News 11 Dic 2014

Rocksmith 2014 (Next-gen) – Recensione

I rumor sul ritorno di serie amatissime come Guitar Hero e Rockband continuano imperterriti, ma mentre Activision e EA affilano le armi, Ubisoft continua a seguire la sua strada, più complessa e ambiziosa, ma inevitabilmente più lodevole. Il suo Rocksmith riuscì infatti a mandare in pensione discutibili (ma divertentissime) periferiche di plastica a forma di strumenti musicali in favore di legno e metallo, di corde affilate come pugnali e di ritmi precisi come orologi svizzeri, di vere chitarre (e bassi), tanto quelle in bundle con il gioco, quanto quelle in possesso dei giocatori/futuri (o attuali) musicisti.

Abbandonando parzialmente l’anima party (pur offrendo l’inevitabile modalità cooperativa) ma non l’essenza arcade, il gioco/corso di Ubisoft è riuscito a ritagliarsi un fandom estasiato dalle meraviglie offerte dal suo titolo, continuamente supportato con DLC in grado di aggiungere nuovi brani mai banali settimana dopo settimana e con un nuovo capitolo, Rocksmith 2014, che riuscì ad affinare ulteriormente quanto di buono era stato tracciato col primo atto.

L’arrivo della next-gen e la finestra di lancio del secondo episodio, di poco precedente all’avvento di PS4 e Xbox One, lasciò l’amaro in bocca agli early-adopter che abbandonarono la old-gen durante la transizione, ma cavalcando l’onda dei remaster, l’annuncio di una riedizione “in HD” (concetto estremamente relativo per un rhythm game), concretizzatosi con questa riproposizione per le nuove piattaforme, è riuscito a colmare la lacuna con un anno di ritardo, andando ad offrire il primo (e per ora unico) titolo del genere sulle nuove console interamente identico all’originale, ma lievemente minato da un fisiologico problema tecnico.

La proposta, insomma, rimane invariata: un vero e proprio corso interattivo che è a conti fatti un’ode senza troppi convenevoli alla gamification, con noiosi esercizi mascherati da divertenti e folli minigames dal sapore retrò, pallosissimi compiti a casa propinati come obiettivi da raggiungere e un punteggio atto a premiare la buona (o meno buona) esecuzione di un brano, ricompensata con versioni dello stesso ancor più complesse e ricche di note da suonare a tempo.

Tutto è dove lo avevate lasciato lo scorso anno (nel caso abbiate già consumato i polpastrelli su 360, PS3 e PC): si inizia impostando il proprio livello di abilità con lo strumento, customizzando così l’intera esperienza. Peccato che, per via del suo fare da “maestrino”, Rocksmith tenderà ad ignorare bellamente le vostre skill, costringendo anche i più esperti a suonare in maniera estremamente elementare, almeno nelle primissime esecuzioni, ogni singolo brano presente. L’unica vera concessione è la scelta del ruolo da rivestire nella band virtuale, incentrando così il proprio percorso sul lato puramente ritmico, o su quello solista, fondamentale per gli aspiranti Hendrix a caccia di emozioni forti.

La modalità Carriera, troppo ancorata alle plasticose muse ispiratrici, è stata spazzata via da “Impara un brano”, un’intera modalità-tutorial che segue per mano il giocatore proponendogli task (dal semplice provare una delle modalità presenti all’eseguire un certo brano), esercizi da studiare per migliorare l’esecuzione di un determinato riff o lezioni da seguire nell’apposita sezione, infarcita di minuziosi video che mostrano tanto come fissare al meglio la tracolla quanto il modo più efficiente per eseguire un complicato tapping.

Si sceglie il brano prediletto (tra i 50 a disposizione e i 300 DLC sfornati sino ad ora, importabili dalla vecchia versione), si accorda lo strumento in base alla canzone (tenendo anche conto di eventuali Drop) e BAM, si è sulla griglia di gioco, una sorta di tablatura colorata e in movimento che indicherà l’esatta posizione delle note da suonare sul manico della vostra chitarra (o del basso), così come la relativa corda, oltre chiaramente ad eventuali tecniche da applicare su ognuna di esse (vibrato, bending, etc).

I neofiti o i chitarristi “viscerali” poco inclini a leggere la musica possono stare tranquilli, in quanto la frequenza delle note sarà all’inizio molto bassa: nel momento in cui vedrete su schermo sempre più note, Rocksmith starà entrando in azione e vorrà dire che i vostri sforzi stanno iniziando a dare i loro frutti. Il più grande pregio del gioco/corso di Ubisoft sta proprio nel suo tentativo di sostituire un vero e proprio insegnante, premiando la buona esecuzione con un innalzamento del livello di difficoltà e tentando di spiegare cosa non va nel caso in cui il giocatore vada a sbagliare sempre quel dannato lick. Un bending sbagliato troppe volte equivarrà ad un invito a ripetere la lezione, o ad esercitarsi grazie ai Guitarcade, una trovata brillante che ogni chitarrista esperto logorato da estenuanti e robotici esercizi accoglierà a braccia aperte.

In questi minigame, più di 10, la chitarra diventa un joypad, e il trionfo in-game verrà determinato dalla corretta applicazione di una specifica (e spesso noiosa da ripetere meccanicamente per fini di studio) tecnica: dalla navicella spaziale che abbatte i nemici eseguendo l’accordo richiesto, al platform 2D in cui il protagonista dovrà acciuffare delle banane avanzando nel livello in base all’intensità della plettrata (in modo da allenarla inconsciamente a comando), il team si è davvero sbizzarrito a proporre delle valide alternative al piazzarsi davanti ad un demoniaco (ma fondamentale, sia chiaro) metronomo, allenando così velocità, precisione e conoscenza delle scale senza appesantire l’esperienza.

Una volta presa confidenza con lo strumento, la vera essenza di Rocksmith prenderà il sopravvento: le sessioni non-stop che spazzeranno via lo scomodo pad, necessario per muovervi nei menù (le chitarrine di GH e RB lo permettevano, dannazione!, ndr), utili per un flow continuo di brani pre-selezionati, verranno presto sostituite, in primis, dal Sound Designer, un ricco e complesso (per i musicisti alle prime armi) editor nel quale si potrà plasmare il proprio sound prendendo spunto da quelli più famosi (ho letteralmente consumato il sound dei solo di Dimebag, ndr) o creandolo da zero, personalizzando ogni singolo elemento, dal pre-ampli agli effetti, allo stesso equalizzatore.

In Sessione invece, si avrà a disposizione una vera e propria band virtuale con la quale jammare all’infinito: si sceglie la tonalità, gli strumenti d’accompagnamento (inclusi effetti sonori come un’atmosferica pioggia), il groove e persino la presenza o meno di inaspettati cambi di tempo. Per quanto gli strumentisti tentino di seguirvi stoppando l’esecuzione quando non rileveranno più alcuna plettrata da voi, l’impossibilità di controllare i cambi di tonalità smorzano quel feeling che solo dei veri bandmate possono trasmettere, ma forse equivale a chiedere un po’ troppo… magari nel nuovo Rocksmith, chissà…

Se graficamente le migliorie si limitano alla fluidità generale e ai 1080p, gli acerrimi ed inossidabili nemici di Rocksmith rimangono il lag e la sua cronica imprecisione nel rilevare al 100% qualsiasi nota e plettrata prodotta dal giocatore, elementi che si traducono in una lieve ma costante frustrazione che turberà principalmente i completisti, ma anche i giocatori più attenti. Lunghe e perfette serie di note verranno spesso interrotte immeritatamente da una errata rilevazione e non da un effettivo errore del musicista in azione, situazione resa ancor più complessa dal fisiologico ritardo tra l’esecuzione e il suono prodotto che, in assenza di un impianto audio “esterno” (delle cuffie, o meglio ancora, un amplificatore in carne e transistor), rendono l’esperienza davvero difficile da digerire.

Il problema è comune all’interno del mondo della musica digitale, ma prima di procedere all’acquisto, qualsiasi apprendista chitarrista deve tenere bene a mente la cosa.

Altra nota dolente, almeno per i puristi, è che per quanto siano convincenti e curate le emulazioni proposte, una volgare copia cinese di una Stratocaster o una sofisticata opera d’arte forgiata da un’esperto liutaio suoneranno praticamente allo stesso modo. Ma è un dettaglio che ai neofiti difficilmente farà storcere il naso.

In conclusione…

Rocksmith rimane il più curioso ed intrigante titolo “didattico” in circolazione, col suo grande merito di impartire lezioni efficaci ed approfondite con un metodo divertente ed appagante. Dal suo seguire per mano il neofita, fino al traghettarlo verso la (né completa, né approssimativa) padronanza dello strumento, il software forgiato da Ubisoft riesce a rendere piacevole e godibile l’apprendimento e l’esercizio di tecniche e nozioni che, come spesso accade, rischiano di annoiare i musicisti più “viscerali” e “di pancia”, elementi fondamentali ma di non semplice assimilazione la cui imprescindibilità riesce, non poche volte, a far volatizzare quel briciolo di forza di volontà che numerosi talenti nascosti finiscono con l’investire altrove.

Tra i sempre geniali Guitarcade, le sfide e i suggerimenti che vengono proposti per migliorare le pecche e superare gli ostacoli del proprio percorso didattico, l’esecuzione del vasto e variegato parco brani si conferma essere ancora una volta un’esperienza appassionante, minata dai soliti problemi “tecnici” che inevitabilmente colpiscono questo tipo di produzioni. Insomma, gli manca solo la parola e quel “polso” che soltanto un maestro in carne ed ossa possiede per rimettere in riga un allievo svogliato, ma il resto è tutto al suo posto, incluso il margine di miglioramento che le future versioni potranno portare con sé.

Nel caso in cui lo abbiate saltato a piè pari sulla old-gen, fatelo assolutamente vostro, mentre gli ex-possessori, salvo crisi d’astinenza insopportabili, non troveranno davvero nulla di nuovo per cui valga la pena tornare.

Voto: 8,5/10

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