Non possiamo certo nasconderlo: dopo il primo contatto con Armored Core VI: Fires of Rubicon (già prenotabile da GameStop con questo link) in redazione si è iniziato a provare un discreto hype per il nuovo titolo targato From Software, che abbandona dopo tanto tempo le punitive sfide all’arma bianca per portarci a bordo di robottoni colossali dotati della migliore artiglieria che mercenari e corporazioni possano permettersi.
E fin dall’inizio questo viaggio suona profondamente diverso ma al tempo stesso in linea con quello che è il nuovo corso del team, grazie alla maturità acquisita nel corso degli anni e dei titoli di successo messi alle spalle. Armored Core non è un franchise che da solo possa muovere interessi planetari, ma la sua lunga assenza dal palcoscenico offre a From Software l’occasione di ripartire da zero, riscrivendo le regole e le ambizioni per la saga.
La sfida che li attende non è quindi solo legata al confronto col passato, ma è anche e soprattutto una dimostrazione di come un tipo di gameplay totalmente differente da quella che è ormai convenzione possa essere effettivamente nelle loro corde.
Perché la saga di Armored Core è storicamente avanguardia, sia dal punto di vista tecnico che del gameplay, riuscendo nel 1997 a spremere la prima PlayStation come poche cose all’epoca. Sfruttando i modelli generosi, e alternando con sagacia spazi stretti e aree aperte con una draw distance molto contenuta, contribuì a creare un immaginario futuristico che riuscì a consolidarsi anche nella generazione di console successiva, presentandosi su PlayStation 2 in una forma più compatibile con la visione originale.
In seguito abbiamo visto un susseguirsi di esperimenti più o meno riusciti, tra sequel diretti, spin-off e reboot risalenti a oltre 10 anni fa, senza però lasciare il segno. Tempi duri per i mech nel periodo a cavallo tra le generazioni PS360 e PS4/One, un po’ come per buona parte del gaming giapponese, schiacciato dal successo dei brand occidentali e dall’ottusa volontà delle board direttive di perseguire con tutte le forze.
Oggi From Software ha la consapevolezza e la fiducia di poter riprendere in mano la serie e presentarci un Armored Core VI: Fires of Rubicon che possa fare breccia nel pubblico, sfruttando la il proprio credito verso i giocatori per rimettere in discussione un brand storico. Ed è con il medesimo stato d’animo che Bandai Namco ci ha invitato per testare con mano (finalmente) il gioco e scoprire quindi in prima persona la direzione intrapresa dal team di sviluppo.
Abbiamo potuto provare una build per PC piuttosto avanzata, che ci ha immerso in una nuova partita senza vincoli legati a save file o account specifici: l’esperienza avuta quindi è verosimilmente compatibile con quello che sarà il gioco finale (che, ricordiamolo, esce il 25 agosto), cosa che ci ha permesso di valutare alcune delle scelte compiute in fase di design dell’esperienza.
Chiaramente ogni titolo di From Software porta ormai con sé lo “stigma” di Dark Souls, almeno per quel che concerne la difficoltà, e Armored Core VI: Fires of Rubicon effettivamente non fa molto per discostarsi dall’impegno a cui ormai milioni di giocatori nel mondo sono abituati. Il primo sintomo è evidente, e si ritrova nell’assenza di un qualsivoglia selettore di difficoltà. Esperienza dura e pura baby, non si scappa!
From Software ha l’occasione di ripartire da zero, riscrivendo le regole e le ambizioni per la saga
Ciò non si traduce necessariamente in un gioco che si accanisce costantemente sul giocatore come un cacciatore sulla preda, anzi, spesso ci è sembrato che l’incedere fosse fin troppo agile, per non dire rilassato, roba da far abbassare la guardia.
Errore da principiante, ovviamente! Perché se da un lato il gioco risulta accomodante, non lesina picchi di difficoltà degni delle aspettative, la cui ripidità può essere in alcuni casi determinata dall’approccio stesso alla missione. C’è da ragionare prima di agire, e al momento di agire le vie di fuga scompaiono, lasciando spazio allo scontro di fuoco e metallo.
E prima di tutto bisogna fare conoscenza con ciò che di diverso c’è in Armored Core VI: Fires of Rubicon rispetto ai giochi più tradizionali, perché qui ci troviamo di fronte a uno sparatutto in terza persona basato sui mech, che non ha pretese simulative ma che al tempo stesso richiede un po’ di pazienza nel padroneggiare le sue severe regole.
Prendiamo in considerazione il movimento, centrale nello stabilire il feeling con il giocatore. Purtroppo (o per fortuna, dipende dai gusti) non abbiamo tra le mani un titolo arcade alla Zone of the Enders, in cui ogni nostra azione è responsiva al millesimo e gli unici cooldown sono quelli legati alle mosse più impegnative.
Ci troviamo di fronte a uno sparatutto in terza persona basato sui mech, che non ha pretese simulative
Nel titolo di From Software dovremo fin da subito imparare a rimanere sempre in movimento durante ogni nostra azione, non solo difensiva ma anche offensiva. Rimanere troppo tempo nella stessa posizione ci porta a diventare presto vulnerabili agli accerchiamenti e ci rende bersagli facili per i troppi cecchini (e cannoni) che troveremo lungo il nostro cammino.
Il nostro robottone (o meglio Armored Core, come da titolo) si muove anche con una certa agilità, potendo utilizzare un boost limitato per librarsi in aria o spostarsi in velocità lateralmente, ma è anche in grado di danzare sulla superficie del terreno – quasi pattinasse – con facilità. Il tutto però va gestito tenendo presente l’inerzia del mezzo, che va frenato con i giusti tempi nel cambio di direzione e che, dovendo affidarsi spesso ad armi meccaniche, non è necessariamente in grado di sparare con una continuità tale da coprire il nemico con fuoco di soppressione.
Pianificazione e risorse, con una discreta attenzione in battaglia: questo è quanto richiesto al giocatore che vorrà affrontare Armored Core VI: Fires of Rubicon a viso aperto. Non c’è molto spazio per l’improvvisazione, perché l’equipaggiamento che scegliamo durante il briefing di missione è quello con chi va a portata a termine, senza possibilità di cambi in corsa. E questo comprende anche i kit di riparazione, l’equivalente delle fiaschette Estus di Dark Souls.
Questo vuole dire che al netto delle personalizzazioni (non mettiamo limite alla creatività dei giocatori) tendenzialmente si dispone di un fuoco primario affidabile, ma che richiede una certa insistenza per avere la meglio sui nemici, un fuoco secondario molto più efficace ma sottoposto a un consistente cooldown e un potente attacco ravvicinato con la lama, utile per infliggere grossi danni e superare gli scudi. Scudi che possiamo equipaggiare sacrificando un’arma, tra l’altro. Come dicevamo, libertà al giocatore.
Le nostre munizioni però sono limitate, e a meno che la missione non preveda punti di recupero/ristoro, faremo bene a pesare la frequenza con cui utilizzeremo le nostre armi più potenti. Perché la tentazione di ripulire un’intera area di fanteria nemica con i nostri missili a ricerca è forte, ma forse è meglio imparare ad abbattere le minacce minori con un sapiente uso del fucile/mitragliatore. Ci viene anche in aiuto il lock, con cui avere la certezza di mandare a segno buona parte dei nostri colpi (oltre ad essere FONDAMENTALE nelle sfide più impegnative).
La cosa è importantissima in alcune missioni all’apparenza molto semplici, che prevedono ad esempio l’infiltrazione dopo aver sconfitto 2-3 nemici specifici. Sfortuna (per il giocatore) vuole che tutto lo stage possa essere una grande trappola, risultando pieno di cecchini capaci di abbatterci in pochi colpi da una grandissima distanza, cannoni potenti che ci prendono di mira appena giriamo l’angolo sbagliato e tanti mech a braccarci per rendere quasi impossibile la progressione.
Va quindi scelto con attenzione il percorso da compiere per aggirare i cecchini, cercando di non attirare l’attenzione del robot di difesa principale (il boss) mentre staniamo i cannoni e rendiamo inoffensiva la milizia di terra. Non sempre questa sequenza mentale è immediata, anche perché Armored Core VI: Fires of Rubicon sembra tendere con una certa facilità ad alternare missioni estremamente facili ad altre… infide, mettiamola così.
L’enfasi sulla verticalità e l’esplorazione di un level design “tridimensionale”, alla ricerca delle differenti opzioni di approccio, è evidente.
L’aspetto più apprezzabile della gestione delle missioni (per quello che si è visto) sta nella varietà degli obiettivi e nell’ampiezza di alcune aree. Seppur non entusiasmante in senso stretto, è comunque divertente passare di obiettivo in obiettivo solcando i cieli con i reattori avanzati (che consumano velocemente la nostra risorsa di energia) per scoprire qual stratagemmi abbiano approntato le linee di difesa per fermarci.
Tranne casi specifici, il design di ogni missione cerca di non limitarsi a un semplice spostamento da un punto A a un punto B, anzi, spesso prova a cambiare le carte in tavola per trasportare (esempio) il giocatore in ambienti chiusi e che al tempo stesso richiedono grande abilità nel movimento, oppure stravolge la scala facendogli abbordare strutture meccaniche gigantesche da demolire pezzo pezzo, mentre si risponde al fuoco nemico. L’enfasi sulla verticalità e l’esplorazione di un level design “tridimensionale”, alla ricerca delle differenti opzioni di approccio, è evidente.
Trattandosi di un titolo di From Software, è impossibile non chiamare in causa le boss fight. Che dire in merito se non che ci troviamo letteralmente sulle montagne russe, senza sapere cosa ci attende e costantemente presi di sorpresa?
La prima vera sfida che abbiamo dovuto affrontare ci ha davvero ricordato gli imponenti e spietati skill-check dei soulslike. Dopo un percorso fatto di scambi di colpi con nemici quasi inoffensivi – al massimo fastidiosi, diciamo – Armored Core VI: Fires of Rubicon ci ha sbattuto in faccia il classico nemico ostico, dotato di attacchi non sempre di facile lettura e che… se ne sta in aria. Una discreta fatica venirne a capo, in particolare perché il suo moveset fatto di razzi e mortai generava una pressione costante e spinge a cercare ripari, quando invece la soluzione migliore era cercare lo spazio tra gli attacchi e caricarlo in turbo con colpi di lama.
In tutto questo è stato evidente come mandare a segno una serie di colpi in un lasso di tempo contenuto permettesse di “stordire” il boss, mettendolo temporaneamente in uno stato vulnerabile in cui è possibile infliggere danni ingenti. Un po’ come in Sekiro, volendo cercare un riferimento tra le opere della stessa software house. In pratica, contro i boss non è sempre utile temporeggiare, anzi!.
Successivamente la difficoltà è scesa parecchio, trovandosi ad affrontare mech nemici più o meno simili al nostro (ma non diciamo di più) non troppo impegnativi, andando invece ad alzare l’asticella nel momento in cui sono entrati in scena i classici mezzi blindati e corazzati, da prendere un po’ per sfinimento. Non abbiamo avuto modo di affrontare scontri con piloti estremamente skillati (come abbiamo imparato ad amare in anime come Gundam, per dire), né sappiamo se saranno presenti, ma sicuro sarebbe un’interessante variazione sul tema del confronto di potenze a cui abbiamo assistito.
È stato comunque molto divertente affrontare la missione che ci vedeva impegnati a distruggere una nave mineraria militarizzata, dotata di un potentissimo occhio laser a cui risultava estremamente difficile sfuggire. L’arte della battaglia però prevede che il vincitore possa essere colui che sfrutta al meglio l’ambiente e le debolezze del nemico, perciò è bastato nascondersi nella giusta posizione e riemergere ogni volta dopo il colpo laser – a ripetizione – per avere la meglio. Un errore di bilanciamento? Una scelta di design? Fatto sta che ci ha ricordato il mondo di giocare di davvero tanti anni fa.
Non abbiamo però potuto avere la meglio su tutti i rivali, perché a un certo punto si è ripresentato un picco di difficoltà piuttosto palese e non abbiamo avuto il tempo materiale per affrontarlo a dovere (per cause di forza maggiore e non dipendenti da Bandai Namco). È stato piuttosto curioso vedere la maggior parte degli invitati sbattere la testa per capire come affrontare questo specifico boss riuscendo al tempo stesso a mantenere la calma… spesso senza riuscirci. In puro stile From Software, verrebbe da dire!
Questa articolata serie di sistemi e meccaniche non funzionerebbe a dovere se il gioco non fosse solido tecnicamente, ed effettivamente la nostra prova non ha evidenziato particolari criticità dal punto di vista grafico né del gameplay, anzi. Gli ambienti enormi sono completamente esplorabili senza evidenze di caricamenti, la visibilità è sempre eccellente sia per l’ottima pulizia grafica che per l’abbondante quantitativo di dettaglio chiari e leggibili, senza compromessi nell’estensione del campo visivo, se non quando appositamente studiati per l’effetto scenico.
Ovviamente un futuro meccanico fatto di ferro, ruggine e polvere può non avere lo stesso fascino di un mondo di fantasia, e infatti la capacità di immergere il giocatore di Armored Core VI: Fires of Rubicon patisce un po’ in alcune missioni scolastiche e prive di elementi di spicco a livello visivo e di geometrie.
La prima sfida vera davanti a cui ci siamo trovati ci ha davvero ricordato gli imponenti e spietati skill-check dei soulslike.
Diverso è quando si spinge a livello creativo, anche solo per dare forma a imponenti fabbriche o gargantuesche strutture mobili su gambe: quando si spinge sull’azzardo scenico, sia che si tratti di evocare immaginari da fantascienza o semplicemente strutturare idee classiche in modo più imponente di quanto si possa attendere, il gioco diventa davvero una meraviglia da osservare e giocare, diventando ricco di momenti “wow”.
Considerando poi che c’è ancora molto da scoprire, come lasciano intuire i vari trailer, ci aspettiamo che dopo un inizio magari un po’ prudente e attento alle necessità di apprendimento del giocatore, a un certo punto si accenda la scintilla che andrà a elevare il coinvolgimento scenico sia negli stage che negli scontri boss, anche per dare più corpo alla storia.
E la storia è l’elemento con cui ci troviamo a chiudere questa anteprima, inevitabilmente. Dopo un inizio che non lesina l’utilizzo di CG e di doppiaggio, Armored Core VI: Fires of Rubicon sceglie subito di abbassare i termini e proporre una narrazione quasi asettica, metodica, proprio come ci si aspetterebbe visto il contesto.
Il giocatore infatti veste i panni di un mercenario senza nome, il cui obiettivo è recuperare un’identità da utilizzare in battaglia per partecipare alle battaglie in corso sul pianeta Rubicon, diventato punto nevralgico nello spazio conosciuto per la presenza sul suo suolo del Coral, una sostanza dall’enorme potenziale energetico e al tempo stesso causa di gravissimi incidenti nel passato.
Ma tant’è, quando ricchezza chiama le multinazionali rispondono e il rischio diventa un margine trascurabile. Ci troviamo quindi nel mezzo delle quotidiane sfide tra mercenari e corporazioni, senza sapere nulla del nostro passato e avendo come guida la voce del supervisore Walter, misteriosa figura che lavora dietro le quinte interfacciandosi con diverse realtà sul campo come solo il migliore dei doppiogiochisti farebbe. Potremo fidarci?
Non c’è molto spazio per riflettere in merito, in quanto la storia viene distillata in piccoli bocconi poco prima della missione e si basa solo su linee di testo e voci. Non vediamo volti, non c’è gestualità. Tutto è impersonale, freddo e spietato, come la realtà stessa degli eventi che vede ogni pilota sacrificabile e sostituibile nella persecuzione dell’obiettivo finale. Anche le provocazioni dei mercenari – rivali e colleghi – cadono nel vuoto, nel grande disegno degli eventi.
La speranza è che proseguendo negli scontri e nelle missioni si arrivi a incontrare chi è a conoscenza del soldato di cui abbiamo assunto l’identità, svelandoci qualcosa in più sul mondo e su cosa si muova dietro le quinte, andando a creare una linea narrativa divergente rispetto alla semplice esecuzione degli ordini. Al momento è difficile esprimersi in merito, ma l’abilità che From Software ha mostrato con gli anni nel realizzare storie che si compongono pezzo pezzo, anche il più piccolo, nelle mani del giocatore ci lascia ottimisti.
L’abilità che From Software ha mostrato con gli anni nel realizzare storie che si compongono pezzo pezzo, anche il più piccolo, nelle mani del giocatore ci lascia ottimisti
In generale l’esperienza con Armored Core VI: Fires of Rubicon è stata positiva: il mondo di gioco affascina, tecnicamente si presenta bene e il gameplay – dopo un breve rodaggio – risulta intrigante e divertente. Le riserve al momento riguardano esclusivamente il modo erratico con cui viene gestita la difficoltà e l’ingenuità del design di alcune missioni, così come la storia che parte davvero come un diesel. Tutte cose che potranno trovare completa espressione, e superando così le attuali incertezze, nella versione definitiva del gioco.
Nel mentre, che dire dell’hype che provavamo per il gioco? Verrebbe da dire che dopo questa prova rimane intaccato, perché niente di quanto abbiamo visto è risultato mal fatto (anzi) e tutto quello che ci attende è costruito su basi estremamente solide, oltre a poter godere di una libertà di espressione e di un potenziale che in questa fase non è evidentemente possibile sfoggiare al meglio. Vi rimandiamo alla nostra recensione per il giudizio finale!
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