David Cage, un nome che porta alla mente memorie indimenticabili, esperienze videoludiche essenziali ed inestirpabili, un nome che, da solo, racchiude il meglio degli ultimi 15 anni di produzione videoludica. Adoro David Cage, penso si sia capito, lo venero al pari di una guida spirituale, leggo ogni sua intervista, tweet o dichiarazione con la classica fame conoscitiva di chi ha molto da imparare da un personaggio che ha avuto gli attributi di mettersi sempre in discussione, esplorando strade non ancora battute e riuscendo, ogni santissima volta, a ribaltare le leggi di un mercato predatorio che poco, pochissimo spazio lascia ad originalità ed inventiva in favore di una mera ripetizione di strutture rodate volte al conseguimento di un utile si ingente ma fine a se stesso (Chi ha detto Call of Duty??? NdDix@n)
Dai tempi di Omikron: Nomad Soul (1999), proseguendo con Fahrenheit (2005), fino al “recentissimo” Heavy Rain (2010) Cage è riuscito, unico in questo campo, nell’ardua impresa di reinventare, reinventandosi di volta in volta, le regole del sistema adattando impatto grafico e sistemi di gioco via via proposti all’hardware di riferimento, riuscendo contestualmente a far progredire, in modo sistematico ed infallibile, la concezione di “film interattivo”, inseguendo e raggiungendo, episodio dopo episodio, quel “sogno quantico” da lui postulato come credo inconfutabile: ‘l’unione tra cinema e videogioco.
E’ ora la volta di esaminare l’ulteriore step evolutivo di questa rincorsa verso l’impossibile; per la prima volta Cage ci/si concede il bis, spinto forse dal planetario successo di Heavy Rain (acclamato dalla critica ma capace invero di spaccare in due il pubblico, diviso tra considerarlo porcata o capolavoro…) nell’arco della stessa generazione proponendoci una storia diretta e sistematica evoluzione di quanto visto in precedenza: se con Heavy Rain Cage ha sondato gli intimi limiti dell’animo umano, provando a capire fin dove si sarebbe spinto un uomo per salvare la vita di una persona a lui cara, con Beyond: Due Anime (becera italica traduzione di un titolo capolavoro qual’è Beyond: Two Souls) il poliedrico regista varca la soglia dell’aldilà, avventurandosi nella scoperta di ciò che risiede oltre la realtà comprensibile e provando ad indagare cosa ci attende dopo la fine della nostra vita terrena.
Sarà dunque riuscito nel suo intento?
Siamo davanti ad un capolavoro o ad un fallimento?
C’è davvero bisogno della Next Generation?
Scopriamolo insieme!
Lo ameranno: Potenzialmente chiunque
Lo odieranno: Potenzialmente chiunque
È simile a: Heavy Rain
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Titolo: Beyond: Due Anime
Piattaforma: PS3
Sviluppatore: Quantic Dream
Publisher: Sony
Giocatori: 1 – 2
Online: Non Presente
Lingua : Italiano (Parlato e testi)
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Beyond the lookin glass…
Beyond: Due Anime ci vedrà vivere e ripercorrere, nei panni di Jodie Holmes, ben 26 episodi cronologicamente non sequenziali, aventi luogo in un arco temporale lungo circa 20 anni, che andranno a comporre la storia alla base dell’ultima avventura made in Quantic Dream.
Jodie (interpretata magistralmente da Ellen Page) non è una ragazza “normale”: nata con un “dono”, nella fattispecie la compresenza accanto a lei di un’entità non meglio identificata rispondente al nome di Aiden, e strappata, dopo pochi anni, dalla famiglia natia per essere “studiata e compresa” unitamente al suo alter-ego spiritico, si trova a percorrere le tappe principali della sua vita (infanzia, pubertà, adolescenza…) in completo isolamento dal mondo esterno, avendo nel Dr. Nathan Dawkins (un sontuoso William Dafoe) e nel suo assistente Cole due figure genitoriali, interessate sia a lei che all’origine e alla natura della presenza ad essa associata, che la guideranno ed accompagneranno nel corso della sua tormentata avventura.
Aiden però è più di una mera ed impalpabile presenza. E’ quasi una estensione spiritica dell’ego di Jodie, una sorta di guardiano invisibile pronto ad accorrere in suo soccorso in caso di pericolo o allorché si rendesse necessaria una interazione con il mondo non alla portata di un comune umano: spostare oggetti, aprire porte chiuse, sfondare vetri ma anche creare scudi protettivi, prendere il controllo mentale di alcune persone o portarle a morte mediante strangolamento… questi sono solo alcuni dei poteri a disposizione della controparte incorporea della piccola Jodie che, anche per via di questi molteplici “usi” del suo amico invisibile, verrà ben presto reclutata dalla CIA e sottratta alle attenzioni di Dawkins & Co. che rappresenteranno comunque per lei una costante onnipresente ed imperturbabile nel corso degli anni.
Interpretazione da oscar dei due protagonisti, trama curata ed elaboratissima in pieno Cage-Style, scorrimento non-lineare della narrazione con molteplici possibilità di interazione e di indirizzamento della storia (aka ri-giocabilità NdDix@n), ben 23 finali alternativi…
Capolavoro? No…
Debacle? Nemmeno…
Giudicare l’ensemble narrativo di giochi come Beyond: Due Anime (o dello stesso Heavy Rain) è quanto di più arduo ci possa essere, non tanto per una oggettiva incapacità del redattore ma per l’alto grado di soggettività intriso nella fase recettiva dello storyboard in questione; Beyond: Due Anime, pur avendo (in parte… sia chiaro) corretto i difetti narrativi del suo diretto predecessore stilistico (nonostante un buco narrativo grande come una casa…), fallisce in quello in cui Heavy Rain aveva eccelso: il coinvolgimento del videogiocatore. Nel capolavoro noir di Cage & Co. venivamo trascinati nei meandri della psiche di un padre disposto a sacrificare la stessa vita pur di salvare un innocente bambino rapito da un killer psicopatico, arrivando a condividere e sentire sulla nostra stessa pelle le sensazioni di straniamento, soffocamento, angoscia ed imminenza del disastro che Ethan sta affrontando passo dopo passo, scena dopo scena. Il senso di “catastrofe imminente” che si andava via via materializzando col progredire della storia ci chiudeva in un angusto antro psicologico grazie al quale condividevamo in primissima persona le turbe del padre-protagonista e dei personaggi che narravano la storia in modo multifocale, tutti interessati a risolvere il mistero del “Killer dell’origami”. Poco importa che ci fossero buchi narrativi o che l’interazione fosse ridotta al lumicino: Heavy Rain rappresentò (e rappresenta tutt’ora) una delle esperienza emozionali più intense mai realizzate in ambito videoludico; Beyond: Due Anime, che da Heavy Rain eredita la modalità di progressione narrativa, difetta di tutto questo pathos, lanciandoci in una storia si bella ed intricata ma difficilmente condivisibile, avvicinabile o interpretabile come verosimile, scelta che va a cozzare con l’impostazione grafico-attoriale volta a replicare in modo pedissequo la realtà per realizzare in modo matematico l’equazione quantica con cui Cage vuole annullare la differenza tra cinema e videogioco.
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Più si va avanti nella trama, eccezion fatta per 3-4 punti in cui il lirismo narrativo della storia di Jodie ha toccato (grazie ad una SUPERBA interpretazione di Ellen Page) apici capaci di strapparmi più di una lacrima, più ci si sente vittime di un canovaccio altamente stereotipato e teleguidato: pur avendo aumentato, rispetto ad Heavy Rain, le possibilità di interazione con il mondo esterno non si ha mai, e sottolineo MAI, la sensazione di poter veramente dirigere quanto sta accadendo sullo schermo, sentendosi spettatori parzialmente passivi di uno spettacolo pre-ordinato ed immodificabile. A differenza di Heavy Rain, in Beyond: Due Anime (mi domando ancora come abbiano fatto a storpiare così il titolo di questo gioco) non è possibile morire: invece di un perentorio GAME OVER, il successo (o fallimento) delle interazioni con le sequenze di gioco mostrate a schermo orienterà ineluttabilmente la narrazione verso uno dei tanti finali disponibili. Se a ciò aggiungiamo che, questo particolarmente nelle sezioni esplorative e nelle sezioni “stealth”, l’esplorazione stessa del mondo (che avvenga mediante Jodie o in modo incorporeo grazie ad Aiden) ci vedrà incappare in “muri invisibili” (nel caso di Jodie) o in inspiegabili blocchi di accessibilità a spazi aperti (nel caso di Aiden), la sensazione di essere “ingabbiati” in un sentiero prefissato permeerà quasi tutta l’esperienza di gioco rendendola, a tratti, frustrante.
Dei 23 (si, avete capito bene… VENTITRE) finali disponibili, ben otto sono accessibili rigiocando esclusivamente l’ultimo atto, altri 5 sono selezionabili aumentando il livello di interazione di Aiden con il mondo esterno e gli altri saranno attivabili mediante scelte comportamentali derivanti dai dialoghi: il tutto va a corroborare la sensazione di immutabilità della trama e, come detto prima, la sensazione di essere spettatori passivi, quasi marionette, nelle mani di un regista che ci sta proponendo un polpettone (a tratti interessante invero) lungo dodici ore.
Duole purtroppo osservare come Cage non sia riuscito a bissare, forse a causa di una ambizione smodata (non parallela all’evoluzione del sistema di gioco e dell’hardware di riferimento), il successo di Heavy Rain: pur basandosi su una ricetta di successo, l’utilizzo e la miscelazione di ingredienti differenti non ha creato quell’amalgama capace di incantare critica e (gran) parte del pubblico, come successo nel caso di ogni sua precedente opera.
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Ciack si gira…
…ops… si gioca!
Il gameplay di Beyond: Due Anime è una diretta evoluzione di quello visto in Heavy Rain: mentre però nel noir made in Quantic Dream il più delle volte eravamo costretti a performance tentacolari per riuscire nelle azioni via via proposteci, qui l’implementazione dell’uso degli stick analogici ha rappresentato una gradita novità.
L’interazione di Jodie con il mondo avverrà, oltre ovviamente all’endemico movimento mediante l’utilizzo dello stick analogico sinistro, assecondando, grazie allo stick analogico destro, i movimenti della protagonista durante alcune sequenze in slow motion: ad un maggiore o minore timing corrisponderà un equivalente successo/fallimento ed una conseguente diversa evoluzione della narrazione.
Anche Aiden verrà controllato mediante lo stick analogico sinistro; quello destro servirà per muovere in alto o in basso il coprotagonista e permettergli dunque di interagire con zone od oggetti altrimenti non accessibili. Giunto nei pressi di un oggetto funzionale ai fini del gioco (evidenziato da un pallino rosso) sarà possibile “lockarlo” mediante la pressione del tasto L1 ed interagire diversamente, a seconda della tipologia di oggetto/persona con diverse combinazioni dei due stick analogici.
Gli aficionados di Heavy Rain non troveranno difficoltà ad adattarsi a questi controlli, per gli altri servirà un pò di pratica in più ma, tutto sommato, il risultato è più che soddisfacente!
Novità assoluta rispetto al predecessore è la possibilità di controllare Aiden mediante un tablet (o uno smartphone) precedentemente associato alla Playstation 3, mediante l’applicazione “Beyond Touch“: un ulteriore assaggio di next-gen offertoci dai ragazzi di Quantic Dream! Well Done!
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Quantic Dream evolved…
Il sogno quantico di David Cage è stato oramai smascherato dai tempi di Heavy Rain. Per ottenere una eguaglianza matematica tra cinema e videogioco è necessario ricostruire, in modo computazionale e nel modo più verosimile possibile la realtà: la prima regola per far si che il giocatore non si senta in un videogioco ma in un film è rendere l’impatto grafico assolutamente assimilabile alla controparte reale ed in questo, spelliamoci le mani a suon di applausi, Beyond: Due Anime, riesce pienamente.
Il livello poligonale dei protagonisti, Page e Dafoe in primis (ma anche di qualsiasi comprimario), ha dello sconvolgente: grazie ad intense sessioni di motion capture, le fattezze delle due superstar (e dei vari personaggi standard) è stata ricreata in modo a dir poco strepitoso e con un criterio di verosimiglianza assoluta. Espressioni facciali, sincronia labiale, postura del corpo… il lavoro fatto dai ragazzi di Quantic Dream è a dir poco encomiabile, andando a settare, senza possibilità di ritorno alcuna, un punto di partenza per il futuro del gaming dimostrando contestualmente, se mai ce ne fosse stato bisogno dopo aver visto un capolavoro come The Last of Us, la bruta potenza di calcolo di Playstation 3. Stessa cura è stata dedicata alla realizzazione del mondo di gioco e alla gestione registica, ma in questo Cage è un maestro, degli intermezzi animati e delle sequenze in-game in generale.
Il comparto sonoro svolge egregiamente, più che all’altezza della sopraccitata controparte grafica, il ruolo ad esso demandato andando a configurare, de facto, Beyond: Due Anime come una opera multimediale allo stato dell’arte. Poche altre volte in ambito videoludico abbiamo assistito ad una perfezione grafico-sonora di questo livello.
Grazie a Quantic Dream possiamo dirlo senza remora alcuna… la next-gen può attendere!
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[hr]The Dark Side of the Soul…
Giocabilità… questa sconosciuta…
Mentre il mondo videoludico tutto pensa (a ragione) che giocabilità voglia dire fruibilità e divertimento, per Quantic Dream questo termine è sinonimo di immedesimazione: tutto il canovaccio artistico-stilistico-grafico-musicale propostoci da David Cage è volto alla ri-produzione, guidata da canoni di iperrealismo, di una esperienza narrativa asservita, per l’appunto, alla semplice compartecipazione alla storia narrata, lasciando alla componente interattiva uno spazio marginale all’interno di questa equazione. La fruizione e il godimento del titolo stesso deriva dunque dalla percentuale di immedesimazione/compartecipazione alle gesta narrate nel corso dell’avventura: più alta sarà questa percentuale, maggiore sarà il legame empatico (e dunque il divertimento in senso lato) derivante dalla “visione” dello script ideato dal produttore-regista Cage.
Pur ribadendo fino allo sfinimento l’estrema soggettività di questo giudizio, dovuta alla difforme valutazione dello script di Beyond: Due Anime da persona a persona, mi sento di sottolineare il senso di frustrazione derivante dal trovarsi ad essere spettatori poco più che passivi di quello che non mi vergogno di definire un “LaserGame evoluto”: per quanto elaborata e finemente cesellata o riempita di dettagli, la trama di Beyond: Due Anime non riesce, come successo nel caso del diretto predecessore Heavy Rain, a bucare lo schermo e a trasferire nuovamente la magia del cinema virtuale made in Quantic Dream nei salotti degli utenti Playstation 3 di tutto il mondo. I colpi di scena non mancano ma, per dirla tutta, si è notata per la prima volte una crisi di idee del talentuoso studio capitanato da David Cage, crisi che ha portato ad allungare il brodo di almeno 3 ore, proponendoci missioni che ben poco hanno aggiunto sia in chiave di giocabilità che di narrazione. Penosa inoltre l’implementazione delle sequenze stealth, anche queste su binari e assolutamente superflue ai fini narrativi, considerando il fatto che son riuscito a farmi notare solo piazzandomi davanti alla guardia di turno dopo svariati tentativi di esposizione più o meno velati.
Beyond ciononostante offre, in virtù dei molteplici finali a disposizione, una discreta percentuale di rigiocabilità, ma non nell’immediato: una volta finito il mio playthrough il desiderio più forte è stato quello di spegnere la Ps3 per concludere questa insoddisfacente esperienza di gioco.
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This is the end…
… my (imaginary) only friend, the end: così cantava decenni addietro Jim Morrison!
Parallelamente a questo titolo, con Beyond: Due Anime si chiude l’esperienza di Quantic Dream su Playstation 3, una esperienza che ci ha regalato, ahinoi, alti (Heavy Rain) e bassi.
Un’avventura dalle mille sfaccettature, difformi ed antitetiche tra loro: un comparto tecnico di primissimo ordine capace di spremere ogni goccia di potenza dalla macchina da gioco Sony e di un impatto grafico spaccamascella non è purtroppo accompagnato da una eguale perfezione narrativa né, tantomeno, da una giocabilità all’altezza del blasone di questa miracolosa software house.
Superato lo stupore iniziale per le meraviglie grafiche offerteci dall’ultima produzione Quantic Dream, la storia stenta ad ingranare, relegando questo titolo in una asfissiante mediocrità, destinata a scendere ulteriormente per gli asfittici limiti imposti al gameplay per via di una struttura “corridor-based” che, seppure endemica di questa tipologia di giochi, fatica ad esser digerita in questo contesto.
Il bis di David Cage, primo nella storia di Quantic Dream su di una medesima macchina da gioco, si rivela dunque un flop multimilionario, denso di eventi e punti di interesse ma assolutamente non valido il prezzo del biglietto, perchè di film (poco) interattivo si tratta.
Non un capolavoro, non un fallimento: un gioco destinato a rimanere nel limbo delle promesse non realizzate, con un potenziale tale da dar potenza a tre testate atomiche ma appena sufficiente a far esplodere una semplice bomba-carta.
E, per rispondere all’ultima domanda… “C’è davvero bisogno della next-generation?“… la mia risposta è: “Dannatamente si!“, ma solo se Cage sarà capace di reinventarsi per l’ennesima volta rinascendo, come una fenice, dalle proprie ceneri. Il sogno quantico di David Cage non si è infranto, ha solo trovato davanti a sé una barriera che lo costringerà a superare, per l’ennesima volta, il suo limite, nell’eterna rincorsa di una matematica spiegazione al mistero dell’immortalità (videoludica).
Get Rich… or die trying!
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