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18 Giu 2020

Bioshock: The Collection – Recensione Switch

Tutto ha inizio con un incidente aereo, che non stronca la vita del nostro protagonista, bensì dà il La ad una nuova, indimenticabile avventura, che prevede un’apparente discesa negli inferi, prima di spiccare il volo e raggiungere le nubi. Potremmo semplificare così, in una manciata di righe, Bioshock, l’epica serie partorita dalla brillante mente di Ken Levine e messa in piedi (almeno nei suoi capitoli più apprezzati, il primo e il terzo) dal mai troppo compianto studio Irrational Games, smembrato proprio al termine dei lavori sul discusso e ambizioso Bioshock Infinite.

La Collection, già riproposta 4 anni or sono su PS4 e Xbox One, è un testamento dell’opera di Irrational e della “piccola” 2K Marin, incaricata di lavorare a un sequel pur caratterizzato da buone intuizioni e valido, ma non pienamente in grado di competere con la potenza narrativa e ludica dei fratelli maggiori. E in una graditissima botta di zelo, 2K ce la propone insieme ad altri due porting d’eccezione (quello di XCOM 2 e dei capitoli old-gen di un’altra sua splendida saga, Borderlands) su Nintendo Switch, tutti pubblicati in un fine maggio all’insegna della Nostalgia con la N maiuscola per la casa (esatto!) della grande N.

Tre gemme che approdano sulla console ibrida di Nintendo e che, da una parte, permettono ai neofiti di riscoprire una saga/pietra miliare del gaming, e ai veterani di tornare negli abissi di Rapture e sulla “paradisiaca” Columbia, per dare una spolverata ai ricordi tanto sul divano quanto, soprattutto, in mobilità. E come per tanti altri porting, la conta dei pro e dei contro pende a favore di questa versione, pur presentando bene o male la stessa sorte toccata ad altre primizie del passato.

E così abbiamo un frame-rate che, rispetto a PS4 e Xbox One, passa dai 60 ai 30 (pur solidissimi), e una risoluzione Full HD in formato TV e 720p in portatile, ma, per tutti e 3 i capitoli, dinamica, una soluzione intelligente che, nelle fasi più concitate (perlopiù sparatorie con più nemici su schermo), riduce parzialmente proprio la risoluzione così da non sacrificare la fluidità: uno stratagemma, quello adottato da Blind Squirrel Games (team incaricato del remaster), ingegnoso e dagli effetti quasi impercettibili, mentre sarete presi a fulminare con i vostri plasmidi, (sorta di super-poteri elementali e non che sbloccherete avanzando nella vostra discesa), le orde di schizoidi che incontrerete sul cammino.

Tre gemme imperdibili approdano finalmente sulla console ibrida di Nintendo

Più marcato ed evidente invece il sacrificio in termini di qualità e definizione delle texture, più sporche e opache rispetto alle controparti PS4 e Xbox One, e in un confronto diretto, in qualche sporadica occasione, persino con quelle della generazione precedente. La versione per Nintendo Switch, comunque, riesce a compensare con un reparto asset, effettistica e animazioni più pregevole e “moderno”, e una vegetazione più massiccia e curata. Anche il FoV trae beneficio dal più recente lavoro di remaster (nulla vi vieta di tornare a quello originale, più claustrofobico), in particolare nel primo capitolo, mentre a sorprendere è il risultato ottenuto su Bioshock Infinite, il capitolo più recente ed esoso in termini tecnici: qui lo scotto da pagare risiede nella qualità delle texture ambientali delle aree più vaste, che in lontananza rinunciano a gran parte della definizione, salvo poi recuperare man mano che ci si avvicina (altro stratagemma per alleggerire il carico di lavoro dell’ibrida di Nintendo). Insomma, tolto il frame-rate dimezzato e qualche sporcizia visiva, il lavoro svolto con questo porting su Nintendo Switch può dirsi promosso, complici delle soluzioni tecniche davvero ben ponderate.

C’è davvero poco da aggiungere a quanto scritto negli anni in merito alla quantità e qualità contenutistica e ludica dei tre episodi, usciti rispettivamente nel 2007, 2010 e 2013: tre “sparatutto in prima persona”, potremmo dire per semplificare, ma mai come in questo caso il genere ludico appare più come un limite che come un’utile categorizzazione, vista la ricchezza narrativa e interattiva in essi presente, o la mole incredibile di influenze di stampo storico, politico, persino religioso incamerate nelle loro fitte trame e sottotesti.

C’è l’inquietante utopia del primo Bioshock creata dal folle Andrew Ryan, una terra di nessuno all’insegna del liberismo tramutatasi presto o tardi in una distopia fatta di mutanti assetati di sangue e dei terribili Big Daddy, devastanti esperimenti accompagnati da piccole e inquietanti ragazzine, che dovremo fronteggiare sfruttando le classiche armi (pistole, chiavi inglesi, mitragliatrici) o i poderosi Plasmidi, già citati poteri ai limite del magico, e i loro effetti sull’ambiente circostante (dal fuoco che scioglie il ghiaccio al tuono che elettrifica le pozze d’acqua).

C’è davvero poco da aggiungere a quanto scritto negli anni in merito alla quantità e qualità contenutistica e ludica dei tre episodi

C’è il seguito che ribalta la prospettiva ponendoci nei panni del Soggetto Delta, e infine quell’Infinite che lasciò tutti di sasso con un’ambientazione visionaria, impregnata di storia, politica e religione a stelle e strisce, una città nel cielo che anche in questo caso stravolge quanto visto e giocato nei primi due episodi, come detto collocati al di sotto del livello del mare: nel terzo capitolo, ambientato nel 1912 (quasi 50 prima dei predecessori) dovremo farci strada letteralmente tra le nuvole, con un nuovo protagonista (l’investigatore Booker DeWitt), una nuova donzella da salvare (Elizabeth), e un nuovo folle con cui avere a che fare, folli cultisti inclusi (Padre Zachary Hale Comstock).

Non entriamo troppo nel dettaglio sia perché ne abbiamo già scritto, sia per non rovinare gli innumerevoli, splendidi colpi di scena che caratterizzano ognuno di questi tre gioielli: sappiate solo che non potete e non dovete lasciarveli sfuggire, indipendentemente dalla vostra predilezione per il genere, che come lasciato intendere è più un veicolo che un traguardo, vista la potenza e la ricchezza narrativa delle opere di Levine e di Irrational Games e 2K Marin.

Conclusioni

Senza troppi giri di parole: se non avete mai sfiorato un Bioshock, che siate fan o meno degli sparatutto, dovete necessariamente dargli una chance. E no, la precisione della balistica o l’adrenalina generata dagli scontri non c’entra: è il contorno ad averli resi vere e proprie pietre miliari del videogioco, tra ambientazioni, personaggi e storie memorabili da vivere negli abissi e al di là del cielo, in un modo che solo i videogiochi riescono a restituire.

La versione Switch, l’ultima ad accogliere l’imperdibile collection (3 capitoli base più tutti i DLC pubblicati nel corso degli anni), è quella più debole, con qualche sacrificio (texture non sempre pulitissime, frame-rate solido a 30 fps ma dimezzato rispetto alle controparti PS4 e Xbox One), che viene però ampiamente compensato dalla solita, ormai irresistibile possibilità di visitare Rapture e Columbia dovunque vogliate, senza troppi mal di testa (accettando come sempre dei controlli un po’ più ostici del solito, nel caso in cui optiate per i Joy-Con, e una risoluzione in modalità handheld più bassa).

Bioshock: The Collection è disponibile da GameStop Zing Italia.