Nel mondo del videogioco è normale che un’esclusiva come Stellar Blade (già prenotabile da GameStop, a questo link) finisca al centro delle conversazioni, anche per i motivi più disparati. Dopo tutto si parla di titoli che in un modo o nell’altro vanno a rappresentare un’intera libreria e a identificare l’utenza, quando per una questione di gusti e quando, più semplicemente, per un ingenuo ma anche irresistibile campanilismo.
E così, con l’annuncio definitivo di questa ormai molto prossima esclusiva PlayStation 5, la macchina del marketing e della comunicazione si è mossa con prepotenza, mostrandoci quanto il più possibile si potesse di quelle che erano le potenzialità di questa produzione della coreana ShiftUp.
Abbiamo così avuto modo di fare la conoscenza di Eve, l’affascinante protagonista, finita al centro di ogni singola conversazione che ruotava attorno al gioco: bellissima e forte in battaglia, ha richiamato subito alla memoria alcune delle eroine di maggiore successo provenienti dall’oriente, come Bayonetta della serie omonima, o 2B di NieR: Automata.
Inizialmente i paragoni sono nati in modo piuttosto genuino, pescando le influenze estetiche, artistiche e di world building, andando quindi inevitabilmente a richiamare le due eroine di PlatinumGames piuttosto che una più celebre, ma sicuramente distante, Lara Croft.
Con il tempo però la conversazione si è andata inevitabilmente a estremizzare: Stellar Blade sarebbe un erede spirituale di NieR: Automata, perché – e qui arriva la cosa curiosa – durante una conversazione sul futuro del suo franchise più importante, Yoko Taro avrebbe mostrato apprezzamento per i lavori di Kim Hyun Tae e conseguentemente consigliato di tenere d’occhio il titolo.
Se aggiungiamo poi che il 40% della colonna sonora del gioco sarà realizzata dallo studio Monaca, guidato dall’autore della OST di NieR: Automata Keiichi Okabe, allora è fatta: la nuova esclusiva PlayStation 5 non solo è una produzione da tenere d’occhio in quanto disponibile solo su console Sony, ma è anche potenzialmente un titolo di grande caratura artistica, nuovo e fulgido esempio di quei giochi che sotto un’apparenza disimpegnata “nascondono più di quanto l’occhio possa vedere”.
Ci è stato sbattuto in faccia un lato di Eve (il lato B, ovviamente) propedeutico a scatenare chiacchiere e conversazioni
E l’occhio vede tantissimo, pure troppo: fin dai primi istanti ci è stato sbattuto in faccia un lato di Eve (il lato B, ovviamente) non necessariamente utile a identificare le qualità del progetto, ma sicuramente propedeutico a scatenare chiacchiere e conversazioni. Tutine aderenti, sedere in bella vista, forme estremizzate e bellezza fuori scala. Tutto sfoggiato con orgoglio, respingendo ogni accusa di sessualizzazione della donna in nome della libertà di apprezzare il bello.
A un certo punto si è arrivati anche alla folle comparazione tra Eve e quella che sembra essere la protagonista del prossimo Fable, enfatizzando l’idea di una contrapposizione tra lo sviluppo occidentale, appesantito dalla cultura woke e dal politically correct (sulla scia della polemica legata a Sweet Baby Inc.), e un più leggero e apprezzabile mondo orientale fatto di bellezza e piacere. Che mi sembra un po’ eccessivo, se l’innesco sono un paio di chiappe e una lama per affettare nemici robotici.
Onestamente della presunta polemica sulla sessualizzazione di Stellar Blade poco mi interessa. La bellezza, in particolare quella provocante e ammiccante, vende da sempre, in tutti i media, e non lo scopriamo certo oggi ne noi né tantomeno i character designer che mettono un personaggio come Eve al centro del proprio gioco e della comunicazione. Basta essere onesti e concordare su come, sì, la protagonista sia stata creata per ottenere un personaggio particolarmente sensuale e in grado di catturare l’attenzione dei giocatori al primissimo sguardo, giocando sul filo del realismo per dare vita a una figura quasi impossibile da trovare nel mondo reale.
Apprezzare il bello non è un delitto, in particolare nel mondo della fantasia: l’immaginazione e la creatività si trovano spesso in contrasto con il realismo e tanti progetti dal grande potenziale estetico rinunciano a visioni originali, azzardate e anche non plausibili in nome della necessità di creare contesti in cui la persona comune possa ritrovarsi, possa sentirsi al sicuro e rappresentata. Obiettivo nobile, che però si può perseguire ben consci di quello che si va a perdere.
Apprezzare il bello non è un delitto, in particolare nel mondo della fantasia
Perché una storia di fantasia può essere fatta di supereroi da comics, di guerrieri da manga e di creature magiche, così come essere ambientata in mondi virtuali, pianeti distanti o realtà sostenute da regole totalmente distanti a quelle del mondo reale. È quello il bello! Perché limitarsi al pianeta Terra, quando possiamo condividere paradisi pastellati, azzardi di pennelli o distopie oscure dove ogni elemento è pensato e realizzato con in mente regole imprevedibili?
E va bene così, perché siamo già costretti a sorbirci la realtà ogni giorno e ci meritiamo di staccare la spina, evadere (con consapevolezza) dal grigiore che spesso ci circonda. Che lo si faccia nella nostra mente o esplorando gli immaginari creati da altri, non fa alcuna differenza: abbiamo il diritto alla leggerezza, alla frivolezza, al distacco e, in un certo senso, alla deresponsabilizzazione dal peso di alcuni giudizi morali che mal si applicano alla fantasia, specie quando nel quotidiano pratichiamo l’ipocrisia.
Per questo non si dovrebbe neanche perdersi in crociate alla difesa di Eve, non c’è davvero bisogno. È una ragazza (finta) bellissima, e piace per quello. Perché vergognarsi? Che poi alla fine si rischia di prendere delle cantonate clamorose, come quando si è cercato di far passare per “realistico” il suo fisico in quanto costruito sulla base del body scan di una modella realmente esistente. Una base comunque ampiamente rielaborata e ben distante dall’originale, se mi posso permettere.
Senza entrare nel merito della cultura dell’immagine coreana, dove si inseguono ideali di bellezza folli che hanno portato a una preoccupante diffusione della chirurgia estetica, in quanto l’aspetto esteriore è uno dei veicoli principali di affermazione sociale. Ormai è praticamente impossibile capire se e quanto le persone del mondo dello spettacolo abbiano ricorso al bisturi, eppure qualcuno pur di difendere una ragazza digitale è pronto a sposare come “reale” questa disturbante piaga sociale.
Tutto molto coerente con lo storico del character designer e con i precedenti titoli di ShiftUp
Questa è la situazione: Stellar Blade ha come protagonista una donna esageratamente appariscente, estremamente sessualizzata e pronta a incarnare un immaginario di rettitudine morale da esprimere anche attraverso la propria bellezza. Tutto molto coerente con lo storico del character designer e con i precedenti titoli di ShiftUp, vere e proprie raccolte di personaggi femminili che vanno ben oltre la sessualizzazione e sfociano nel soft-porn.
Quella che potrebbe invece essere una conversazione realmente interessante in merito alla questione è relativa all’uso che si fa di questa bellezza e quali possano essere i messaggi veicolati dalla sovraesposizione di un corpo femminile così “prepotente”. Perché c’è differenza tra la libertà di godere di qualcosa che ci piace e l’elevare l’oggetto del nostro apprezzamento a un livello superiore di una scala di valori costruita non si sa bene su che basi.
Ogni individuo è dotato di differente sensibilità e può più o meno apprezzare un approccio così sfacciatamente “mercificato”, è lecito e giusto, ma l’importante è sempre riuscire a identificare una chiave di lettura corretta. Molti ricorderanno come ai tempi di Bayonetta (del primo come del secondo capitolo) si parlò molto di come il giocatore fosse in controllo di una figura femminile provocante, ammiccante e tendenzialmente molto esplicita in alcuni contesti. Ma perché abbiamo accettato una figura come la strega di Umbra e invece fatichiamo a comprendere Eve?
Perché Bayonetta era “estrema” in tutto, costruita su un corpo longilineo oltre ogni razionalità, con gambe lunghissime e una testa relativamente piccola, le cui peculiarità erano centrali nell’ideazione di ogni animazione, fosse solo di idle, di esplorazione e di combattimento.
Ogni individuo è dotato di differente sensibilità e può più o meno apprezzare un approccio così sfacciatamente “mercificato”
Nulla era lasciato al caso, compreso il suo essere sempre in completo controllo: nel mondo di Bayonetta le figure maschili ruotano attorno alla protagonista, in un modo o nell’altro attirate dal peculiare fenotipo, ma sono costantemente tenute sul chi vive, senza concedere nulla di più di quanto le sia realmente utile. Luka è infatuato e viene guidato, attraverso un flirt che spesso si prende ben poco sul serio, verso un percorso che a lui stesso è conveniente per risultati e crescita personale.
Enzo è un uomo d’affari (per usare un eufemismo), sposato, sempliciotto e quasi non percepisce Bayonetta come oggetto sessuale, quanto piuttosto come strumento per arrivare ai suoi obiettivi. Ne è intimorito, ma la ammira e cerca costantemente il suo aiuto. Non parliamo poi di Rodin, l’unico con cui sembra poterci essere una conversazione paritaria e con cui eventuali momenti di “esibizionismo” diventano più un gioco dell’eccesso che altro, come se entrambi fossero ben consapevoli della presenza del giocatore.
Conoscere e metabolizzare gli eccessi di Bayonetta è utile poi, a lungo termine, ad apprezzare maggiormente i momenti in cui non tutto si può risolvere con esibizionismo e carisma: la piccola Cereza nel primo gioco, Loki nel secondo e Viola nel terzo sono tutti pezzi di un puzzle (più o meno riuscito), utile a comporre la personalità della strega e condurla a una presa di coscienza che contribuisce ad elevare le situazioni in cui si dimostra così sopra le righe, in quanto sempre, appunto, in controllo della situazione e di sé stessa.
Un percorso simile si può fare anche nel caso di 2B, l’eroina che Yoko Taro mette al centro del suo meraviglioso NieR: Automata (giocatelo se non l’avete fatto). Anche lei è passata da una prima fase in cui non si è fatto altro che guardarle sotto la gonna, anche e soprattutto a causa di alcune meccaniche di gameplay (l’autodistruzione) che la portavano a esporre le proprie forme in modo piuttosto eloquente, generando un numero spropositato di gag a tema e meme folli per cui il suo sedere avrebbe avuto più poligoni di Ocarina of Time.
NieR: Automata però è un gioco costantemente consapevole della bellezza della propria protagonista, ed è farcito di situazioni in cui il giocatore viene in un certo senso giudicato per l’eventuale attrazione provata verso il proprio avatar. Dagli easter egg legati al posizionamento della telecamera (tipici della serie), passando per alcune bizzarre linee di dialogo nei tutorial, si arriva perfino a esplicitare prepotentemente il giudizio nei confronti di chi ha il controller in mano con una linea di dialogo che si può letteralmente definire “dirompente”.
In tutto questo però non si dimentica mai, neanche per un’istante, come al centro di NieR: Automata ci sia l’umanità, intesa sia come specie che come carattere distintivo dell’essere umano. I personaggi che ci troviamo a controllare ci appaiono standardizzati, privi di peculiarità e adornati con la cura che si addice a delle bambole di porcellana, scevre però dei colori che solitamente le contraddistinguono e quindi manchevoli di tratti unici – che potremmo associare a una personalità tutta da costruire.
Il giocatore lo imparerà col tempo, ma la simbologia è evidente: i personaggi sono canovacci, tele su cui imprimere le proprie esperienze e su cui tracciare i personalissimi distinguo tra dovere e morale. 2B è rigida, severe, quasi repressa, tutto in nome della missione e dell’obiettivo finale. Il suo aspetto è irrilevante agli occhi della totalità dei comprimari e gli unici a goderne, all’apparenza, siamo noi: perché quindi questa scelta? Forse per simboleggiare che anche quando l’obiettivo è la salvezza dell’intera specie, l’uomo sarebbe capace di mettere in primo piano i suoi istinti primordiali in fatto di estetica?
Non andrei oltre con l’analisi di NieR: Automata (che meriterebbe spazi decisamente più corposi e curati), chiamato in causa principalmente per dare seguito al discorso aperto inizialmente che poneva Stellar Blade come una sorta di “erede” del capolavoro di Square Enix. Eppure fin da subito è evidente la distanza tra le due visioni: Eve è bellissima e diversa da tutte le altre, graziata da un outfit ricercato e rifinito nei dettagli fino alla follia se paragonato alla standardizzazione delle tute indossate dalle compagne. Eve inoltre è empatica, sofferente, premurosa e attenta. Eve però è anche inarrestabile, ostinata e potente, e persegue da sola una missione che contemplava centinaia di soldati come lei.
Eve sembra avere tutti i punti di forza di un eroina, ma non le debolezze. Mostra dell’inesperienza per qualche istante, giusto il tempo di dare forma all’innesco del suo cammino dell’eroe, e da lì prosegue con la serenità, la convinzione e la solidità mentale che fino a 5 minuti prima non le riconoscevamo, mentre la vedevamo incapace di prendere decisioni mentre veniva sbalzata a destra e a manca dalle esplosioni.
La partita di Stellar Blade si gioca tutta qui: quali sono i messaggi che si vogliono veicolare attraverso Eve? Quali sono i simbolismi? C’è altro oltre il contrasto tra il mondo in rovina e la perfezione della giovane? È così che scopriremo se la sua bellezza è solo un orpello o un’esca, magari un diletto del team che ha pensato unicamente a realizzare il (proprio) massimo ideale di femminilità.
Nel mentre è inutile lottare chiamando in causa una fantomatica libertà di apprezzare il bello, perché in una società in cui la bellezza è da sempre al centro di ogni momento della nostra esistenza, dal lavoro ai social, e impatta con prepotenza su decisioni e fortune, non c’è nessun sedere o paio di cosce in pericolo, anzi. Ma essendo consapevoli della potente attrattiva, la speranza è in Stellar Blade la magnetica Eve sia solo un iniziale punto di partenza per offrire qualcosa di più.
Stiamo comunque parlando del primo vero gioco tradizionale per ShiftUp, realtà che ha tutto il diritto di dare forma alla propria opera prima nel modo che più la rappresenta o che, quantomeno, le permetta di giocarsi nel modo migliore possibile le proprie carte sotto i riflettori della visibilità garantita dal suo essere esclusiva PlayStation 5. Perché è il mercato che comanda e la bellezza vende. Ma sarebbe apprezzabile se, sotto la fisica che fa rimbalzare in modo provocante il seno di Eve, si potesse poi trovare anche un cuore.
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