciderlo.

C’è una sovrastruttura nel gameplay quasi surreale, come fosse una magia, un continuo susseguirsi di meccaniche che non si ostacolano ma vanno a rimodellare secondo dopo secondo una situazione, resistendo ai nostri tentativi di piegarlo e romperlo per obbligarci ad accettarlo e imparare a conviverci. Sfruttare l’erba alta per nasconderci, i pertugi per scivolare non visti da un punto all’altro, la possibilità di sdraiarsi a terra per tendere degli agguati mirati ai nemici… pensate a una soluzione e state sicuri di poterla mettere in pratica. Tutto sta nell’osservare l’ambiente, valutare prossimità e opportunità, e reagire di conseguenza.

Pensate solo a una delle meccaniche, a nostro dire, più profonde e coinvolgenti nella sua apparente semplicità: laddove i membri del WLF comunicano verbalmente tra loro per stabilire il da farsi, le Iene fischiano in codice. Immaginate solo per un attimo di trovarvi immersi in una fitta vegetazione, circondati da nemici che sono consapevoli della vostra presenza ma comunicano tra di loro soltanto a fischi: riuscite a cogliere l’assoluta incertezza che un simile contesto vi trasmette? L’incapacità di pianificare una reazione perché non avete idea di cosa si stiano dicendo, il senso di smarrimento che nasce dal sentirsi davvero e completamente abbandonati a voi stessi? Ora applicate questa meccanica a tutti i comportamenti citati nei precedenti paragrafi, alla raffinatezza dell’intelligenza artificiale. Naughty Dog gioca con noi tanto quanto noi giochiamo con il suo lavoro, scomponendo e ricomponendo per mettere alla prova le nostre abilità senza per questo offrirci alcuna scorciatoia.

Quando poi entrano in gioco i Clicker, ecco che la situazione prende una piega ancora differente. Saremo messi di fronte a nuovi pericoli e, questa volta, scopriremo che l’ecolocalizzazione di cui si avvantaggiavano nel primo capitolo è stata ulteriormente espansa: adesso gli infetti agli stadi più avanzati (escludete dunque i Runner) emetteranno dei versi così da sfruttare il loro sonar biologico per individuarci, persino se dovessimo rimanere immobili.

Questo, unito al fatto che basta allertare un nemico per far degenerare la situazione, rende le fasi con loro ancora più delicate. Il vantaggio che la cecità ci offriva nel primo capitolo è stato ampiamente compensato da questa miglioria: in un certo senso, possiamo pensare che nei cinque anni occorsi dall’originale gli infetti si siano evoluti e abbiano imparato come stanare le loro prede. Ogni infetto fungino può sfruttare l’ecolocalizzazione, ma solo i “normali” Clicker sono letali se ci raggiungono e siamo sprovvisti di armi da mischia; questo tuttavia non rende gli altri meno pericolosi. Poiché adesso Ellie può sfruttare la sua agilità per schivare gli assalti, gli sviluppatori hanno fatto sì di inserire tipologie di nemici che possano controbilanciare questo piccolo vantaggio: gli Shambler sono un validissimo esempio, ma non vogliamo rovinarvi la sorpresa.

In The Last of Us Parte II c’è una sovrastruttura nel gameplay quasi surreale

Per affrontare in maniera adeguata i pericoli che ci aspettano, Naughty Dog ha proposto ancora una volta un ampio arsenale al quale affidarsi, assieme a diversi rami delle abilità che tuttavia non potranno essere sbloccati interamente in un’unica partita: proprio per accentuare il peso delle nostre scelte e dare inoltre la possibilità di personalizzare il proprio stile di gioco senza diventare eccessivamente competenti, è possibile sbloccare un ramo delle abilità soltanto trovando e leggendo il relativo manuale.

Non abbiamo tuttavia idea di cosa si nasconda dietro quell’insidioso lucchetto che ci separa dalle tanto agognate abilità, perciò non è nemmeno possibile pianificare in precedenza su cosa investire gli integratori raccolti: come scritto in precedenza, sopravvivere significa adattarsi e The Last of Us Parte II non intende avvantaggiarvi in nessun modo. Gli stessi banchi da lavoro ai quali modificare le armi raccolte sono sparsi ovunque e non tutti sempre sott’occhio, il che significa ancora una volta decidere se prendersi il rischio di esplorare meglio una zona o passare oltre nella speranza di trovarne uno più avanti. È tutto un sapiente gioco di incastri, di meccaniche che si sovrappongono senza ostacolarsi, andando invece ad arricchire un’esperienza in precedenza troppo lineare.

È difficile trovare delle vere e proprie critiche a un gioco che si dimostra migliore del precedente sotto ogni aspetto ma, lo sappiamo tutti, la perfezione non esiste e se dobbiamo andare a stanare i suoi difetti, allora sarebbe più corretto parlare di imperfezioni: a dispetto dei notevoli passi avanti mossi dall’intelligenza artificiale, ci sono ancora dei momenti in cui i nemici reagiscono in maniera diversa nei confronti del nostro alleato quando si sta nascondendo (sì, questa volta deve farlo se non vuole allertare tutti), “lasciando correre” situazioni che a noi non perdonerebbero mai. Si tratta tuttavia di occasioni piuttosto rare, che non vanno a rovinare un lavoro egregio svolto sotto il profilo della intelligenza artificiale. Sempre in fase di copertura, la telecamera si dimostra abbastanza macchinosa da gestire, costringendoci ad angolature improbabili per far sì che Ellie si rivolga nella giusta direzione: un comando dedicato per spostarla sulle due spalle sarebbe stato l’ideale.

Questo fa di The Last of Us Parte II un gioco proibitivo o frustrante? No. Chiunque può vivere la propria esperienza, non solo impostando una difficoltà iniziale che si sposi con le sue abilità ma andando a modificare le singole impostazioni per creare la propria avventura. Naughty Dog si è concentrata molto sull’accessibilità e i risultati saranno presto sotto gli occhi di tutti: un lavoro meticoloso che offre più di sessanta impostazioni, con opzioni estese e incentrate sulle capacità motorie e sull’udito, nonché funzionalità inedite per i giocatori ipovedenti e ciechi. Un risultato impeccabile che merita di essere applaudito per la volontà di aprirsi a chiunque.

 The Last of Us Parte II si attesta come il punto più alto toccato da Naughty Dog e Sony

Mors tua vita mea è un concetto che si applica, amaramente, ai nemici quanto agli alleati. In un mondo alla deriva come quello di The Last of Us, emozionarci è un lusso che non possiamo permetterci. Si ingoiano i sentimenti, ci si anestetizza all’emozione in virtù di un obiettivo da inseguire, sia esso la vendetta o, come scoprirete, una catarsi della quale non siamo ancora perfettamente consapevoli. Buono o cattivo è un concetto che non trova posto qui, perché tutto si riduce a una questione di punti di vista.

The Last of Us Parte II è un gioco brutale, violento, ritratto di una realtà abbandonata ai suoi più bassi istinti dove a sopravvivere è il più furbo, il più forte, il più feroce. Si prende il suo ritmo, racconta tutto nel dettaglio ma, in un curioso ossimoro, non concede tempo al giocatore: tempo per piangere, per soffrire, per elaborare un lutto, nulla. Colpisce e si ritrae, come uno Stalker si nasconde nell’angolo buio e aspetta il momento giusto per affondare, lasciandoci boccheggianti ma con l’urgenza di continuare perché vogliamo sapere, capire – o, semplicemente, perché la morte che ci mette di fronte è quella sporca e improvvisa.

In un contesto attuale dove si tende a prendere sempre le parti di qualcosa, a parteggiare per qualcuno, The Last of Us Parte II è la mosca bianca della situazione, scevro di quel politicamente corretto con cui è facile riempirsi la bocca e pregno invece di onestà intellettuale, di quel coraggio necessario a raccontare la violenza per quello che è. Senza filtri o giustificazioni. Complice una recitazione virtuale fuori scala e animazioni facciali sorprendenti nelle cinematiche quanto nel gameplay stesso, narrazione e giocato si fondono in un’esperienza che lascia la dirompenza del titolo originale per colpire con chirurgica precisione, annidandosi dentro di noi nell’attesa di farci realizzare davvero il viaggio compiuto – un viaggio di crescita, una maturazione che sceglie l’ottundimento emotivo come nucleo portante, in un crescendo di violenza magistralmente diretto e motivato. Un’apnea sensoriale che ci accompagna fino alla fine. Dopo, e solo dopo, potremo riprendere a respirare.

Conclusioni

The Last of Us Parte II è un gioco profondamente violento, che ci porta a un’immedesimazione tale nei personaggi e nel loro vissuto da non lasciare spazio all’emozione nella sua forma più pura: c’è sorpresa, confusione, un ottundimento emotivo cercato e ricercato, al quale contrappone la volontà di far capire al giocatore che non esistono buoni o cattivi, ma non tenta di commuovere.

Non è un viaggio per la sopravvivenza, come nel primo, quanto piuttosto una costante e folle ricerca di una giustizia con cui ammantiamo un desiderio più umano, di pace interiore, di chiudere i conti con il passato per aprirsi a un futuro nuovo, forse migliore. L’essere nel giusto dipende dalle prospettive e The Last of Us Parte II ne mostra tante, tutte perfettamente motivate – chiarendo di aver ben compreso la cruciale differenza tra motivare e giustificare. Naughty Dog si è presa dei rischi, secondo noi andati tutti in porto nel migliore dei modi, rischi che potrebbero non essere compresi in virtù di una costante ed egoistica pretesa di innovazione, ludica ma anche narrativa, che spesso impedisce di fare quel passo e vedere oltre.

The Last of Us Parte II non punta al contenuto ma a come viene veicolato e raccontato. In particolare ci è piaciuto finalmente esserci trovati di fronte a un gioco che va per la propria strada, senza essere sporcato dalle nostre scelte, che ci obbliga a cose che non vogliamo fare ma siamo tenuti comunque a portare avanti. Perché è la volontà dell’autore ed è giusto così. Una storia non deve andare come dice il pubblico, perché non è lui ad averla scritta. Non è la sua storia.

È stato un viaggio permeato di violenza: esplicita, pesante, forte, ma perfettamente contestualizzata, chiusa all’interno di un mondo di gioco che si prende i suoi spazi e i suoi tempi, detta il proprio ritmo con una consapevolezza di cui il capitolo precedente a tratti mancava. Ad accompagnarlo un comparto tecnico indiscutibile, con animazioni facciali che fanno già pensare alla next-gen, e delle meccaniche rifinite che donano ulteriore profondità all’esperienza. The Last of Us Parte II ha innovato se stesso senza stravolgersi, un titolo perfetto nelle lievi imperfezioni che si attesta come il punto più alto toccato da Naughty Dog e Sony.

The Last of Us parte II sarà disponibile in esclusiva su PS4 a partire dal 19 giugno 2020