Dai creatori di questo Transistor, precedentemente all’opera su quel Bastion che, insieme ad altre pietre miliari, sancì l’era “indie-centrica” nella quale viviamo, di certo non ci si aspetta un nome così “altisonante”: SuperGiant Games. Di qualità ce n’è in quantità industriale, sia chiaro, ma il piccolo, preziosissimo gioiello rilasciato nel 2010 che gli ha garantito l’attenzione di publisher, stampa e pubblico era ben lontano dalle pompose, titaniche e costosissime produzioni che siamo abituati ad assaporare, Tripla-A stanchi e tanto ricchi di dati e textures, quanto poveri di spirito. E la seconda creatura, rilasciata dopo ben 3 anni di sviluppo, ne segue inevitabilmente gli intenti, mostrando a tutti una ambizione, quella sì “stellare”, una visione artistica davvero unica, e un coraggio che ha permesso al team di mantenere quella tanto agognata indipendenza, senza però distogliere lo sguardo dal grande pubblico, pronto ancora una volta ad accogliere con curiosità quasi infantile la fiaba che questo manipolo di visionari non vede l’ora di narrare.
Le corde vocali sono uno strumento fondamentale nella vita di ogni giorno: ci permettono di esprimere un’opinione, un concetto, un’emozione all’esterno del nostro corpo e della nostra mente. La povera Red, misteriosa protagonista di Transistor, con la voce ci viveva, in ogni senso: una cantante, del resto, ci porta il pane in tavola, ma soprattutto necessita dell’arte, o meglio, della musica, ancor più dell’ossigeno. “Viveva”, perché qualcosa, o qualcuno, gliel’ha portata via. Se basta questo a farvi sentire “spaesati”, l’incipit del gioco vi darà il colpo di grazia, in quanto l’assenza del classico video introduttivo, utile per ricevere un’infarinatura generale in grado di accogliervi all’interno dell’esperienza che vi state accingendo a vivere (ma che purtroppo sempre più spesso viene brutalmente “skippato”), si rivelerà, come raramente accade, una vera tragedia.
Una “scena del delitto”, una spada conficcata in un cadavere, e si comincia a fuggire dai Processi, creature meccaniche dalle pessime intenzioni che hanno invaso le torbide, ma coloratissime strade di Cloudbank. Di spade conficcate nei cadaveri ne abbiamo viste a palate, ma quante di queste parlavano? Quante di queste potevano essere definite “senzienti”? Ebbene, la nostra Transistor, oltre a difenderci da queste strane ed aggressive creature, si rivelerà essere un prezioso Cicerone, un Grillo Parlante, e perché no, l’unico conforto lungo l’irta via che Red dovrà affrontare per riprendersi la sua voce, sempre che i temibili Orchestrali, misteriose e pericolose figure, glielo permettano. In compenso avremo la voce dell’arma stessa a farci compagnia, affidata ancora una volta ad un sempre più bravo e teatrale Logan Cunningham, la cui voce calda e profonda, fagocitata da una distorsione che ben si sposa con l’atmosfera generale e resa più fredda di una scheda madre, scandisce i momenti salienti della storia e ci guida lungo i vicoli di una città quanto mai distopica, così futuristica, ma così ricca di scorci del sapore antico; un ossimoro continuo che traspare da ogni aspetto della produzione, tanto dal punto di vista sonoro, quanto da quello artistico, e perché no, anche da quello puramente ludico.
SuperGiant Games ha infatti escogitato un peculiare gameplay, sviluppando su una base action/RPG con visuale isometrica (alla Diablo, per intenderci), un curioso mix, per quanto concerne i combattimenti, tra turni e tempo reale. Avremo 4 slot abilità a disposizione, attivabili in tempo reale tramite uno dei quattro tasti principali (su PS4), “funzioni”, come le chiama il team, che spazieranno da semplici spadate ad attacchi a lungo raggio, da scatti iperveloci a skill “ammalianti” che porteranno i nemici, per un breve lasso di tempo, dalla nostra parte della barricata. L’originale trovata del team sta però nella gestione di queste stesse funzioni, per un totale di 16: avremo infatti la possibilità di mescolare ogni singola abilità con un massimo di altre due, ottenendo potentissimi e strabilianti risultati che ci permetteranno di plasmare al meglio il nostro stile di gioco, avendo a disposizione un’ampia gamma di possibili combinazioni, il cui utilizzo verrà unicamente limitato da una barra di “memoria” che ci costringerà a scegliere minuziosamente cosa equipaggiare battaglia per battaglia.
Trasformare abilità attive in passive (e viceversa), rendere dannose abilità di supporto (unendo l’utile al dilettevole) o ancor più distruttive quelle già ampiamente riconosciute come offensive diventerà ben presto l’attività prediletta di ogni giocatore tra un combattimento e l’altro, e data la frequenza degli stessi (soprattutto dopo una sonora sconfitta), preparatevi a decine di minuti di accurata pianificazione. Il semplice scendere in battaglia e darsi al button-mashing non vi porterà da nessuna parte: gli attacchi risulteranno sin troppo lenti e imprecisi (soprattutto quando dovrete direzionare i fendenti), mentre i nemici sembreranno sempre troppi. Ed è qui che entra in ballo una delle numerose e speciali facoltà in possesso della nostra spada “magica”: con Turn(), il tempo verrà momentaneamente fermato, dando al giocatore la possibilità di pianificare con calma ogni singolo movimento e mossa, il cui utilizzo consumerà porzioni di una barra presente sulla parte superiore dello schermo. Una volta compiute le dovute (e si spera intelligenti) scelte, sarà un piacere assistere alla rapida sequenza con la quale Red, in una sorta di splendida e letale danza di morte, massacrerà i nemici, nella speranza che nel frattempo non abbiano deciso di allontanarsi improvvisamente dalla silenziosa eroina.
Qualche secondo di cooldown, necessario tanto a Turn() quanto ai singoli attacchi e si ricomincia, limitando il più possibile i danni tenendosi a debita distanza dai processi o sfruttando le deboli coperture presenti sulla “scacchiera di combattimento”, prestando attenzione al contempo agli “embrioni” di avversario che appariranno dopo ogni uccisione, germogli che porteranno al respawn dei nostri antagonisti se non verranno debellati entro un certo lasso temporale, pena il ritrovarsi improvvisamente e nuovamente circondati da Stalker, possenti Belladonna, fastidiose antenne in grado di ripristinare la salute dei propri alleati e tante alte creature partorite dalla fervida mente del team, ognuna con le sue debolezze ma tutte estremamente coriacee ed intelligenti, in grado di darci perennemente filo da torcere e complicarci la vita grazie anche ad una meccanica filosoficamente darksoul-iana e sadica. Ad ogni morte della protagonista (anticipata in extremis da un Turn() extra col quale tentare di salvare la pelle) verrà infatti disattivata una delle abilità equipaggiate, riattivabile in alcuni casi dopo lunghi minuti di gioco, in altri unicamente al raggiungimento del livello d’esperienza successivo, il quale sbloccherà l’accesso a nuove preziose funzioni (siano esse attive o passive), equipaggiabili presso uno dei numerosi punti di controllo sparsi per la città. In alcuni casi, la nostra sconfitta porterà persino al guadagno di esperienza da parte degli avversari più attivi in battaglia, i quali saliranno a loro volta di livello, dandoci ulteriore filo da torcere. Chi fosse in cerca di sfide (e punti esperienza) extra, potrà inoltre sfruttare con raziocinio i “limitatori del processo”, handicap “auto-inflitti” che garantiranno lievi percentuali di esperienza in più, in cambio di utili bonus per i nemici (malus per il giocatore), come speciali barriere o tempi di respawn ridotti.
Queste poche ma ben ponderate meccaniche, offrono come risultato finale un ritmo di gioco ottimo, con sezioni esplorative di per sé eteree ma raramente coinvolgenti (ci penseranno dei Terminali sparsi qua e là a garantirvi qualche dettaglio narrativo extra, sondaggi, commenti e consigli), inframezzate da un elevato numero di scontri, resi interessanti e per nulla ripetitivi dalle possibilità opzioni belliche a disposizione, così come dalla struttura delle ambientazioni, splendide da vedere e pronte a mozzare il fiato quando si tratta solo di raggiungere il dialogo/combattimento successivo, sapientemente realizzate anche dal punto di vista “morfologico”, offrendo campi di battaglia quasi sempre peculiari e divertenti da sfruttare, tra coperture, angoli nei quali cercare rifugio, o punti in cui intrappolare gli avversari. Ma come detto, è anche e soprattutto dal punto di vista puramente estetico che il lavoro svolto del team conferma quanto di buono fatto con Bastion, con fondali disegnati a mano davvero curati, variegati e speciali, originali nel loro mescolare sapori antichi e al contempo “cyber”, accompagnati da una delle più belle colonne sonore in circolazione, tra suggestioni trip-hop legate a doppio filo agli eventi narrati in Transistor, chitarre eteree e soffuse, atmosfere electro pregne di solitudine e freddezza. La cura per i dettagli inoltre, neanche a dirlo, è ancora una volta maniacale, tra il tasto che permette a Red di volteggiare soavemente per qualche secondo, o le scie di impulsi lasciati dalla nostra incredibile spada, trascinata non senza un pizzico di fatica dalla delicata protagonista.
In conclusione…
Forse ci aspettavamo qualcosa di più da Transistor, ma cosa poi? La trama è ben narrata, e alterna piacevoli colpi di scena e brillanti trovate a classici stilemi e strutture; l’esplorazione è più bella da vedere che da affrontare, per via di un’interazione con l’ambiente limitata (anche se i Terminali OVC, con le loro “scelte”, trasmettono la sensazione di avere a che fare con un mondo vivo e vegeto), ma a rendere il seguito spirituale di Bastion un qualcosa di memorabile ci pensa il semplice ma geniale gameplay, fatto di combattimenti sempre divertenti, “customizzabili” tramite il plasmabilissimo sistema di abilità e dal forte sapore tattico, così come un tocco artistico unico, una visione della realtà ancora una volta sopra le righe, fresca, e divinamente realizzata, con una Cloudbank davvero unica tutta da ammirare, e una colonna sonora onirica. Passerete gran parte del tempo a combattere, ma non aspettatevi la fastidiosa ripetitività che infetta la stragrande maggioranza delle produzioni odierne, in quanto ogni lotta, per quanto pianificata, non sarà mai la stessa, mentre le restanti ore di gioco (difficilmente raggiungere la decina, in totale) saranno caratterizzate da bocche spalancate e battiti cardiaci vorticosi, accompagnati da un piacere intenso tanto per gli occhi, quanto per le orecchie, ma soprattutto per l’anima. SuperGiant riesce ancora una volta a pizzicare corde dello spirito precluse ai più.
Commenti