Era il 2004 e La Terza Era fece il suo debutto: un RPG (a ben pensarci non proprio esaltante) che mescolava delle meccaniche letteralmente “rubate” da un certo Final Fantasy X e le inseriva all’interno delle vicende tolkeniane (di stampo jacksoniano), vissute però da un manipolo di eroi inventato di sana pianta. Chi scrive amò e spolpò quel titolo all’epoca, e gli sarebbe stato impossibile non menzionarlo al cospetto di questo L’Ombra di Mordor, con cui condivide tanto l’ispirazione/debito nei confronti di una pietra miliare videoludica (anzi, due), quanto la reinterpretazione del ricco e complesso universo partorito dal geniale scrittore britannico.
Condivideranno anche la stessa qualità, non proprio altissima? Per scoprirlo vi basterà proseguire nella lettura, ma vi anticipiamo che se tre indizi fanno una prova, Warner e i “suoi” team (come Rocksteady, o come in questo caso, Monolith) sembrano finalmente aver trovato l’unica formula magica in grado di spezzare la maledizione che affligge i titoli su licenza.
I “compagni di scuderia” del team in cabina di regia, Rocksteady, ci hanno infatti restituito un Batman in chiave videoludica che non solo è stato in grado di offrire brutale divertimento e una narrazione intrigante e di qualità, ma che ha persino saputo riscrivere delle pagine importanti del gaming moderno, a partire dal suo combat system ormai seminale. Il sospetto, non troppo velato, è che piuttosto che auto-imbrigliarsi in una prigione cinematografica fatta di meccaniche incompatibili con quelle ludiche, il team abbia optato per una completa libertà di azione, sperimentando con il gameplay, e mescolando una gran quantità di elementi narrativi provenienti dalle fonti più disparate, dai film più blasonati ai fumetti meno conosciuti, componendo un puzzle fresco, originale, e in grado di rapire tanto i fan, quanto i giocatori in cerca di ossa rotte e gadget spettacolari.
Monolith sembra aver recepito pienamente questa lezione, andando a sfornare un titolo ambientato nell’universo e nella mitologia de Il Signore degli Anelli (più precisamente tra Lo Hobbit e La Compagnia dell’Anello), mettendoci tanto del proprio, ma senza disdegnare del sano fan service (traendo ispirazione, almeno in quei casi, proprio dalle opere cinematografiche). Il protagonista è Talion, un inedito Ranger di Gondor, leale protettore del Cancello Nero e amato e rispettato tanto dai suoi commilitoni, quanto dalla sua famiglia. Un attacco inaspettato da parte dei Capitani Neri, la mano armata di Sauron, stravolgerà una volta per tutte la vita (e la morte) del nostro eroe, privato di quanto di più caro aveva e condannato a vagare ramingo per la terra di Mordor, in cerca della tranquillità extra-terrena. Uno spirito vendicativo, maledetto anch’esso, lo guiderà verso la pace, ma non prima di averlo istruito a dovere sui suoi nuovi ed incredibili poteri: il dinamico duo, del resto, condivide lo stesso destino, e l’unione, ormai lo sappiamo, fa la forza.
Una trama classica, forse un po’ troppo, basata sulla vendetta dei propri cari (Kratos, sei tu? – ndr), che vede l’eroe nel bel mezzo del territorio nemico solo e mal equipaggiato, e ci accompagna lungo il suo processo di crescita e di trasformazione in vero e proprio deus ex machina dell’intera Mordor grazie ad una delle più brillanti trovate di game design partorite negli ultimi anni. Il tanto decantato Nemesis System infatti, fonte di più di un dubbio per via delle sue non proprio basse ambizioni, non solo funziona, ma funziona anche meglio del previsto, trasmettendo al giocatore un’incredibile sensazione di potere, facendolo assurgere ad una sorta di “Machiavelli tolkeniano”, e donando all’intera esperienza un’insospettabile varietà e quell’attitudine realmente sandbox tanto millantata da molti, qui “filosoficamente” presente.
Gli uruk, gli onnipresenti nemici del gioco, godranno infatti di un’IA totalmente indipendente: hanno una gerarchia tutta loro, degli usi e costumi degni delle più organizzate popolazioni germaniche pre-medioevo, e starà a noi subentrare in tali meccaniche per incepparne gli ingranaggi, o per farli girare a nostro favore. Ogni entità, generata proceduralmente, avrà un nome, delle sembianze e dei punti forti/deboli unici, e persino una vera e propria memoria bellica, che gli permetterà di giurarci vendetta, di schernirci per una fuga rocambolesca anche dopo 5 o 10 ore di gioco, o di auto-incensarsi per la schiacciante vittoria, ed ogni singolo nemico presente su schermo potrà ambire ad un prestigioso ruolo di Comandante. No, tranquilli, non è una promessa da PR/sviluppatore: anche il più banale ed anonimo dei mob che ci infliggerà un colpo letale, sia esso un membro dell’entourage di un mostro a noi già noto o un uruk solitario, si ritroverà con un titolo altisonante (X dei Ragni, Y il Tagliagole, Z il Senza Paura) e guadagnerà un posto vacante da Capitano nella scacchiera del potere, in continua mutazione e mai uguale, di cui avremo una costante panoramica, iniziando così il suo cursus honorum. Se ciò non dovesse bastarvi, sappiate che ogni vostro incontro verrà memorizzato (incluse le ferite che infliggerete al Capitano di turno) e che la sconfitta verrà pagata con la crescita di livello dell’avversario, che otterrà un migliore equipaggiamento ed un maggior numero di seguaci, rendendolo di fatto ancor più difficile da sconfiggere.
Soprattutto nei primi frangenti, basterà davvero poco per morire e per rafforzare la compagine nemica, rischiando persino di far livellare alcuni avversari ben oltre la soglia di sopportazione e trasformandoli in frustranti ed inoppugnabili macchine da guerra: l’animo strategico del titolo prende il sopravvento proprio in quei momenti, anche se raramente riuscirete a superare uno scontro senza una dovuta pianificazione, in particolare contro i Comandanti. Massacrare le loro guardie del corpo prima di affrontarli direttamente li indebolirà, e avremo più di un’occasione per farlo. Il cursus prevede infatti duelli, ordalie, faide (con le quali vendicheremo sconosciuti giocatori in carne ed ossa di chissà quale remoto angolo di mondo), battute di caccia o campagne di reclutamento, vagando per le praterie di Núrn o i brulli canyon di Udûn, le due vaste location liberamente esplorabili.
Sulla mappa troveremo l’attuale posizione di ogni capitano, utile per decidere se stanarlo ed eliminarlo del tutto (almeno per un bel po’), o quanto meno impedirgli di aumentare il proprio potere, ma saranno soprattutto i punti di forza e le debolezze e l’acquisizione di informazioni sugli stessi (grazie ai pavidi “vermi”, uruk codardi da molestare e minacciare) a fare la differenza: ogni entità svilupperà una particolare attitudine, e così qualcuno potrà essere massacrato da una pugnalata alle spalle, altri da una freccia scoccata con precisione millimetrica nel cranio, mentre qualcun altro sarà immune ad entrambi gli approcci; ci sarà chi fuggirà al cospetto dei titanici Graug o dei famelici Caragor, creature che potranno essere cavalcate così come aizzate contro i nemici, mentre altri li odieranno a tal punto da aumentare esponenzialmente il proprio potere, costringendovi ad una ritirata o all’ennesima sconfitta. E quando a metà di un’avventura che anche dopo 15/20 ore di gioco riesce ancora ad avere delle cartucce da sparare, sarà possibile marchiare i nemici e schierarli presso le proprie fila, contribuire alla loro crescita gerarchica aiutandoli con le succitate prove e i convenevoli di rito, portarli a guadagnarsi la fiducia dei guerrieri più potenti ed insormontabili, e dominare a tutti gli effetti un intero esercito di uruk-hai, Ombra di Mordor darà il meglio di sé anche dal punto di vista tattico, ad esempio portandovi a marchiare di soppiatto gli arcieri di vedetta e le guardie più isolate, e a dare inizio all’assalto tramite la pressione di un semplice tasto.
La bontà dell’operato di Monolith sta anche nell’aver arricchito un tale ben di Sauron così strategico e sopraffino con delle meccaniche di palese derivazione, ma che ben si amalgamano rendendo godibile e per nulla noiosa l’intera esperienza open-world, una missione che sembra essere sempre più complessa, al giorno d’oggi: da una parte troviamo un combat system di chiara ispirazione Rocksteady, preso letteralmente in prestito dai “compagni di scuderia”, più precisamente dai due irraggiungibili Batman, con un sistema di rapidi attacchi e contrattacchi, agili schivate e stordimenti, conditi da arcinote e numerose finishing move in grado di colpire più avversari contemporaneamente, che punisce il button mashing scriteriato e premia il tempismo, ma anche lo sfruttare l’ambiente in maniera creativa grazie alle altre due armi in possesso di Talion, oltre alla spada.
Un pugnale spezzato, utile per uccisioni stealth di soppiatto da cespugli o appigli, comodo anche durante gli accesi scontri per sgozzamenti e veloci coltellate, e l’arco dello Spirito guida, col quale colpire i nemici dalla distanza, far “detonare” fuochi e barili di grog (che potranno anche essere avvelenati) o scatenare il panico con gli alveari di mosche Morgai o con le esche per i Caragor imprigionati, trasformando un potenziale suicidio in una festa di sangue, degno contorno di decapitazioni, teste trafitte e schiene rotte che troverete in abbondanza. Una particolarità che giustifica una trovata palesemente ispirata ad un’altra pietra miliare (la serie Assassin’s Creed), l’Occhio dell’aquila, è invece lo switch in tempo reale tra Talion e lo spirito, il quale offrirà abilità come il prosciugamento, la lettura mentale per carpire informazioni sugli uruk di alto rango e la visione speciale per individuare più facilmente nemici, elementi con cui interagire, capitani e obiettivi, fondamentale nelle numerose missioni ed attività collaterali sparse per le vaste mappe di gioco.
Il parco attività è vasto e, sopratutto, dinamico, influenzato com’è dalle succitate meccaniche sandbox che stravolgono tanto la gerarchia degli uruk, quanto le stesse missioni a disposizione del giocatore: molte di queste infatti non potranno essere riprovate, e il fallimento sarà definitivo, mentre altre avranno una scadenza temporale. Morire ci ricondurrà alle Torri della Fucina, checkpoint che offrono anche viaggi rapidi, qualche ora dopo, dando tutto il tempo agli uruk di crescere e diventare sempre più forti, rendendo ancor più pesante la disfatta e punendo così pesantemente la minima distrazione del giocatore, circondato da nemici non sempre molto astuti, ma non per questo meno letali. Quel che però rende L’Ombra di Mordor estremamente godibile e divertente nonostante i rischi che il free-roaming comporta e l’elevato monte ore (le 30 decantate dal team le raggiungerete portando a termine poco meno dei 3/4 dell’intero gioco) è un vero e proprio fattore casualità, che rende Mordor viva e pullulante di individui e attività. Origliando i discorsi dei nemici, scoprirete che molti temono il Senza Morte (ovvero il protagonista), altri provano un senso di nostalgia pensando al capitano che gli avete massacrato sotto gli occhi, altri ancora sono invece felici di averne bruciato il cadavere, e non mancheranno i classici gradassi che millanteranno epiche gesta, il tutto espresso con frasi quasi sempre inedite, cariche di una varietà che raramente è possibile trovare al cospetto di titoli con generazione procedurale, e che donano al tutto un feeling realistico e spontaneo.
Per spezzare il ritmo tra una missione e l’altra saranno inoltre presenti attività estemporanee come la caccia di ragni e ratti, la raccolta di erba pipa, e la liberazione degli schiavi, costretti ai lavori forzati e sempre pronti ad approfittare di distrazioni dei loro aguzzini per provare a fuggire, fino alle quest legate alle uniche tre armi presenti, utili ad ottenere Mirian con i quali ampliare gli slot per le rune disponibili. Quest’ultime, non molto “incisive”, verranno rilasciate dai capitani e dai comandanti e permetteranno di personalizzare ulteriormente il proprio stile di gioco, unitamente al buon parco abilità sbloccabili tramite i classici punti esperienza, fruttati da missioni e uccisioni, e quelli di Potere, legati alle missioni “gerarchiche”.
Insomma, c’è davvero tanto da fare in Ombra di Mordor, tra le sue attività, il suo combat system agile e scattante e le sue diaboliche meccaniche “politiche”, e solo dei controlli non sempre precisi, un Talion di tanto in tanto impacciato e una telecamera spesso ballerina tenteranno di rompere le uova del paniere, con inquadrature che rischiano di compromettere uno scontro, fughe che si concludono drasticamente per via di un appiglio o un erba curativa afferrati in ritardo, o un masso/ostacolo che blocca misteriosamente il tragitto. Lievi note dolenti che si uniscono ad un doppiaggio in italiano non proprio uniforme, con alcune voci ben recitate e perfette, e alcuni uruk con un tono da ragioniere, più che da bestia immonda. Le location poi, in particolare Udûn, non spiccheranno per varietà, con delle texture sempre uguali, cariche sì di dettagli ma a tratti piatte e sporche, o pozzanghere di acqua, fango e sangue che sembrano specchi immobili.
Ma la splendida atmosfera trasudata dal plumbeo cielo dell’inferno orchesco, pronto ad opporsi alle soleggiate praterie di Núrn, vi farà chiudere più di un occhio, con il suo mondo vivo e pulsante e con l’immensa cura riposta nei dettagli da Monolith, tra le vesti del nostro Talion, il cui mantello svolazzerà di continuo, di ogni comprimario, e l’estrema varietà dei nemici proposti, ognuno ricco di armi, armature splendide da vedere e mai banali, nonostante la generazione randomica, e di elementi che li contraddistinguono l’uno dall’altro in maniera convincente, che sia un elmo, una cicatrice, una pittura bellica o un epico coro che inneggia al loro nome.
In conclusione…
L’Ombra di Mordor, sulla carta, sarebbe dovuto essere l’ennesimo tie-in spompato e derivativo, sbiadito clone di grandi titoli e l’ennesima conferma dell’eterno fallimento rappresentato dai titoli basati su grandi licenze cinematografiche. E invece Monolith zittisce tutti, traendo spunto in maniera per nulla vaga da due capisaldi come Batman e Assassin’s Creed (ci sono persino i “glifi”!), ma andando al contempo a sviluppare un’Intelligenza Artificiale che, ne siamo certi, farà scuola, grazie al Nemesis System che meriterebbe un posto d’onore nei libri di game design. La Mordor in cui Talion (e con lui il giocatore) avrà un incredibile imbarazzo della scelta sulla prossima missione da portare a termine, tra main quest, schiavi da liberare e i numerosi ed imprevedibili compiti legati alla compagine avversaria è viva e brulicante, tra uruk chiacchieroni, Caragor affamati fuggiti chissà come dalla gabbia e umani in rivolta, e il potere posto nelle mani del giocatore, quello cioè di gestire a suo gradimento i delicati equilibri politici dell’intero gioco, si rivela essere un elettrizzante punto di forza.
La generazione procedurale mostra i muscoli con una varietà bestiale, un feeling realistico e pulsante, mentre il rodato combat system, le molteplici sequenze stealth e il grande senso di libertà trasmesso da le due vaste location presenti, pongono la ciliegina sulla torta di un titolo che, complice anche la ricchissima voce delle appendici legati all’universo tolkeniano, stupirà tanto i fan delle opere (sia letterarie che cinematografiche) nonostante la farina del sacco di Monolith, e al contempo gli amanti degli action duri e puri, che potranno affiancare alle classiche scazzottate delle pregiate strategie e delle sopraffine tattiche.
Emulazione, coraggio e talento rendono L’Ombra di Mordor una vera perla inaspettata, in questo autunno già caldissimo.
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