Il salto da romanzo teen di successo a blockbuster ultra accessoriato (possibilmente in 3D) ormai pare sia d’obbligo. Di sicuro può essere un fattore positivo (da lettore incallito, devo ammettere che c’è sempre una certa curiosità nel vedere trasposte su grande schermo immagini fino a quel momento racchiuse nella propria mente), ma c’è un presupposto fondamentale (e scontato)… il film deve rendere giustizia alla controparte scritta.
Scendiamo nel dettaglio, ovvero, arriviamo ad analizzare brevemente Divergent, pellicola pseudo-fantascientifica tratta – appunto – dal romanzo di Veronica Roth.
Storia e setting tra i più comuni, abbiamo una protagonista femminile che – manco a dirlo – risulta essere unica e speciale in un mondo di quasi-cloni (ognuno ricopre un ruolo specifico nella società per “decisione” di un test attitudinale) e si trova costretta a lottare per difendere la propria identità, i propri ideali ed il suo amore da un potere superiore e prevaricatore.
Premesse narrative “già sentite” ma sfruttabili, senza dubbio, soprattutto visto il target giovane cui si rivolge il film. Sono qui per dirvi, però, che purtroppo questa volta non ci siamo.
Non che sia facile creare un prodotto artisticamente valido partendo da basi simili (romanzi di questo tipo, ormai, affollano le librerie multimediali e non con un’aggressività incredibile, molto spesso a discapito della qualità), ma – per farla semplice – si poteva fare di meglio!
Quella cui assisterete in sala è la palese trasposizione delle pagine del libro, niente arte né parte, una successione di eventi condita dai mirabolanti effetti speciali di turno che riuscirà a stento a strapparvi un sorriso. A mio parere un’opera cinematografica dovrebbe sempre cercare di andare oltre, esplorare territori nuovi seppur all’interno di cornici “prefabbricate”, mischiare le carte in tavola e regalare allo spettatore qualcosa di più che uno spettacolino. Il Cinema non è il circo, e senza un’anima a sorreggere il corpo sa di poco.
A voi la scelta di dare o meno una chance a Divergent, ma il consiglio, se vi piace il genere, è di tentare – piuttosto – con il romanzo, ed eventualmente approfondire poi con il film, ma a costo di una mezza delusione.
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A noi ricorda…
Prototype: modernità a tinte fosche ed un antieroe unico nel suo genere a contrastare orde di simil-cloni… come non pensare a Prototype? Le affinità riguardano solo scelte estetiche e qualche tratto del plot, ma sono indubbiamente presenti. In questo caso, dovessi fare un confronto tra opera cinematografica e videoludica, non esiterei a dire che la seconda ha molta, ma molta più sostanza!
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A settimana prossima con una nuova recensione… quella per Noah, kolossal dalle tinte epiche e religiose interpretato da Russel “Gladiatore” Crowe.
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