Al di là della franchigia che si aggiudicherà l’ambito Larry O’Brien, trofeo che certifica l’agognata vittoria su tutte le altre squadre sfidanti, la stagione NBA tuttora in corso entrerà alla storia per essere stata quella dei Play-Off nella “bolla” di Disney World, competizione giocata all’interno di arene svuotate dal calore del pubblico e dei fan, immerse in uno straniante silenzio in cui rimbomba il suono del pallone che rimbalza e delle suole delle scarpe che stridono sul parquet.
Se nel mondo reale, causa COVID, lo show va avanti con qualche doloroso e pur necessario compromesso, in quello virtuale tutto procede senza il minimo intoppo, ad una velocità tale che NBA 2K21 è, di fatto, proiettato in un campionato, quello prossimo, che non è neanche iniziato, con team e roster che naturalmente andranno incontro ad inevitabili avvicendamenti e cambiamenti.
Manco fosse un film di Christopher Nolan che si alimenta di paradossi temporali, 2K ha deciso di giocare d’anticipo, non rinunciando alla classica uscita di una delle sue saghe di punta fissata per settembre.
NBA 2K21, insomma, non ritarda e si presenta alla sua audience in una forma vagamente controversa, sicuramente influenzata dall’ormai prossimo debutto della next-gen in formato PlayStation 5 e Xbox Series X.
A scanso di equivoci, non parliamo di un pessimo simulatore cestistico, né di un netto passo indietro rispetto alle passate iterazioni. Si tratta, semplicemente, di un già visto ormai fin troppo simile a sé stesso, (malamente) condito da una feature legata al tiro che non mancherà di causare qualche fastidioso grattacapo di troppo, soprattutto a chi si limita ad una partita ogni tanto.
Nonostante una patch abbia già tentato di limitare i danni, oltre al rilascio con il giusto tempismo, questa volta dovrete anche preoccuparvi della mira, inclinando correttamente lo stick destro del pad, nuovamente chiamato a gestire tutta la fase legata alla conclusione a canestro. Se l’idea è certamente intrigante, ed avvicina ancor più idealmente il movimento dell’avatar a quello compiuto dalle dita dell’utente, all’atto pratico il tutto si risolve in un sistema tremendamente macchinoso, inutilmente frustrante, inserito in un contesto, estremamente simulativo, già di per sé non proprio adatto a tutti i palati.
Sì, perché per il resto il gameplay riconferma quanto di buono visto negli ultimi anni dalla saga. Rispetto alla realtà, giocare di continui ribaltamenti di campo è più difficile, scelta di design che penalizza lievemente il gioco da tre punti, preponderante nei playbook della maggior parte delle franchigie NBA, ma si tratta di un vezzo che noteranno in pochi, videogiocatori tremendamente esperti, votati alla competizione, che lamenteranno quello che resta comunque un tenue allontanamento dalla realtà, oltre che una lieve limitazione alle strategie percorribili per bucare le difese avversarie.
Il Mio GM, l’online e le partite di esibizione, sono modalità che già da sole garantiscono potenzialmente centinaia di ore di intrattenimento
Gli sviluppatori in NBA 2K21, insomma, hanno preferito enfatizzare la fisicità degli atleti, a discapito della loro naturale agilità, rapidità, verticalità.
Come al solito, solo padroneggiando il complesso control scheme e masticando almeno le basi di schemi difensivi e offensivi si potrà sperare di portare a casa la vittoria, imperativo che certamente scoraggerà chi è alla ricerca di un’esperienza rilassata, ma che esalterà chi è alla ricerca di una sfida degna di questo nome.
Per quanto riguarda le modalità, non ci sono chissà quali novità da segnalare. La Mia Carriera, come ormai da tradizione, introdurrà il giocatore creato tramite apposito editor alla sua carriera NBA con un breve arco narrativo che dal college, lo accompagnerà sino all’anno da sophomore nella lega dei grandi. Dopo diverse iterazioni, e tentativi anche con registi di un certo spessore (parliamo di Spike Lee nello specifico), è innegabile che questa feature abbia ormai perso qualsiasi mordente. Prendere decisioni che possano influenzare il futuro del proprio atleta ha il suo fascino, ma la qualità della sceneggiatura è scadente, ancorata a fin troppi cliché e situazioni già viste.
Il Mio GM, l’online e le partite di esibizione, dal canto loro, proseguono su binari ormai arcinoti. Sono modalità che già da sole garantiscono potenzialmente centinaia di ore di intrattenimento, ricche di opzioni di personalizzazione, utili a creare la competizione ed il livello di sfida desiderato. Che si preferisca controllare ogni aspetto della propria franchigia o dedicarsi quasi esclusivamente alle prestazioni in campo, da questo punto di vista siamo di fronte ad una simulazione totale, curatissima in ogni aspetto, difficilmente migliorabile, come testimonia del resto il sostanziale immobilismo tra un’iterazione e l’altra delle opzioni disponibili.
Non va ovviamente dimenticata la modalità My Team, croce e delizia della serie. Grazie alle bustine di figurine, elargite a seconda degli obiettivi raggiunti, potrete letteralmente comporre la vostra squadra con giocatori, arene, maglie e allenatori scovati. Come di consueto potrete poi potenziare ogni statistica spendendo i famosi VC Points. Purtroppo, anche quest’anno, racimolarli senza comprarli tramite lo shop in-game, è piuttosto difficile, operazione possibile solo spendendo innumerevoli ore con NBA 2K21.
Novità di questa iterazione, My Team può vantare una struttura online più raffinata che mai, divisa in eventi settimanali e stagionali, con obiettivi che mettono in palio preziosi, e sudatissimi per l’appunto, punti esperienza.
La modalità, insomma, si riconferma uno degli aspetti più intriganti dell’intera produzione, il cui immenso divertimento che è capace di elargire è purtroppo compromesso dalla difficoltà con cui si accumulano i VC Points.
Anche sul piano grafico, come era facilmente ipotizzabile, domina la riproposizione identica a sé stessa. Cercare differenze rispetto allo scorso anno è davvero un’impresa, ma va sottolineato che stiamo parlando di un comparto già eccellente e curatissimo di suo.
NBA 2K21 difende il buon nome della serie, nonostante un capitolo indiscutibilmente non al top della forma. Una meccanica di tiro fin troppo complessa; la tendenza a premiare il gioco fisico rispetto alle azioni perimetrali, preponderanti invece nell’NBA contemporanea; My Team nuovamente dipendente dal pay-to-win; sono tutte sbavature che sporcano un lavoro altrimenti ineccepibile. Anche quest’anno, difatti, ci troviamo di fronte una simulazione curatissima, appassionante, semplicemente imperdibile per i fan del basket americano. Non lo giocherete per rilassarvi, vista la complessità di control scheme e di gameplay, ma se amate il bel gioco e il realismo più estremo avrete pane per i vostri denti. La stagione NBA deve ancora decretare i suoi campioni, ma sul fronte videoludico la creatura di Visual Concepts si riconferma anche quest’anno MVP. |