Sky: Figli della luce è un titolo che non ha bisogno di molte presentazioni. La sua uscita originale su App Store è stata accolta con molto calore nel 2019, supportata da riconoscimenti ed in generale dalla sensazione che fosse qualcosa di più del “solito” gioco mobile. Il nuovo figlio di Thatgamecompany e Jenova Chen aveva un che di familiare, perché riprendeva la filosofia e le idee del gioco che aveva fatto la fortuna del team: Journey.
Quel gioco, uscito su PlayStation 3 nel lontano 2012, aveva colpito il mercato con un’esperienza breve, intensa, intima e con un’idea tanto semplice quanto d’impatto. Perché non costruire un gioco, che poi è anche un viaggio, e lasciare che i giocatori si aiutino e percorrano lo stesso percorso nel silenzio, comunicando solo attraverso danze e suoni? Thatgamecompany ha deciso di riprovarci con Sky, prendendo quella intuizione e portandola ad un livello superiore.
Sky ci mette nei panni di un avatar, che con il suo mantello magico potrà volare per i cieli di questo mondo in rovina. Un mondo quasi onirico, fatto di colori e luci e incredibili scorci, che sono però vuoti. I figli della luce sono affievoliti, e le loro gesta e piccole storie sono raccontate da dei ricordi con cui potremo interagire esplorando le varie zone disponibili. L’obbiettivo ultimo è quello di far rinascere sette degli spiriti maggiori, esplorando ogni zona e superando gli ostacoli che si frapporranno davanti.
La personale epopea del giocatore è l’unica cosa che può dare senso a questo particolare viaggio
Ostacoli che sono però poco significativi: in Sky non c’è un sistema di combattimento, tutto è dedito all’esplorazione e all’interazione col prossimo. Nell’hub centrale sarà infatti possibile raccogliersi intorno ad una panchina, incontrare qualcuno e fare amicizia, ma anche cambiare l’aspetto del nostro avatar e donargli qualche strumento in più per rendere la tacita interazione col prossimo più significativa e personale.
Parlare di narrazione in Sky sarebbe superfluo, di fatto pur raccontando una mitologia e dando contesto di questo particolare mondo, tanto viene lasciato al non detto. La personale epopea del giocatore è quindi l’unica cosa che può dare senso a questo particolare viaggio. Ma soprattutto, il suo rapporto con gli altri. Sky, come fu per Journey, permette di incontrare continuamente altri giocatori connessi. Non abbiamo particolari riferimenti visivi, né la possibilità di chattare testualmente o vocalmente. La comunicazione è affidata a gesti, movimenti e danze, ma anche ad elementi contestuali sbloccabili spendendo “candele”, la valuta di gioco.
L’interazione diventa quindi più strutturata, e investire nel rapporto con un giocatore diventa quasi un atto di fede. Il tenersi per mano può diventare una bellissima esperienza, ma anche un elemento di distacco e tristezza. Per quanto giocare da soli sia assolutamente possibile, provare a darsi all’altro è assolutamente consigliato. Il senso ultimo è un po’ quello: condividere. Nelle prime ore di gioco ho avuto modo di passare molto tempo con un utente, condividendo con lui dei voli e delle esplorazioni di questo curioso mondo. D’un tratto però, questo avatar non c’era più. Per quanto spoglio di qualsiasi interazione “reale”, la sensazione di straniamento e tristezza è arrivata lo stesso. Sky è bellissimo quando si lascia vivere ed esplorare così, perfettamente consci delle sue regole e della sua filosofia.
Il senso ultimo di Sky è uno solo: condividere
Peccato però che, rispetto a Journey, lo strutturare maggiormente le interazioni e il gioco abbia tolto parte dell’impatto e fascino di quell’idea. Sky è molto più giocoso, al punto da permettere l’acquisto di alcuni elementi cosmetici e delle candele. Non solo, essendo il viaggio più dilazionato con diverse ore di gameplay, l’elemento sociale diventa quasi abitudine e prassi, togliendo quel sapore unico e intimista agli utenti che ci si affiancano o decidiamo di seguire. La stessa decisione di renderlo un game as a service, con delle stagioni che nel tempo aggiungono storie e nuovi elementi, dimostrano quanto Sky sia meno incentrato sull’esperienza in sé e più sulla sua anima giocosa.
Sky: Figli della luce è un titolo affascinante e bello, oltre che gratuito. Gli elementi cosmetici o i pack contenenti vari elementi di gioco permettono di supportare il team e proseguire il viaggio con degli elementi in più. Una scelta comprensibile e naturale, che però cozza con la visione originale di questa esperienza. La natura sociale e intimista di Sky viene resa meno d’impatto dalla sua componente giocosa, più strutturata e con delle regole visibili rispetto a quanto visto in Journey. Nonostante questo, il suo fascino è indiscutibile. Anche alla luce della stagione dedicata al Piccolo Principe, che dimostra una certa voglia di sperimentare da parte del team. Sul lungo periodo però la noia è dietro l’angolo, e viene meno un certo elemento emotivo che ha reso gli altri “viaggi” di Thatgamecompany così memorabili. Peccato anche per qualche problema tecnico su Switch, che soffre di cali di frame rate altalenanti. Si comporta comunque bene, sia in docked che in portatile, regalando spesso scorci affascinanti e sognanti. |
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