Dying Light 2 è uno dei titoli più attesi del prossimo anno, senza alcuna ombra di dubbio. Ma cos’è che rende così interessante il seguito di un titolo uscito ben 6 anni fa, da un allora non così conosciuto studio di sviluppo polacco? Sicuramente la qualità dell’originale è un motivo più che sufficiente: era un FPS a base di zombie, ma aggiungeva a questo classico cliché una mappa open world completamente esplorabile saltando con l’agilità di un parkourer. Un elemento che, unito a una trama avvincente, a decine di ore di missioni, secondarie e primarie, e a un ciclo giorno/notte che impattava sul gameplay stesso, offrendo un livello di sfida più elevato e stimolante, lo rese un vero e proprio capolavoro.
Uscito originariamente nel 2015 su PS4, Xbox One e PC, e pronto ad approdare su next-gen con un aggiornamento, Dying Light è arrivato, un po’ a sorpresa, anche su Nintendo Switch, grazie a una Platinum Edition che racchiude tutto il parco DLC distribuito in seguito al lancio: 4 espansioni (The Following, Hellraid, Cuisine & Cargo e L’orda di Bozak) e ben 17 skin pack per il protagonista, armi e veicoli. Il risultato sono 100 e passa ore di gioco, volendo anche in modalità portatile, e con qualche inevitabile compromesso, ma nemmeno troppi.
Prima di procedere con l’analisi tecnica del porting, vi rinfreschiamo la memoria sul Dying Light originale, che ci vedeva atterrare sulla città-stato turca di Harran nei panni di Kyle Crane, agente del GRE. La nostra meta era pullulante di zombie, con umani tramutati in esseri senza cervello da un pericoloso virus di cui si stava ancora cercando una cura. Il nostro compito era proprio quello di recuperare un file in cui era custodita la formula per una possibile cura, collaborando (o combattendo) le varie fazioni di superstiti presenti sul territorio, ma soprattutto con scienziati e dottori impegnati nello studio del terribile virus.
La sopravvivenza era cruciale, non solo per Kyle, lui stesso infetto ma ancora in salvo grazie al prezioso medicinale Antizin, ma anche per tutti i player coinvolti nel complesso schema di dominio su Harran. Tra armi e strumenti di fortuna costruiti con i materiali scovati qua e là, e l’orologio da tenere d’occhio per evitare di incontrare i pericolosi Notturni una volta tramontato il sole, si è sempre avuta la costante sensazione di essere braccati.
Il primo Dying Light era un vero e proprio capolavoro
Una sensazione enfatizzata tanto dalla struttura aperta, grazie a un open world densissimo e a una rigenerazione e disposizione casuale di gruppi di famelici zombie pronti a spuntare da ogni strada e ogni angolo, ma anche dall’estrema dinamicità dei movimenti di Crane, a suo agio con salti e acrobazie da parkour, che poteva muoversi a grande velocità tra tetti, muri e ostacoli di ogni genere, e magari massacrare qualche mostriciattolo nel mentre.
E l’eccellente level design non faceva altro che contribuire a rendere ancor più piacevole e coinvolgente il movimento, grazie a vere e proprie linee da percorrere con fluidità e senza incertezza alcuna tra una meta e l’altra, o tra una quest e l’altra, fattore che rendeva sopportabile, quando non piacevole, anche attività e missioni secondarie più tediose. Una formula per l’epoca sicuramente originale, che funzionava alla grande e che funziona ancora oggi, in un momento in cui il fascino degli open world è ormai crollato da un pezzo.
Se dal punto di vista ludico e contenutistico di compromessi non ce ne sono (anzi, come detto, questa Platinum Edition include tutto lo scibile pubblicato finora sul gioco), lato tecnico, inevitabilmente, c’è lo scotto da pagare. Partiamo dalle buone notizie: nel complesso, l’impatto visivo regalato da Dying Light su Nintendo Switch è molto più gradevole di quel che ci potessimo immaginare. Più visibili da un TV (tanto più un 4K, con l’upscale che non fa altro che enfatizzarli), i suoi innegabili difetti vanno quasi in secondo piano quando si passa in modalità portatile, soprattutto su OLED, dove le tonalità sabbia di Haran si accendono ancora di più. Il frame-rate oscilla un po’ (e questo non è del tutto un bene), ma perché salvo qualche lievissimo calo (in particolare di notte), tende a superare molto spesso i 30 FPS (il che è un bene), non così scontato per un open world su una console dalla potenza così limitata (e a dirla tutta, il team sta lavorando a una patch che lo blocchi a 30).
I caricamenti sono ottimi (in qualche caso, anche più rapidi di quanto visto su PS4 base), ed elementi come illuminazione e profondità di campo sono tutto sommato i medesimi di quanto visto su old-gen. In termini di performance generali insomma, non ci si può proprio lamentare, e l’esperienza risulta più che godibile (meglio ancora con un Pro Controller, ma anche i normali Joy-Con andranno più che egregiamente).
In termini di performance generali non ci si può proprio lamentare, e l’esperienza risulta più che godibile
Le note dolenti però sono indubbiamente di più, e per i giocatori più attenti all’elemento estetico, possono rappresentare un freno non indifferente: in primis, la risoluzione generale dell’immagine, così come quella delle ombre e di alcune texture, è molto bassa (anche docked non arriva pienamente ai 720p).
Aliasing, tearing, pop-up, e una riduzione cospicua di elementi secondari presenti su schermo rispetto alle versioni originali, rendono Dying Light a uno sguardo più attento non così entusiasmante. Non è nulla di realmente compromettente in termini ludici, e su molti di questi si può chiudere un occhio (anche ad esempio sui riflessi dell’acqua, molto poco dettagliati); a essere brutalmente sinceri, non è nemmeno qualcosa di inedito per chi ha giocato altri illustri porting “miracolosi” (uno su tutti, The Witcher 3).
La questione è sempre la medesima: con i titoli third party è impossibile aspettarsi la stessa cura e qualità delle esclusive pensate appositamente per la console ibrida di Nintendo, e se anche l’occhio, per voi, vuole la sua parte, allora rivolgete lo sguardo altrove. Se all’estetica preferite l’innegabile comodità di giocare longeve avventure a mondo aperto comodamente spaparanzati sul divano, o in viaggio, Dying Light Platinum Edition rientra della schiera di porting non troppo “belli”, ma assolutamente godibili e funzionanti. 100 ore e passa di contenuti (grazie ai 4 DLC e ai 17 skin pack inclusi) da godere online o in solitaria, con compromessi estetici, ma mai ludici, che alla fine è quello che conta per davvero (almeno per chi scrive). Dying Light Platinum Edition è acquistabile in formato fisico da GameStop Italia. |
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