Amnesia: Rebirth – Recensione

Sono trascorsi dieci anni da quando Amnesia: The Dark Descent ha riscritto e dato un nuovo significato al concetto di paura, facendoci temere il buio come mai prima – preda dei brividi lungo la schiena mentre gli occhi saettavano alla ricerca di qualunque fonte luminosa. Frictional Games ha lasciato un’eredità difficile da rispettare, portando a proliferare l’approccio al genere horror fin quasi a diventare soffocante; cloni più o meno validi si sono susseguiti nel corso di un decennio, chi più chi meno riuscendo a raccogliere il lascito degli sviluppatori per ritagliarsi la propria nicchia.

Nel momento in cui, però, dopo una parentesi molto valida con SOMA, il re torna a reclamare un trono lasciato vuoto troppo a lungo tutti gli altri devono farsi da parte. Sono stati dieci anni intensi, fatti di sperimentazioni a volte riuscire e altre no, anni in cui Frictional Games si è riflessa in tanti progetti, ma è arrivata l’ora di rinascere. Amnesia: Rebirth è proprio questo, lo dice il titolo stesso.

Non si sa se gli sviluppatori hanno intenzione di riprendere il filone horror che li ha così distinti, o se questo sia un ritorno in scena come canto del cigno – almeno della serie Amnesia, non di un genere al quale si sono dedicati tanto a lungo. Soprattutto perché, la domanda ce la siamo fatta, era davvero possibile scendere ancora più a fondo nel tema dopo quel gioiello di orrore esistenziale che è stato SOMA? La risposta è sì ma non ne siamo affatto sorpresi.

Amnesia: Rebirth narra la storia di Tasi Trianon, una giovane donna afflitta da perdita di memoria dopo un disastro aereo nel deserto africano degli anni ’30. Una volta ripresi i sensi nella carcassa del velivolo, cerchiamo di fare mente locale sugli eventi mentre andiamo a cercare i sopravvissuti della spedizione cui abbiamo preso parte – tra cui c’è anche il marito di Tasi.

Un’impresa che presto sarà funestata da orrori oltre l’immaginazione, cui la nostra protagonista dovrà resistere mentre nel buio qualcosa le dà la caccia implacabile. Nel suo passato, inoltre, sembra esserci un segreto, forse una tragedia, che in qualche modo la condiziona. Ancora una volta, dunque, Frictional Games non si tira indietro e ci mette di fronte a un gioco molto più sfaccettato di quanto potrebbe invece lasciar intendere.

Amnesia: Rebirth è un gioco molto più sfaccettato di quanto potrebbe invece lasciar intendere

La scelta di ambientare il gioco nel deserto fa sì che gli sviluppatori possano sfruttare la promessa di una luce lontana ma presente affinché il ritmo si alterni nel giusto modo tra fasi claustrofobiche nei cunicoli di antiche caverne e persino templi e quelle non meno soffocanti della solitudine che la distesa di sabbia attorno a noi trasmette. Se già vi siete cimentati con un qualsiasi Amnesia, sapete che le meccaniche principali sono tre: la paura, la fuga e di conseguenza ricerca di un luogo sicuro dove nasconderci in attesa che i nostri incubi non ci siano più la caccia – per il momento.

Amnesia: Rebirth si tiene sì fedele a questi elementi ma ne aggiunge un altro, di cui non entreremo nel dettaglio onde evitare gli spoiler, che a memoria non ha alcun precedente nella storia dei videogiochi e non solo si inserisce in modo sensato all’interno della narrazione, ma concorre a creare un centro di gravità emozionale che ben pochi giochi possono vantare. Vi diremo solo che il suo impiego serve a calmare Tasi negli attimi di panico, facendo così le veci del laudano a sua volta utile per mantenere regolata la psiche della protagonista.

Riproponendo dunque quelle meccaniche che a loro tempo hanno fatto storia, Frictional Games riporta in scena l’horror in prima persona in tutto il suo smalto – giusto leggermente usurato dal tempo. Non ci stiamo riferendo a un’usura in termini strettamente grafici, sebbene non sempre le texture siano di alta qualità. Quello che intendiamo fa riferimento al gameplay: il bello e al tempo stesso il limite di un gioco come Amnesia: Rebirth risiede in una mancata evoluzione delle meccaniche stealth al di fuori della possibilità di procedere chini e del fatto che certi nemici hanno la capacità di sniffare il nostro odore.

Unito a una certa compartimentazione del level design, diviso in scenari ai quali approcciarci di volta in volta, la trasparenza che ne deriva ammortizza la paura e la tensione: si è in grado di predire con una certa sicurezza quando siamo in pericolo e quando, al contrario, possiamo procedere senza timore. Sì, i casi in cui verremo colti alla sprovvista continuano a esserci ma, questa volta, è più una questione di fremiti che non di veri e propri brividi.

Amnesia: Rebirth non evolve le meccaniche stealth da quanto siamo stati abituati a vedere

I jumpscare non sono così convenzionali, mentre la scrittura si mantiene su un ottimo livello, ciononostante quel senso di disperazione che dovrebbe seguirci da vicino viene mitigato dal fatto che il fallimento non ha conseguenze tanto pesanti. Sebbene sia stato ben integrato a livello narrativo, tornare in gioco così vicini al punto dove siamo stati sconfitti e con il nemico del quale si sono perse le tracce non è d’aiuto all’atmosfera generale. Insomma, si è data molta a cura ad altrettanti dettagli ma qualcosa continua a sfuggire, minando un’esperienza che sarebbe potuta essere molto più convincente in tal senso.

Al di là di questo, il world building di Amnesia: Rebirth è assolutamente spettacolare e gli sviluppatori hanno senza dubbio superato loro stessi. Il deserto algerino, a dispetto del sole che per noi rappresenta la salvezza, si presenta come una landa terribilmente desolata che enfatizza la disperazione di Tasi, andando inoltre e creare quella dicotomia di cui abbiamo accennato prima – dove la sicurezza della luce si accompagna a un senso di schiacciante solitudine quando capiamo di essere l’unico essere umano per chilometri e chilometri.

Esiste poi un mondo altro, al quale si può accedere grazie al talismano che Tasi porta con sé e spalanca letteralmente le porte di un inferno se possibile ancor peggiore, lovecraftiano al punto giusto. Sarebbe una questione positiva se, di nuovo, non entrasse in gioco un altro difetto del gioco: la quantità di informazioni, a nostro dire eccessiva per lasciare al senso dell’ignoto il potere necessario a soverchiarci. Ci sono molti momenti di tensione in Amnesia: Rebirth, alcuni davvero terrificanti, tuttavia non si è mai manifestato quell’opprimente senso di pausa che abbiamo sperimentato in altri videogiochi di Frictional Games.

La sensazione è che sia dovuto al fatto di aver sollevato il velo sulla storia troppo presto e lasciando trapelare troppe informazioni. Gran parte dell’orrore di Amnesia: The Dark Descent risiedeva nel non sapere esattamente cosa stesse succedendo. In Amnesia: Rebirth, tutti è quasi enunciato nei minimi dettagli. Questo a suo tempo è valso anche per SOMA, ma le sue rivelazioni hanno acuito l’orrore, laddove Rebirth lo ha smorzato. Al persistente orrore esistenziale di SOMA, qui si sostituisce l’interesse verso il mondo altro che visitiamo. Immaginate di essere in una storia di Lovecraft ma di avere accesso a pagine scartate dei diari degli Antichi – l’aspetto horror viene meno in favore della curiosità e in un gioco come questo è un’eventualità che non deve verificarsi.

Amnesia: Rebirth è un titolo molto più blockbuster rispetto alla piccola gemma che è stato The Dark Descent

Io giocatore non devo sentirmi spinto a curiosare, bensì a cercare il prima possibile e nel modo più discreto possibile un modo per sfuggire all’orrore. Non manca infine la sensazione di idee riciclate per quanto riguarda i contesti di pericolo in cui finiamo a volte: lo stratagemma dell’essere a un passo dalla salvezza per poi ritrovarsi di colpo in un’area più pericolosa e buia si ripete con un po’ troppa frequenza per essere, a mano a mano, ancora efficace.

Lo stesso utilizzo della lanterna e dei fiammiferi, la cui costante alternanza tiene un po’ sulle spine il giocatore, ha effetto entro certi limiti poiché a un certo punto ci sentiamo comunque legittimati a procedere al buio, pur sapendo che inficia molto la paura di Tasi: non ci sentiamo abbastanza terrorizzati da non correre il rischio, dunque anche un’eventuale scarsità di risorse alla lunga non arriva a creare troppi problemi. Ciò detto, Amnesia: Rebirth è un ottimo gioco, nel suo genere, e mangia in testa ad altre produzioni che hanno cercato di copiare senza successo le basi gettate dieci anni fa, tuttavia la sensazione è che sia un titolo molto più blockbuster rispetto a quella piccola gemma che è stata Amnesia: The Dark Descent.

Conclusioni

Se Amnesia: Rebirth scalza dalla loro posizione tutti i videogiochi che si sono susseguiti negli ultimi dieci anni, non riesce invece a elevarsi sopra lo spettacolare Amnesia: The Dark Descent e l’ancor più bello SOMA. Di per sé è un’esperienza valida ma non riesce ad affermarsi come esponente del genere rispetto ai due titoli citati, peraltro sempre a opera di Frictional Games. La reiterazione del gioco del gatto con il topo inizia a sentirsi un po’ stantia nel 2020 e si sarebbe potuto lavorare un po’ di più per ampliare il bacino di possibilità delle meccaniche stealth. Similmente, il contrasto tra luce e buio con l’utilizzo alternato di lanterna e fiammiferi funziona bene sulla carta ma all’atto pratico, complice la scarsità di risorse, diventa più frustrante che coinvolgente – a maggior ragione se ci si ritrova a procedere al buio senza percepire quella tensione che invece dovrebbe offrire.

Laddove, per esempio, SOMA è un orrore esistenziale in tutta la sua potenza narrativa, Amnesia: Rebirth fallisce in tal senso mettendo più curiosità che paura al giocatore, scegliendo di raccontare troppo e troppo presto di sé. Ammantarsi di mistero avrebbe giovato di più. Nondimeno, la storia è scritta con la qualità che ci si aspetta dagli sviluppatori e sfiora tematiche molto mature che il team dimostra di saper gestire. Avremmo preferito che anche lato gameplay ci fosse la stessa evoluzione, dopotutto sono trascorsi dieci anni dall’ultimo Amnesia e cinque da SOMA, invece Frictional Games sembra ancora non riuscire a tenere il passo in tal senso.

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