Ci siamo, ieri il primo volume di Nymphomaniac (il secondo verrà distribuito a partire dal 24 Aprile) ha ufficialmente invaso i cinema della penisola.
Ultimo capitolo della trilogia sulla depressione, questo film è arrivato trascinandosi una coda di polemiche e critiche tutt’altro che trascurabili: quante di queste siano parte di una manovra pubblicitaria ben studiata non è dato sapere, resta il fatto che fin dal “mattino” Lars von Trier riesce ancora una volta a far parlare di sé.
Premesse a parte, ho cercato di guardare il film così come ho seguito ogni altro lavoro del regista danese: serenamente e con sincera fiducia nei suoi (a volte troppo calcati) virtuosismi e colpi di genio.
Lo stile è riconoscibile fin dalle prime battute, si passa da sequenze candide, silenziose, quasi fiabesche a siparietti grotteschi o particolarissime “deviazioni” audiovisive, dalla quiete della notte alle note dei Rammstein, da sognanti visioni d’infanzia a ricordi che hanno il sapore e la parvenza dell’incubo.
Il cast è variegato, ritroviamo l’immancabile Charlotte Gainsbourg nei panni della protagonista, Joe, che traccerà con il susseguirsi dei vari capitoli il proprio ritratto di ninfomane, dall’infanzia all’età adulta. Impeccabili Stellan Skarsgard, Stacy Martin e Shia LaBeouf.
Il film mi è piaciuto, molto, chiarisco immediatamente. Non è che la prima parte dell’opera, è vero, ma ha una sua identità e non ho potuto far altro che apprezzare la commistione di ironia e tragicità che permea la pellicola dall’inizio alla fine. Un racconto, la cronaca di un’infanzia, un’adolescenza ed una giovinezza riassunte e trasposte in immagini. E che immagini. La regia, infatti, è ai livelli del migliore von Trier. Come sempre ci sono zone d’ombra, scelte meno ispirate, ma chi conosce e segue Lars fin dagli esordi sa che va così, e che di conseguenza assisterà ad un Cinema che si ama o si odia, senza vie di mezzo.
Una riflessione che prende spunto da un’ossessione, si parte dal sesso per arrivare ai “massimi sistemi”, alla fede, alla solitudine, forse all’amore.
Non mancano le citazioni, da Bach ad Edgar Allan Poe. Puntuali, ben strutturate, mai inutili.
Il mio consiglio è di goderselo come ciò che è, un racconto (ispirato) di vita, deciderete poi se ne sarà valsa la pena. La mia risposta è assolutamente sì.
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A venerdì prossimo con una nuova recensione… stay tuned!
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