Non nascondiamo l’entusiasmo che abbiamo provato nel sapere che, a dieci anni dalla pubblicazione dell’originale, Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise sarebbe stato il seguito dell’originale thriller surreale in chiave horror nato dalla mente folle e geniale di Hidetaka Suehiro, in arte SWERY. Per quanto il primo capitolo si fosse concluso in maniera perfetta, sebbene dolceamara (o forse proprio per questo), tornare a vestire i panni di Francis York Morgan in un’indagine antecedente agli eventi già raccontati era intrigante. Un uomo così particolare deve essersi imbattuto in casi altrettanto insoliti e la speranza era di sperimentarne uno analogo, ma non identico, all’originale per godere ancora un po’ della compagnia di questo bizzarro e carismatico agente del FBI.
Ci è dispiaciuto invece riscontrare che tutto l’ingegno mostrato in Deadly Premonition è del tutto assente in questo insipido sequel, portando a un risultato ben al di sotto della media e che mostra il fianco di una produzione noncurante, magari ostacolata anche da un budget ridotto che tuttavia non deve essere mai la scusa per proporre un lavoro al limite del giocabile nel 2020: perché questo è, alla fine, Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise, un titolo che marcia all’ombra del suo precedessore cercando di emularne le gesta senza tuttavia comprendere di doversi evolvere a distanza di dieci anni per ragioni che già allora avevano portato l’originale a essere molto criticato.
Seguiteci dunque in questo difficile viaggio per capire cosa sia andato storto questa volta e capire perché l’autorialità sia una caratteristica preziosa ma da sfruttare con criterio, non come scusa per presentare un prodotto inefficiente sotto quasi tutti i punti di vista. Un autore non deve perdere la propria identità per omologarsi al mercato, tuttavia deve comunque essere in grado di adattarsi ai tempi e capire che si può restare se stessi pur modernizzandosi.
Partiamo dall’aspetto che ha dato all’originale la nomea di Twin Peaks videoludico: la storia. Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise si alterna tra due linee temporali: quella del presente a Boston, nel 2019, e quella del 2005 nella soleggiata Le Carré, Louisiana. Gli agenti speciali Aaliyah Davis e Simon Jones si recano a casa di un testimone chiave che potrebbe aiutarli a fare luce su un caso rimasto parzialmente insoluto per quattordici lunghi anni. Inizia così un viaggio indietro nel tempo, quando Francis York Morgan risolse un’indagine complessa con quel suo modo di fare a cavallo tra reale e surreale che ce l’ha fatto amare nell’originale. Un brutale omicidio sconvolte la cittadina di Le Carré dove lui si trova in vacanza e le circostanze macabre del tutto, nonché ovviamente il suo senso di giustizia, lo spingono a lasciarsi coinvolgere da vicende che prenderanno ben presto una piega sovrannaturale e inspiegabile. Pane per i denti del nostro York, insomma.
Il problema principale di questa narrazione è che tutta la parte inerente al passato si capisce essere stata costruita con l’intento non di accompagnare ma di giustificare gli eventi presenti, cercando addirittura di dare radici a quanto successo a Greenvale per creare quel labile collegamento senza il quale una struttura già di per sé instabile crollerebbe del tutto. Proprio per questo motivo non funziona, perché non c’è una vera identità in questa narrazione, è più che altro un fantoccio per farci giocare ancora una volta nei panni di York priva tuttavia del fascino che ammantava il capitolo originale. L’indagine va avanti per inerzia, affidandosi letteralmente al caso (un oracolo apparirà puntuale a ogni vicolo cieco per sbloccare la situazione) e trascinandosi in un senso del bizzarro che aveva il suo perché nel 2010 ma viene ripetuto in maniera pedissequa in questo sequel, risultando stucchevole. Nessuno dei personaggi ha il fascino degli abitanti di Greenvale, è stata calcata la mano su una caratterizzazione assurda che non porta da nessuna parte, non li valorizza rendendoli anzi dimenticabili e nella maggior parte dei casi odiosi.
La narrazione di Deadly Premonition 2 è annacquata e poco incisiva
I fatti narrati al presente mostrano i guizzi di quel Deadly Premonition che nel 2010 ci ha tanto affascinato ma sono occasionali e, soprattutto, la componente di gameplay è risibile, limitata a un punta e clicca continuo per portare avanti una trama senza alcuna vera interazione da parte nostra. In questo senso, sarebbe forse stato meglio dedicare a tutto delle cinematiche ad hoc per accattivare di più il giocatore, oppure trovare soluzioni di design che lo rendessero più partecipe: considerata la spiccata intelligenza del testimone chiave e la sua naturale superiorità intellettuale rispetto ai due agenti dell’FBI, sarebbe stato ad esempio interessante poter scegliere che risposta dare, in certi casi, per vedere in che modo avrebbe reagito senza che questo alterasse la trama, rendendola invece più fitta.
A proposito di gameplay, ecco la nota fra le più dolenti dell’intera produzione. Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise prende la struttura del suo predecessore e la incolla qui senza mezzi termini, riuscendo persino a peggiorare quanto di negativo c’era già ai suoi tempi. Le missioni secondarie, diverse dagli incarichi infiniti e volti all’ottenimento di risorse, sono poche e mal strutturate, condite dalla pessima abitudine di affidare un compito al giocatore senza tuttavia fornire alcuna indicazione su come risolverlo. Questa era già una pessima abitudine nel 2010, poiché se la richiesta viene da un personaggio preciso con esigenze altrettanto mirate ci si aspetta che sappia a grandi linee indicare l’area d’azione per aiutarlo: invece è tutto ancora una volta affidato al caso e assolutamente imprevedibile, con conseguente frustrazione.
Se fosse legato solo alle secondarie, ci si potrebbe eventualmente passare sopra (ma non del tutto, poiché alcune hanno impatto sul gioco in generale), invece ci troviamo di fronte allo stesso problema anche in fase di trama: alcune, poche per fortuna, missioni sono inutili, fanno perdere tempo senza portare da nessuna parte, cercando di dare un senso a una trama che sarebbe potuta procedere tranquillamente adottando un approccio diverso e meno arzigogolato. L’idea che ne deriva è una soluzione adottata per allungare il brodo di un gioco che altrimenti si risolverebbe in fretta – e forse sarebbe stato meglio.
Il gameplay è una fra le note più dolenti del gioco
Non c’è davvero un motivo per esplorare Le Carré, che si rivela essere né più né meno di una Greenvale soleggiata. Purtroppo non basta cambiare ambientazione e atmosfera per diversificare il gioco e considerato che in città non c’è davvero nulla da fare, a eccezione di alcuni minigiochi che stancano dopo qualche tentativo, le eventuali potenzialità rimangono inespresse. Certo, potremmo voler collezionare risorse per potenziare York in termini offensivi e difensivi, una delle poche aggiunte alla formula passata: interagendo con un apposito altare sarà possibile offrire in dono determinati oggetti tra collane, bambole e amuleti realizzati ad hoc per incrementare le statistiche del personaggio ma, ancora una volta, il loro impatto sul gameplay è quasi nullo. La semplicità degli scontri, sia nella realtà contro gli animali selvatici o le manifestazioni oscure a tarda notte, sia nell’altra dimensione con tutto ciò che lo abita rende questo aspetto ininfluente: per tutto il corso del gioco ci siamo affidati a due migliorie e così siamo arrivati alla fine senza mai morire e con rare necessità di curarci. Proiettili e oggetti curativi, in ogni caso, eccedono.
Le fasi di combattimento sono altrettanto insipide, persino peggiori rispetto all’originale, con un design dell’altro mondo banale e ripetitivo, boss fight dimenticabili se non per l’estetica del personaggio e nemici che non si avvicinano all’inquietudine, volontaria o meno, trasmessa dalle creature del primo Deadly Premonition. Stesso discorso vale per il gunplay, poco curato al punto da rendere ininfluente i potenziamenti di cui abbiamo accennato. Quelle situazioni che dovrebbero essere horror si rivelano al contrario tediose, per nulla accattivanti e stancanti nella formula ripetitiva, trasformando il gioco in un banale thriller condito da sovrannaturale.
A chiudere questo ben poco promettente cerchio troviamo un comparto tecnico disastroso sotto ogni punto di vista: da un frame rate molto basso che a stento raggiunge i 20 fps, flagellato da continui cali che portano a un freeze del gioco, fino a bug di svariata natura tra audio e gameplay stesso, al punto da esserci trovati a dover riavviare la partita più di una volta, Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise non ne esce affatto a testa alta. L’aver adottato un parziale cel shading per la grafica è stata una buona idea che tuttavia rende meglio soltanto durante le cinematiche, per il resto si notano soprattutto giocando sul televisore le sgranature di personaggi e ambienti per una carenza di anti-aliasing. Insomma, se c’era qualche speranza che, nella sua purtroppo banalità, il gioco potesse almeno contare sul supporto tecnico, c’è da restare delusi anche qui. Siamo di fronte a un titolo che nel 2020 si comporta peggio che nel 2010, quando già erano evidenti alcuni problemi.
Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise è un gioco che onestamente non riusciamo a spiegarci, un titolo che prende tutti i difetti del precedente e li amplifica, non riuscendo nemmeno a garantire la stessa qualità narrativa del precedente. Minato da diversi problemi tecnici, con un gameplay stantio e mal gestito, non siamo certo di fronte al degno erede di quel titolo che nel 2010 è stato una piccola perla imperfetta. L’autorialità non deve essere una scusa per presentare un lavoro poco curato ma, anzi, si dimostra incisiva quando riesce a rimanere se stessa pur adattandosi ai tempi. Purtroppo, non è questo il caso di Deadly Premonoition 2: A Blessing in Disguise. |
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