The Last Campfire – Recensione

In cosa possono arrivare a trasformarsi le speranze perdute? In delusione, frustrazione, solitudine, malinconia, angoscia, disperazione, depressione, in quella opprimente raccolta dei sentimenti che tormentano l’animo, che rendono ogni singolo passo, anche il più semplice, difficoltoso e stanco, che distuggono progetti e aspirazioni, soffocando le naturali inclinazioni, la creatività, la volontà. E ancora, a cosa serve spendersi, struggersi, impegnare il cuore in qualcosa, se tutto quello che ci aspetta è l’ineluttabile destino del grande ignoto?

Sono queste le tematiche attorno alle quali si sviluppa The Last Campfire, sicuramente in maniera estremamente leggera, coerentemente allo stile di un’opera che si presenta, prima di tutto dal punto di vista estetico, con una certa delicatezza, ma lo stesso foriera di piccole riflessioni. E anche quando, conclusasi la breve avventura (quantificabile in circa 7 ore) dell’essere incappucciato che ne è il protagonista, Ember, non si può far a meno di rilevare anche una certa banalità nel modo in cui sono state affrontate, la produzione di Hello Games rimane una piccola pizzicata nel fianco di chi ne ha fruito, che sicuramente avrà ritrovato nella rappresentazione di una scena o in una semplice battuta la descrizione della propria condizione. Perché alla fine le domande, le ansie e i tormenti finiscono per l’accomunarci più delle gioie e delle passioni, sono insite nell’istinto umano, che è quello di protendere, raramente arrivando.

The Last Campfire screenshot

È una realtà che appare molto lontana mentre si controlla il trotterellare di Ember, che dopo essersi separato dalla sua compagnia in quello che appare come un rito di passaggio, si ritrova a dover affrontare tutto da solo la strada che lo separa dalla sua destinazione. Non sembra un tragitto periglioso, tutt’altro, come testimonia la bellezza delle ambientazioni che si ritroverà ad attraversare. Una rigogliosa foresta, puntellata da stagni nei quali si rinfrescano ranocchiette colorate, paludi costellate di antiche rovine, grotte nelle quali si insinuano corsi d’acqua sotterranei, radure multicolori nelle quali mai sazi maialini ronfano a pancia all’aria rappresentano solo parte di quanto una direzione artistica che non può non essere definita “adorabile” dipinge, senza particolare sfoggio di tecnica, ma con uno stile sopraffino. Non è un caso se due dei tre sviluppatori di Hello Games che hanno concepito The Last Campfire provengano abbiano lavorato ai due LostWinds di Frontier, le produzioni potrebbero benissimo appartenere allo stesso universo, per coerenza stilistica.

La produzione di Hello Games rimane una piccola pizzicata nel fianco di chi ne ha fruito

Questi freschi, placidi, evocativi paesaggi sono su quanto poggia l’esplorazione, dalla portata ridotta, perché comunque piccoli sono i luoghi che si attraversano, ma comunque stuzzicante nella maniera in cui asseconda la progressione. Durante il viaggio infatti occorre scovare i simili di Ember, tramutatisi in pietra dopo che hanno visto le loro speranze crollare: immobili, sono incapaci di andare avanti, alcuni anche non vogliono. Aiutarli a farlo è il compito dell’esserino, dopo averne risvegliato la coscienza attraverso il completamento di un puzzle.

The Last Campfire screenshot

Ecco quindi descritto il gameplay di The Last Campfire, nel quale si alternano sessioni di esplorazione, con tanto di piccoli enigmi ambientali, a puzzle veri e propri, come fosse un action adventure (ma con pochissima azione) in miniatura, e non a caso richiama, occasionalmente, produzioni come The Legend of Zelda: Breath of the Wild, in special modo nella maniera in cui sono organizzate e strutturate le sfide custodite dagli incappucciati di pietra.

Dialogano bene, le due componenti della struttura di gioco, reggendosi l’una sull’altra, e anche se nessuna esalta, riescono a imbastire un’esperienza sfiziosa, in termini strettamente ludici. Aprire una scorciatoia dopo aver fatto un giro largo e magari aver risolto un piccolo enigma ambientale è sempre una soddisfazione, così come lo è venire a capo di un puzzle un pelo più impegnativo dopo averne capito le meccaniche (visto che la maggior parte propongono un basso livello di sfida). Si va curiosando in giro, si scoprono sperduti da salvare e poi si accede a una nuova area, secondo una dinamica che si reitera continuamente, ma non abbastanza da stancare, perché prima arriva la conclusione del gioco.

Conclusioni

Non c’è traccia di complessità alcuna nel titolo di Hello Games, ma non è necessariamente un difetto, vista la sua portata.

Spiace, però, che non riesca ad avere un reale impatto emotivo sul giocatore attraverso i temi che tratta, perché degli incontri con gli strambi personaggi che abitano il mondo di gioco, delle storie degli altri vagabondi, pietrificati, rivelate a spizzichi da un’unica voce narrante, della storia in generale rimane davvero molto poco.

Una pizzicata, come dicevamo, che però passerà dopo pochissimo.

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