News 24 Gen 2014

Broken Age: Act 1 – La Recensione

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La notorietà è una brutta bestia. Essere il creatore di capolavori incommensurabili come Day of the Tentacle, Full Throttle e Grim Fandango ha il proprio vantaggio, non c’è che dire, e ti venisse mai la malsana idea di aprire un Kickstarter per un nuovo progetto, nella fattispecie la tua “prima” avventura grafica dopo 16 anni di pausa sabbatica, soltanto un cataclisma potrebbe impedirti di raggiungere il finanziamento richiesto. Tuttavia la fama si paga con l’hype, e non bastassero le aspettative stratosferiche dei backers di tutto il globo che hanno sganciato (complessivamente) oltre tre milioni di dollari per finanziare un loro sogno, ti tocca far fronte a quelle dei “vecchi”, quelli che ai tempi d’oro della LucasArts sapevano ogni battuta a memoria e, da grandi, sognavano un completo in perfetto stile Guybrush. Aspettative elevate sul gioco finale? Ottimisti …

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Quando si dice baciati dal sole …

Alla luce di un successo crowdfunding senza precedenti e di un turbinio mediatico riservato soltanto agli dei dell’Olimpo videoludico, l’uscita dell’attesissimo Broken Age non poteva far altro che dividere la critica, anch’essa vittima incolpevole del gioco delle attese e delle speranze. Tim Schafer ce l’ha davvero fatta, è stato capace di creare IL gioco che in molti si aspettavano o, al contrario, ha creato un titolo che vive nel pallido riflesso dell’epopea di un tempo? Ammettiamolo, non ci fossero stati Kickstarter e Schafer, molto probabilmente Broken Age sarebbe stato accolto in maniera positiva praticamente ovunque, senza sollevare il minimo dubbio. Ma quando si parla di uno che ha lavorato a Monkey Island (e a molto altro), creare un gioco soltanto “brillante” può non essere abbastanza.

Lo ameranno: i “vecchietti”, gli amanti del punta e clicca, quelli a cui la scritta LucasArts fa scendere una lacrimuccia
Lo odieranno: i detrattori del punta e clicca, gli FPS/Action only
È simile a: Monkey Island, Day of the Tentacle (come gameplay)

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broken-age-cover-351x263-cTitolo: Broken Age: Act 1
Piattaforma:  PC /Mac
Sviluppatore: Double Fine
Publisher: Double Fine
Giocatori: 1
Online: Assente
Lingua: Audio in Inglese /Sottotitoli in italiano
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La Maiden Feast: ovvero, 5 ragazze sacrificali vestite da cupcake.

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Old but Good School

Mettiamo subito in chiaro una cosa: se pensate che Broken Age non sia un punta e clicca vecchia scuola, uno di quelli dove la tastiera rappresenta un inutile optional e il famigerato pixel hunting in alcune circostanze può salvare la nostra anima dalla dannazione eterna, posso garantirvi che siete fuori strada. Non c’è gioco uscito negli ultimi dieci anni da un qualsiasi studio, anche quello europeo più hipster, capace di raggiungere una tale purezza nel genere dell’adventure game. Eppure la ricetta di Double Fine è di una semplicità disarmante: personaggi in 2D che si muovono in fondali prevalentemente bidimensionali, che raccolgono svariati oggetti, che sfruttano stratagemmi dialettici per ingannare l’interlocutore di turno o combinano accrocchi per risolvere un enigma.

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A spasso tra le nuvole …

Il sistema di controlli rappresenta l’evoluzione naturale del mai troppo compianto SCUMM, abbandonato dalla stessa LucasArts nel lontano 1997 dopo la release di The Curse of Monkey Island: tutto è a portata di mouse, con un comodo puntatore che sfreccia lungo lo schermo cambiando forma in corrispondenza di un “punto” di interesse. L’universo di Broken Age si svela con semplici click, uno per far muovere il personaggio, uno per raccogliere un oggetto, uno per interagire con lo scenario o parlare con uno dei numerosi NPC: poi c’è l’inventario, collocato a scomparsa nella parte inferiore destra dello schermo, e basta un “drag & drop” per estrarre e usare l’oggetto di turno. Quindi sì, difficilmente Broken Age potrebbe essere più “punta e clicca” di così.

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I festeggiamenti prima della Maiden Feast: ancora mi sfugge cosa ci sia da far festa prima di un sacrificio…

Anche l’estetica, pur non essendo propriamente “old”, è visibilmente figlia dell’eredità LucasArts: il team di sviluppo ha creato un teatro soave di creature disegnate a mano, forti di quello stile unico e riconoscibile che caratterizza IP quali Psychonauts, Brutal Legend e The Cave. Il tutto viene impreziosito da un tocco artistico onirico, dai tratti pastello vagamente impressionisti: il risultato è una direzione artistica che guarda al futuro del genere, senza tradire però le proprie nobili origini. Come i titoli più riusciti di Schafer, dare un contesto tematico ben definito a Broken Age è impresa ardua: c’è fantascienza, sci-fi, avventura, un pizzico di horror e, allo stesso tempo, qualche istantanea della cultura americana. Un melting pot affascinante e accattivante, dove la firma dell’autore si vede ad ogni schermata.

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Il mondo fuori da una navicella può essere persino più bizzarro…

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L’enigma c’è ma non si vede …

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La famiglia Tartine in posa.

Inutile girarci troppo attorno: se Broken Age ha un problema di fondo, quello è la sua difficoltà. O forse è il caso di dire la sua non-difficoltà. Pur presenti in quantità considerevole, i puzzle davvero intriganti si contano sulle dita di una mano: nessuno nega che essi siano brillanti ed effervescenti, ma difficilmente riescono a tenere occupata la materia grigia di chi gioca per più di dieci minuti. Tolti alcuni casi “speciali”, pertanto, gli enigmi proposti tendono all’intuitivo, evidenziando una certa linearità oltre che uno spazio di possibili soluzioni particolarmente striminzito – senza contare che, alle volte, basterà chiacchierare con qualcuno per avere ben chiaro in mente che fare. Chiunque si approcci a Broken Age nella speranza di imbattersi in puzzle labirintici come quelli che i più stagionati hanno vissuto su Monkey Island o in Day of the Tentacle, rischia di rimanerne alquanto deluso.

E a conti fatti è un peccato accorgersi di questa eccessiva abbordabilità: il titolo, specie nella sua componente fantascientifica (che presenteremo a breve) non lesina affatto trovate brillanti ed enigmi potenzialmente coinvolgenti, ma tutto “svanisce” troppo rapidamente. L’intero playthrough, in realtà, finisce sul più bello dopo nemmeno cinque ore di gioco: le risposte ad ogni nostro dubbio saranno svelate nel secondo atto, disponibile a costo zero nel corso del 2014 come download aggiuntivo, ma sommate questi aspetti e capirete subito come anche per i meno avvezzi raggiungere i credits potrebbe essere più facile del previsto.

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Chiunque ricordi lo SCUMM, ricorderà anche il suo mitico sistema di dialoghi.

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La ragazza cupcake e l’astronauta solitario

Che la longevità sia il tasto dolente di molte produzioni recenti, alcune delle quali pluripremiate, è in realtà cosa ben nota: l’incredibile The Walking Dead è forse l’esempio più calzante, vista la particolare somiglianza delle meccaniche adventure. Il capolavoro di casa Telltale sopperisce alla durata non eccessiva con una narrazione di prim’ordine avvincente e appassionante, che vanta personaggi profondi nei quali il giocatore non fatica ad immedesimarsi. Possiamo affermare lo stesso anche per Broken Age?

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Vella è leggermente perplessa. E fidatevi, lo sareste anche voi!

Beh, nì. Diciamo che il titolo Double Fine fa del proprio meglio, e nel farlo evidenzia gli innegabili meriti di una sceneggiatura che, pur non essendo memorabile, riesce a far breccia nel cuore di chi gioca. Lungi da noi svelarvi anche solo parzialmente il tessuto narrativo, articolato su due filoni apparentemente slegati ma che, come da tradizione, trovano nelle battute finali un’inattesa serie di collegamenti: la divisione in due atti, per quanto sadica, non avrebbe potuto essere scelta in modo migliore. Due personaggi, dicevamo, e due storie incredibili: la prima, quella di Vella Tartine, inizia con la rocambolesca fuga dalla Maiden Feast (una festa di villaggio molto più macabra di quanto cupcakes, musica, coriandoli e festoni darebbero ad intendere) e, soprattutto, dalle fauci di Mog Chothra, un enorme mostro dai mille occhi particolarmente attratto dalle donzelle. La seconda, invece, ha per protagonista Shay Volta, un giovane intrappolato nei meandri di una nave spaziale abbandonata e accudito esclusivamente da un mega PC dagli istinti materni. Una vita non propriamente all’insegna dell’avventura, i cui ritmi sono scanditi da sporadiche “missioni spaziali” e indigesti snack energetici. Cosa hanno in comune Shay e Vella? Beh, la risposta è nascosta dietro al vostro mouse.

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Il villaggio di Vella, specializzato nell’arte della Panetteria.

Questa bivalenza narrativa e, nella fattispecie, di personaggi giocabili, si traduce in una diversificazione del gameplay a seconda dei panni che si decidono di indossare. L’avventura di Vella incarna i dettami più tradizionali dell’adventure game, fatto di tantissimi personaggi secondari, un’elevata varietà di location e migliaia di righe di dialogo. Ben più logico e ponderato è invece l’excursus narrativo di Shay, che contestualizza la propria permanenza in un ambiente asettico e isolato nella risoluzione di enigmi o specifici indovinelli. Doveste sventuratamente trovarvi bloccati in una delle due strade (un rischio non così probabile, a dirsela tutta) sarà possibile saltare da un personaggio all’altro con un semplice click sull’apposita icona: nulla che possa stupire chi, a suo tempo, frenò i terribili piani di Tentacolo Viola.

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Sapete chi è il doppiatore di Shay? Esatto, Padron Frodo!

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Fine della prima parte …

Broken Age non racconta avvenimenti tumultuosi e strazianti, non mette alla prova i nervi con scelte lancinanti o situazioni shock da far accapponare la pelle, non vuole colpire diretto allo stomaco e obbligare chi gioca a riflettere su ogni singola scelta, sia essa anche la semplice frazione di un dialogo, e sui potenziali effetti che essa potrebbe avere nel proseguire dell’avventura. No, l’ultima creatura di Tim Schafer rappresenta piuttosto il racconto di un vecchio amico, uno che ai tempi “ci sapeva davvero fare” e, forte dell’esperienza passata, vuole condividere una nuova storia, scanzonata e irriverente come allora ma ancora capace di stupire il giocatore.

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La tecnologia non sempre ci azzecca…

Ecco perché, nonostante tutto, Broken Age merita di essere giocato: un titolo garbato nel dipanare la storia, genuino, che con fascino e un pizzico di sagacia diverte e solletica l’immaginazione. Afferrato il mouse, ci si ritrova in un universo (meglio, in due – per ora) popolato di creature bizzarre, astute, ridicole, addirittura grottesche: come esse possano coesistere, beh, questo è merito della magia che, dai tempi della LucasArts, caratterizza questo genere di giochi. Poi ok, Vella e Shay non passeranno alla storia per essere i personaggi più memorabili, ma è impossibile non provare qualche emozione man mano che la loro avventura scorre dinnanzi ai nostri occhi. Rideremo a crepapelle battendo i pugni sulla scrivania come ai tempi di Monkey Island o di Day of the Tentacle? Probabilmente no, ma chiunque sia abbastanza maturo da capire che quei tempi sono passati da un pezzo troverà una storia che sa divertire e intrattenere, con un cliffhanger finale che lascerà disperati nell’attesa del secondo atto.

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Se pensate che un albero parlante sia un incontro anomalo, beh, preparatevi al peggio!

Avvicinarsi a Broken Age con la convinzione di essere tornati ai giorni migliori della storia dell’adventure game sarebbe un errore. Se proprio volete aspettarvi qualcosa, quel qualcosa è un titolo dalla storia brillante, un sense of humor irriverente dal retrogusto quasi dolce, un paio di trovate magistrali e una direzione artistica che punta al centro perfetto. Non sarà l’atteso seguito spirituale di Monkey Island, Day of the Tentacle o Grim Fandango, ma Broken Age ha una storia meravigliosa da raccontare. E non vediamo l’ora di scoprire come andrà a finire.

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