Tchia, disponibile nella libreria dei titoli PlayStation Plus Extra e Premium (qui un link per acquistare card valide per l’abbonamento), è uno di quei titoli capaci di catturare fin dal primo istante, quasi senza sforzo. Bastano i pochi momenti iniziali, anche solo l’avvio del menù, a far capire il tono dell’esperienza. Calore, condivisione e crescita sono solo i primi temi che vengono offerti al giocatore, a tratti sorpreso da tanta delicatezza.
Si è parlato tanto del gioco di Awaceb per via della sua volontà di raccontare l’essenza della Nuova Caledonia, tra mitologia e folklore. Un racconto tenue, almeno all’apparenza, ma orgoglioso al punto da costituire l’intero immaginario di gioco su questa cultura, indipendentemente che questa sia digeribile o meno.
Difatti l’inizio con Tchia si è rivelato per il sottoscritto un cammino un po’ incerto, tra il trasporto provato nell’osservare le prime inquadrature e le espressioni dei personaggi, pesati minuziosamente, e la disconnessione provata nel metabolizzare riti e gestualità culturalmente rilevanti ma non necessariamente traducibili automaticamente in un immaginario affascinante – quantomeno se si parla di videogiochi.
E così tra una serie canzoni di troppo e alcuni momenti di indubbia fascinazione, mi sono trovato a chiedermi se ciò che stavo giocando mi stesse piacendo davvero o se in realtà qualsivoglia forma di apprezzamento provassi era semplicemente dovuta a uno slancio empatico, dovuto alla stima per il lavoro del piccolo team e il rispetto per la loro cultura.
Tchia ha comunque una personalità forte, più forte di quello che possa lasciare intendere nelle prime ore di gioco. E si traduce in una voglia di esprimersi e lasciare il segno che però è in qualche modo ostacolata, per non dire castrata, dalla struttura di gioco e qualche limite tecnico.
Il titolo propone una interessante variazione sul tema “open world”, riutilizzando diverse meccaniche classiche del genere ma provando al tempo stesso a rendere più unica l’esperienza. Il mondo di gioco appare davvero enorme e ricco di ostacoli naturali. Le ampie distese marine circondano gli arcipelaghi teatro degli eventi e ogni cosa sembra più grande di noi – normale, trovandosi nei panni di una ragazzina.
L’esplorazione rappresenta per Tchia un punto di rottura rispetto al genere, perché introduce una libertà estrema – a tratti eccessiva – e al tempo stesso riduce gli strumenti a disposizione del giocatore per quel che concerne navigazione e orientamento.
Dopo il guidato incipit iniziale infatti, ci si trova immediatamente abbandonati a sé stessi, dovendo seguire qualche approssimativo indicatore sulla mappa e buttando l’occhio alla bussola per non perdersi. Questo perché la posizione effettiva del giocatore non è sempre disponibile, ma viene visualizzata correttamente al raggiungimento di un crocevia di indicazioni (i classici cartelli stradali, diciamo).
L’esplorazione rappresenta per Tchia un punto di rottura rispetto al genere
Si tratta di una scelta intrigante, che mira a premiare chi ha spirito d’avventura e a mettere i bastoni tra le ruote invece a tutti coloro che nel tempo si sono fin troppo abituati a seguire segnalini e scie luminose senza ragionare sulla propria posizione o destinazione. Qualcuno potrebbe apprezzare molto questo taglio più impegnativo, ma tutti gli altri?
Manca la classica “mano sulla spalla” che possa aiutare il giocatore a non vagare per troppo tempo nel nulla, possibilità più che concreta considerando le scelte compiute a livello di design del mondo, per non parlare delle abilità speciali di Tchia.
La piccola è infatti in grado di eseguire il Salto dell’Anima, ovvero prendere il controllo di oggetti inanimato o creature viventi. Sia questo il modo per lanciare un oggetto o attraversare terre, mari e cieli in velocità, la situazione non cambia: con lo scotto di un breve cooldown, Tchia può utilizzare questo potere per semplificare notevolmente la propria avventura.
Ci si può quindi trovare improvvisamente da una parte all’altra delle aree di gioco, passando da un cervo a un piccione, o perdersi a nuotare nel mare di pesce in pesce, trovandosi improvvisamente in zone sconosciute e con il solo senso dell’orientamento a guidarci verso la destinazione.
La cosa può capitare più spesso di quanto si possa pensare anche e soprattutto perché, quando vuole, Tchia è davvero un gioco splendido a livello visivo. Costruito sullo stile semplice, quasi stilizzato, dei suoi personaggi, il titolo acquisisce uno spessore tutto nuovo nel momento in cui lasciamo uno dei moli dell’arcipelago (i punti di trasporto del viaggio rapido) per salire sulla zattera e solcare i mari.
Il passare del tempo dona sfumature sempre diverse al cielo, che colora la superficie dell’acqua in modo davvero affascinante. Ma i colori sono nascosti anche nel mare, e basta un tuffo per scoprire rocce, coralli e vegetazione vivacissime, che accompagneranno la ricerca dei collezionabili marini – ma occhio a non consumare l’ossigeno per via della distrazione!
La sensazione di libertà è grande, avvolgente verrebbe da dire, però lo è al punto quasi da creare smarrimento. Sicuramente sarebbe stata apprezzata una maggiore concretezza per quel che concerne le possibilità di utilizzare la possessione da parte del giocatore, creando magari piccoli habitat in cui avere la certezza di trovare determinati animali (gli uccelli ad esempio, utilissimi per gli spostamenti) anziché dover girare in tondo nella speranza di trovare quello giusto per la nostra prossima attività. L’area di gioco è davvero gigantesca se proporzionata alla piccola protagonista, e l’assenza anche solo della possibilità di tornare all’ultimo punto di viaggio rapido visitato (che funziona solo da un molo all’altro)
In ogni caso per quel che concerne le potenzialità del traversal, siamo su livelli davvero ottimi
In ogni caso per quel che concerne le potenzialità del traversal, siamo su livelli davvero ottimi: si può navigare con la propria zattera, che può essere richiamata velocemente in ogni molo, correre e saltare utilizzando gli alberi come fionde, arrampicarsi sulle montagne con la stessa prestanza dei cavalli di Skyrim o dedicarsi al Salto dell’Anima per scandire ogni passo.
Esiste un indicatore di stamina, da potenziare raccogliendo gli specifici oggetti sparsi per la mappa, ma il giocatore smaliziato nella maggior parte delle occasioni saprà sfruttare al meglio i propri strumenti per non dover ricorrere a lunghe arrampicate come può avvenire, per esempio, in Breath of the Wild.
Tutta questa potenzialità e libertà nell’esplorazione potrebbe scatenare in alcuni giocatori un irresistibile impulso, capace di condurlo in ogni anfratto della mappa, di collezionabile in collezionabile. È un peccato quindi che le attività effettive nel gioco non siano così entusiasmanti e tendano ad essere ridondanti.
Dopo aver visto la prima volta ogni attività, il traino sarà principalmente l’ottenimento di quel collezionabile o potenziamento. In particolare, per quanto graziosi, i minigiochi di impilamento delle rocce e di intagliamento dei totem, non offrendo limiti di tempo o ostacoli nell’esecuzione, possono diventare tediosi e poco altro.
In generale la sensazione è che in Tchia sia stato creato un fantastico playground ricco di possibilità, ma che al di fuori della rappresentazione culturale e di specifici momenti di narrazione ben poco sia davvero memorabile. Molte delle situazioni di gioco conducono da un punto all’altro, come in una sequenza di fetch quest, lasciando intendere un potenziale narrativo che poi in realtà non trova mai reale espressione.
E capita che dopo aver compiuto azioni basilari e prive di trasporto emotivo, si viene accolti da una manciata di dialoghi e dalla consueta “canzone di ricompensa”, che dovrebbe segnare i progressi di Tchia nella socializzazione con i diversi e variegati nuclei abitativi locali – non solo umani, ovviamente!
Questi momenti musicali mostrano al meglio la cura riposta nella rappresentazione della cultura della Nuova Caledonia e mostrano una qualità di regia e fotografia sopra la media dell’esperienza. I minigiochi associati, che portano a suonare con diversi strumenti, risultano piuttosto semplici (con alcuni imprevisti picchi di difficoltà), ma possono essere comunque affidati alla riproduzione automatica dovessero stufare.
Al termine di queste sessioni è innegabile provare soddisfazione, ma spesso c’è da chiedersi a cosa sia dovuta. Molto spesso le interazioni di Tchia non passano dal conflitto o da un percorso di reciproca conoscenza, risultando in alleanze e rivalità non costruite in prima persona, quanto piuttosto scriptate. Se in assoluto certe situazioni risultano piacevoli, ogni esito sarebbe stato più apprezzabile se preceduto da adeguata costruzione. Per questo motivo alcuni interessanti slanci di trama, anche in ottica sentimentale, perdono un po’ di intensità.
Ogni esito sarebbe stato più apprezzabile se preceduto da adeguata costruzione
Se la libertà nell’esplorazione e il traversal rappresentano il punto di forza della produzione, qualcosa da rivedere sicuramente c’è nei combattimenti, principalmente legati agli scontri con i temibili Maano: queste creature fatte di tessuto saranno il pericolo più comune per Tchia e bisognerà presto imparare a trovare le adeguate contromisure.
Contrariamente alle attese, non vengono utilizzate armi come la fedele fionda, utilizzata per la raccolta dei materiali, o possessioni animali, ma ci si affida al Salto dell’Anima per prendere il controllo di oggetti incendiari e lanciarli così addosso ai nemici, riducendoli in cenere. L’idea non è neanche malaccio, se non fosse che in assenza di un level design che realmente valorizza questa meccanica, gli incontri diventano in breve un po’ confusi.
E in generale questo è un po’ il sunto di quello che è il valore delle meccaniche del gioco: se da un lato è innegabile riconoscere grande creatività e originalità, superato l’iniziale stupore e il conseguente apprezzamento, in breve tanti elementi diventano ripetitivi e perdono di smalto. Che si tratti di una pietanza da mangiare o di una canzone per il nostro ukulele, dotato del potere di muovere il tempo, ogni parte dell’esperienza è graziosa, ricercata e peculiare, ma non sempre sostenuta da obiettivi e traguardi che possano legarle in modo efficiente e sinergico alla progressione generale.
Sebbene le parole usate nella recensione possano far pensare il contrario, Tchia non è assolutamente un gioco insufficiente, anzi! È una produzione che riescie a sorprendere, emozionare, divertire e stupire, tutto nonostante le risorse ridotte e la limitata esperienza degli sviluppatori, che si traduce in molto momenti ricchi di ingenuità – anche a livello narrativo. Soprattutto dal punto di vista esplorativo, questo titolo presenta una interessantissima fusione tra quello che può essere il tradizionale open world e il videogioco supereroistico, lasciando immaginare quanto si sarebbe potuto rivelare migliore con qualche scelta un po’ più smaliziata nel design, in particolare per quel che concerne il Salto dell’Anima. Tchia però è un gioco dotato di un grande cuore, che nelle giuste mani può diventare un’esperienza esilarante per dinamiche e appagante a livello emotivo. Le sue incertezze non lo rendono un gioco universalmente apprezzabile, ma danno colore a una piccola perla grezza, in grado di risplendere una volta dedicatale la giusta attenzione. |
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