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Praey for the Gods – Recensione

Esiste sicuramente un confine tra ispirazione e pedissequa emulazione, una linea, piuttosto netta, della cui esistenza, ne siamo certi, sono a conoscenza anche i (soli) tre ragazzi che compongono No Matter Studios, software house a cui deve i natali il qui preso in esame Praey for the Gods. Se indubbiamente Uncharted deve qualcosa a Tomb Raider, se Splinter Cell non può esistere senza Metal Gear Solid, se la quasi totalità dei platform bidimensionali e tridimensionali trovano il loro comun denominatore in Super Mario, raramente ci si imbatte in produzioni in cui si è costretti ad utilizzare il fastidioso appellativo di clone.

Eppure, nel bene e nel male beninteso, in questo caso siamo costretti a farlo, testimoni di una somiglianza con Shadow of the Colossus (volete recuperare lo splendido remake per PlayStation 4?) ostentata, quasi a volersi fregiare di una discendenza che non potrebbe che giovare alla fama di una produzione di per sé poco più che discreta.

Sia ben chiaro: nulla in contrario ai cloni, quando ben realizzati. Certo, viene a mancare l’originalità, l’effetto sorpresa, il piacere di scoprire qualcosa di veramente nuovo, ma finché si è impegnati in un’esperienza appagante, perché lamentarsi?

Praey for the Gods immerge l’utente in un’avventura dal mood estremamente familiare a chi ha avuto il piacere di conoscere e scoprire l’apprezzata creatura di Fumito Ueda, pur proponendo una palette di colori estremamente differente. Laddove su PlayStation 2 ad accoglierci c’era una landa, per quanto desolata, verdeggiante, il gioco di No Metter Studios ci costringe a fare i conti con un’isola sommersa dalla neve e dal ghiaccio, un monocromatismo piuttosto deprimente, che ben si sposa con le premesse narrative, appena sussurrate da una criptica introduzione, che tratteggia in poche righe l’ormai imminente fine dell’umanità, evitabile solo abbattendo i sette giganti che albergano e si nascondo in questo scenario ai confini del mondo.

La protagonista, ultima eroina ancora in vita, senza troppi preamboli si farà carico di questo complesso compito, muovendo i primi passi in una mappa di discrete dimensioni, che cela testimonianze scritte e pitture rupestri che concorrono a comporre la lore dell’avventura.

Esattamente come nel capolavoro del Team ICO, anche dopo i titoli di coda non tutto vi sarà perfettamente chiaro e molti passaggi sono volutamente difficili da comprendere, tanto che la libera interpretazione dell’utente è una componente fondamentale per costruire le coordinate narrative entro cui si muove la protagonista. Meno efficace della fonte d’ispirazione, Praey for the Gods riesce comunque nell’intento di veicolare una trama sufficientemente suggestiva, plot che pur con tutte le sue zone d’ombra incentiva il videogiocatore a giungere sino ai titoli di coda per scoprire, quantomeno, se la fatica patita dall’eroina di cui veste i panni sia valsa realmente a qualcosa (dubbio tanto più lecito, considerando la conclusione di Shadow of the Colossus).

Tra un boss e l’altro, il gioco prende le distanze dalla fonte d’ispirazione introducendo una non trascurabile componente survival

In termini prettamente ludici, in realtà, il gioco può dividersi in due parti comunicanti, ma sostanzialmente diverse. Le battaglie con i titanici e mostruosi giganti, sette (più uno), sono davvero simili in tutto e per tutto a quelle già affrontate nel gioco del Team ICO. Raggiunto il luogo dello scontro, segnalato anche qui da opportuni segnali luminosi da seguire, in pratica dovrete risolvere una sorta di puzzle, capendo come avvicinarvi alle suddette creature, in primis, e come raggiungerne i punti vitali da colpire scalandoli letteralmente, aggrappati al loro folto pelo. La stamina, in questo caso, sarà l’indicatore da tenere costantemente sott’occhio. Prosciugata la barra non potrete scattare, né, soprattutto, proseguire nella lenta salita. Ciò vi costringerà a razionalizzare ogni spostamento, tenendo sempre in considerazione coperture e parti pianeggianti in cui rifiatare.

Da questo punto di vista, Praey for the Gods, sebbene estremamente derivativo, svolge il suo lavoro, pur mancando il guizzo creativo in grado di sbalordire. Tutti i colossi offrono un livello di sfida adeguato e al termine di ogni battaglia sarete letteralmente stremati, visto che le battaglie dureranno almeno una ventina di minuti ciascuna.

Tra un boss e l’altro, il gioco prende le distanze dalla fonte d’ispirazione introducendo una non trascurabile componente survival. Sebbene selezionando il livello di difficoltà più basso, questa sarà sostanzialmente ininfluente sul proseguo dell’epopea, giocando in modalità standard o difficile dovrete tenere in considerazione, oltre alla stamina, anche fame, sonno e calore corporeo dell’eroina. Cacciare vi consentirà di recuperare cibo e pelli con cui potenziare l’abbigliamento della giovane. Tagliare gli alberi vi permetterà di costruire armi, archi, frecce, persino pratici rampini con cui raggiungere più velocemente luoghi sopraelevati, anche durante gli scontri contro i colossi. Accendere un fuoco, trovare riparo in una grotta è fondamentale sia per riposare, sia per combattere l’ipotermia.

Soprattutto a chi piace esplorare, chi desidera recuperare tutti i documenti sparsi per l’ambientazione, dovrà fare ampiamente i conti con questi ostacoli e difficoltà.

Nonostante la componente survival sia tutto sommato ben espressa, non mancano tuttavia alcune perplessità. Tanto per cominciare in certi frangenti è molto complesso rifornirsi delle risorse necessarie per creare oggetti e utensili indispensabili al proseguo dell’avventura. Inoltre, complice un sistema di controllo non sempre perfetto, a volte vi capiterà di sprecare inutilmente materie prime preziose. Il rampino non fa sempre quello che gli si dice; i combattimenti con alcuni nemici presenti sulla mappa sono inutilmente complicati da un sistema di mira per l’arco non irreprensibile.

Ciò che è peggio, e questo è un difetto piuttosto grave, in certe situazioni non potrete avanzare affatto se non dotati di uno specifico strumento. Poco male se ciò accade durante l’esplorazione, fa parte del gioco, ma come rimediare durante lo scontro con un colosso, quando non si ha tempo, modo e risorse per dedicarsi al crafting?

Anche tecnicamente Praey for the Gods mostra il fianco a qualche critica. Se a livello globale non si può che applaudire al lavoro svolto da, lo ricordiamo, sole tre persone, piccoli bug e la sostanziale mancanza di dettagli della mappa impediscono al gioco di soddisfare pienamente. Va comunque sottolineato l’ottimo lavoro in campo artistico, che non solo ha dato vita a giganti mostruosi quanto basta, ma anche ad una mappa spettrale e desolante al punto giusto.

Conclusioni

Praey for the Gods non è sicuramente un titolo per tutti, né un capolavoro da consigliare a scatola chiusa, soprattutto a chi anela da tempo immemore ad un sequel di Shadow of the Colossus.

Tecnicamente non è irreprensibile e in termini di design ci sono alcune ingenuità; inoltre, completato il gioco una volta, ovvero dopo otto ore al massimo dal primo avvio del software, ci sono ben pochi motivi per tentare una seconda run.

Eppure, nella sua sostanziale imperfezione, la creatura di No Matter Games conserva una sua legittimità. L’ispirato art design fa il paio con una trama enigmatica, ma generosa di suggestioni. Il gameplay derivativo trova linfa vitale in una componente survival imperfetta, ma che ben si sposa con il tono dell’avventura e dona un minimo di varietà alla sequela di boss fight.

Scordate di avere a che fare con un gioco perfetto, con un titolo che possa realmente porsi come il sequel spirituale del capolavoro di Fumito Ueda. Al tempo stesso, tuttavia, se siete a caccia di un’avventura affascinante, impegnativa e con un setting particolare, questo gioco fa sicuramente al caso vostro.

 

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