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Ultros – Recensione

Ancor prima che un videogioco, Ultros è un viaggio introspettivo, un’indagine interiore e ricchissima di spunti di riflessione a caccia di un senso, di un significato, di una parte di sé stessi celata, sopita, ancora ignota.

Nelle tappe che dall’annuncio hanno lentamente condotto alla pubblicazione effettiva della creatura di Hadoque, piccola software house composta da una manciata di artisti e programmatori, i trailer, le interviste e le dichiarazioni rilasciate dagli stessi fautori puntavano in un’unica direzione: ancor prima che da giocare, Ultros vuole essere un’opera da osservare, leggere, ammirare e interrogare costantemente.

L’epopea all’interno del misterioso Sarcophagus, gigantesca stazione spaziale che vaga nello spazio siderale, si pone come una sorta di pellegrinaggio dantesco in un ecosistema solo all’apparenza inerme, avvinghiando la misteriosa protagonista, e di rimando l’utente, in una missione dagli orizzonti filosofici, cosmogonici, faustiani.

I primi minuti nei panni di Ouji sono disorientanti, confusionari, paradossalmente claustrofobici. L’horror vacui ostentato da ogni ambientazione, straripanti di colori vibranti, forme bizzarre e fondali lussureggianti che aprono ad ambienti spesso sconfinati, soffocano la vista e costringono immediatamente ad adeguarsi ad uno scenario alieno che toglie qualsiasi riferimento, rispetto ai classici stilemi a cui qualsiasi videogiocatore navigato è stato abituato in anni e anni di metroidvania bidimensionali. L’esplorazione è titubante, la progressione sincopata. Disarmati, ci si chiede lo scopo del proprio peregrinare, mentre ci si domanda quali siano gli elementi, le creature, le strutture con cui sia realmente possibile interagire.

Lo smarrimento dura qualche minuto. Giusto il tempo di trovare una spada, di ricevere le prime e parziali coordinate da un personaggio anch’esso incastrato nel loop temporale del Sarcophagus, di prendere dimestichezza con lo scenario che a poco a poco svela e dichiara il suo effettivo grado di interazione.

È l’inizio di un viaggio della durata di una quindicina di ore che non fornisce, né vuole fornire, risposte certe, definizioni consolidate, verità assodate. L’obiettivo ultimo di Ouji diventa chiaro, le intenzioni degli altri abitanti della stazione spaziale si svelano, gli ostacoli lungo il cammino prendono forma, ma il Sarcophagus cela al suo interno non solo l’origine della vita, e forse del cosmo intero, ma anche il segreto del libero arbitrio.

Va da sé che, come in ogni metroidvania bidimensionale che si rispetti, non mancano boss da abbattere, nemici di ogni forma che cercheranno di far valere la loro superiorità numerica e sentieri nascosti da scovare, ma trama, dialoghi, dettagli ravvisabili tramite l’osservazione diretta dello scenario fungono più che altro da spunti di riflessione. Sul ben e sul male, ovviamente, ma anche sull’effettivo ruolo della protagonista stessa che, recuperando la simmetria di cui sopra, getta inquietanti luci anche sulla complicità dell’utente nello sconvolgimento dell’equilibrio del Sarcophagus con uno sottile, tenue eppure insistito sfondamento della quarta parete efficace e a tratti drammatico. Perché scegliere la via della violenza, per esempio? Da videogiocatori, e quindi da esseri umani, siamo davvero costretti a seguire un binario impostoci da altri? Non c’è davvero un altro modo?

La magia si innesca non appena vi accorgerete che Ultros propone un continuo loop

Si tratta di una delle tantissime domande che l’intreccio narrativo di Ultros innesca, ma in breve, complici tanti rimandi a film, romanzi e opere musicali disciolte nel gioco, vengono toccati innumerevoli altri temi esistenziali, religiosi, etici.

Come lasciato intendere, non si tratta solo di narrazione, plot e dialoghi. Ultros sviluppa il suo dialogo costante con il giocatore in combinazione con il suo splendido art design e l’ispiratissima colonna sonora. Ogni tanto, nella cacofonia cromatica di ogni scenario, si perde di vista qualche nemico, qualche oggetto, qualche piattaforma, è vero, ma questi rari momenti di confusione sono un prezzo che si paga con piacere di fronte allo spettacolo psichedelico messo in scena dagli artisti di Hadoque. Ogni anfratto del Sarcophagus brilla di luce propria e vi regalerà dei quadr in movimento che finirete per immortalare in qualche modo. Il carico emotivo di ogni panorama, conversazione, battaglia, è naturalmente ingigantito da una soundtrack ispiratissima, capace di sottolineare e accompagnare magistralmente l’azione su schermo.

L’azione su schermo, certo, perché sebbene Ultros si guadagnerà un posto d’onore nelle memorie di chi deciderà di goderselo per il suo aspetto artistico, anche sul fronte del gameplay c’è davvero pochissimo di cui lamentarsi.

Tanto per cominciare, siamo di fronte ad un metroidvania che baratta la complessità sommaria della mappa, con una meccanica che avvicina il gioco al genere dei roguelite. A ben vedere, soprattutto all’inizio, non ci saranno così tante biforcazioni, né aree segrete da raggiungere.

La magia si innesca non appena vi accorgerete che Ultros propone un continuo loop. Finirete il gioco una prima volta dopo una mezz’ora appena, solo per accorgervi che vi risveglierete nello stesso punto da cui avevate iniziato, privi di quasi tutte le abilità che avevate appreso. Lo skill tree, che dalla sua non propone tantissime abilità, vi consente progressivamente di ampliare lo combo, migliorare le statistiche di Ouji, imparare nuove mosse con cui raggiungere nuove parti della stazione spaziale.

Per sbloccare i potenziamenti, dovrete abbattere le creature che abitano il Sarcophagus molte delle quali sono assolutamente innocue sulle prime. Mangiando determinati frutti, tuttavia, avrete la possibilità di preservare alcune abilità tra un loop e l’altro. Non solo. Piantando semi ed attivando meccanismi, renderete accessibili nuove strade e aree della stazione spaziale una volta ricominciata l’avventura. Ogni loop sarà così diverso dal precedente e vi consentirà di esplorare sempre più scenari, prima di completare la missione, avvicinandovi un po’ di più al vero e conclusivo finale del gioco.

La meccanica è tanto semplice, quanto dannatamente efficace nell’incentivare e sorprendere costantemente il videogiocatore, che vedrà schiudersi lentamente la mappa, svelando nuovi biomi e boss da abbattere.

In tutto questo, il combat system svolge il suo compito, senza tuttavia stupire. Complice un bestiario non così vario, siamo certamente lontani dalla profondità e complessità di Guacamelee! o di Hollow Knight, sebbene non manchino affatto scontri emozionanti e divertenti, grazie soprattutto all’elevato ritmo d’azione.

Viste le premesse, vista la magnificenza sul piano artistico, era forse lecito aspettarsi qualcosa di più in termini di profondità del combat system, ma ciò scalfisce di poco la caratura cristallina di un titolo piacevolissimo anche da giocare.

Conclusioni

Ultros è un piccolo capolavoro, un’opera ispiratissima che va vissuta con occhi, orecchie e mente aperte. Artisticamente maestoso, l’opera di Hadoque tratta brillantemente temi filosofici, etici, religiosi che spingeranno alla riflessione l’utente.

Anche da giocare siamo di fronte ad un metroidvania solidissimo. La meccanica legata al loop è efficacissima e sprigiona progressivamente la complessità della mappa messa a disposizione.

Non ha la stessa profondità di Hollow Knight e questo lo si vede soprattutto nel combat system, ma siamo di fronte ad un titolo semplicemente imperdibile sia per gli amanti del genere, sia per chi è a caccia di un’avventura originale e suggestiva.