Con Narita Boy è stato amore a prima vista. Non che ci volesse chissà quale intruglio magico per conturbare gli animi di videogiocatori non più giovani con il pallino per gli anni ’80, ma la creatura di Studio Koba, sin dal trailer con cui si è presentata al mondo, ha messo subito in chiaro quali sarebbero stati i cardini con cui avrebbe stregato una precisa fetta di appassionati.
Troppo facile e scontato, del resto, fare breccia nei cuori di chi è cresciuto tra synth e pixel con quelle sonorità, con quello stile grafico, con quel protagonista che strizzava l’occhiolino non solo a certe serie d’animazione giapponesi, ma anche ai Power Ranger, ai VR Troopers, ai Superhuman Samurai.
Lo abbiamo citato in ogni occasione possibile per mesi, sognato a lungo, atteso con l’hype che si riserva alle produzioni che, non senza un pizzico di ossessione, sappiamo che in qualche modo non dimenticheremo mai. Sbirciando il voto a fondo pagina, quindi, non si può che provare un pizzico di delusione, di rabbia, persino di frustrazione.
Perché? Come? Cosa è andato storto in questo action adventure bidimensionale che prometteva tanto bene? A quest’ultima domanda è facilissimo rispondere: niente. Assolutamente niente.
Narita Boy, disponibile dal 31 marzo su Switch, PS4, PC e Xbox (arriva anche sul Game Pass), è, per farla breve, un gioco più che discreto, che non eccelle in nessun comparto specifico, se non in quello sonoro e visivo. Prese singolarmente, le parti costituenti non darebbero e non danno vita ad un capolavoro del suo genere, da qui il voto relativamente contenuto, eppure l’avventura, l’esperienza vissuta nei panni di questo eroe del cyberspazio è qualcosa che segnerà profondamente la vostra vita da videogiocatori.
Il modo migliore per riassumere il contesto in cui si sviluppa il gioco è di accostarlo a Tron. Una sorta di Tron dove programmi, subroutine e codici binari hanno le fattezze di personaggi antropomorfi che pregano il Creatore, il programmatore che, nella nostra dimensione, ha assemblato un PC, venduto in tutto il globo, con cui gli utenti possono intrattenersi con un unico gioco.
L’epopea del nostro, un ragazzo qualunque, inizia quando viene risucchiato dal suo computer, digitalizzandosi nel Narita Boy, l’eroe che ha il compito di riportare la pace nel Digital Kingdom, dopo che LUI, misterioso villain contro cui dovrete scagliarvi, ne ha stravolto ordine ed equilibrio.
Se le premesse sembrano, e sono, tremendamente scontate, all’atto pratico il plot regge (quasi bene) fino alla conclusione principalmente per due motivi. Da una parte, complice un comparto artistico semplicemente strepitoso, la narrazione ambientale non perde occasioni per suggestionare l’utente. Attraverso deserti scavati dal vento, in boschi abitati da strane creature, solcando giganteschi oceani d’acqua, esplorando decine di palazzi, di tempi e dimore, a poco a poco imparerete a conoscere un regno virtuale affascinante, in cui tutto è piegato al culto del Creatore, in una sorta di fanatismo che pervade e si impossessa della stessa sceneggiatura che storpia e modifica, nei dialoghi, il comune linguaggio informatico in una cosmogonia vibrante e astratta.
Narita Boy non è un gioco perfetto, quanto un’esperienza emozionante e coinvolgente come poche altre
Dall’altra, l’avventura del Narita Boy si lega a doppio filo alla vita del Creatore stesso. Ambientazione dopo ambientazione, ne esplorerete il passato, in un viaggio biografico ricco di momenti drammatici, toccanti, catartici. Purtroppo la sintesi tra ciò che accade nel mondo cibernetico e le vicissitudini del programmatore non può dirsi completamente riuscita, né le allegorie che l’arco narrativo compone si (s)chiudono tutte alla perfezione. Nella seconda metà del gioco, difatti, si avverte un inatteso, netto e drastico scollamento che attenta alla coerenza narrativa e lascia irrisolte alcune metafore, prive di un corrispettivo che dal Digital Kingdom riporti ad un momento preciso dell’infanzia o dell’adolescenza del Creatore.
Si tratta, tuttavia, di un piccolo scivolone, che non vi risparmierà dalle lacrime, dai brividi, dal continuo stupore che Narita Boy regala a più riprese. Se la bontà di un videogioco, il valore dell’arte, si misurasse esclusivamente conteggiando i secondi in cui si resta senza fiato per l’emozione, allora la creatura di Studio Koba toccherebbe certamente vette notevoli.
Gran parte del merito, va riconosciuto non solo alla bravura degli artisti del team, capaci di dipingere scenari ammalianti e animazioni in alcuni casi ipnotiche, ma anche all’estro creativo di Salvinsky, compositore finora sconosciuto ai più, capace, con il suo synth, di dare forma ad una soundtrack ispiratissima, capeggiata da un main theme che, nel menù principale e alla fine del gioco, vi farà più o meno volontariamente canticchiare di gusto.
Togliendo lo strato “emozionale”, Narita Boy è un action adventure di per sé tutt’altro che irresistibile. Svolge il suo compito più che degnamente, beninteso, senza raggiungere in nessun ì comparto l’eccellenza. Il combat system è più che soddisfacente, ma non è poi così profondo. Il bestiario è variegato, ma molte boss fight sono piuttosto insipide. Il level design concede qualche piccola divagazione, ma non ci sono collezionabili veri e propri e le aree segrete da scoprire si contano sulle punte di una mano. Il control scheme si adatta perfettamente al pad di riferimento, Joy-Con compresi, ma ogni tanto il sistema di controllo perde qualche colpo. Infine, ci metterete poco meno di una decina di ore per giungere ai titoli di coda, ma una volta terminata l’avventura non avrete alcun reale incentivo per ricominciarla da capo.
Mai come in questo caso, bisognerebbe andare oltre al numero a fondo pagina. Un sette e mezzo pieno, convinto, da prendere per quello che è, cioè un’ampia promozione, che testimonia freddamente le qualità di un prodotto che in termini strettamente ludici funziona, ma non abbaglia, si adegua e rispetta gli standard odierni, ma non osa, non rivoluziona, non brilla di luce propria. Eppure con Narita Boy non si può, non si deve essere esclusivamente dei freddi e distaccati critici, sempre a caccia dell’imperfezione. Come tante altre produzioni indie, siamo di fronte ad un’opera che vive di suggestioni, che stimola il palato degli amanti della pixel art e di generi musicali come la new retro wave, che si alimenta di innumerevoli citazioni e rimandi a Tron, a Evangelion, ai lungometraggi animati dello Studio Ghibli. Consigliatissimo insomma, a patto di sapere che non si tratta di un gioco perfetto, quanto di un’esperienza emozionante e coinvolgente come poche altre. Il gioco è disponibile anche sul Nintendo e-Shop. Acquistate delle carte prepagate per il servizio della Grande N sul sito di GameStop Zing! |
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