Difficilmente i detrattori di Skyrim lo ammetteranno, ma da quando il mastodontico titolo di Bethesda si è affacciato sul mercato in quell’ormai lontano novembre del 2011, i GDR (principalmente quelli di stampo occidentale) hanno iniziato a vivere una nuova giovinezza, sicuramente mitigata nelle meccaniche per via dell’inedito pubblico, refrattario a quell’essenza hardcore che caratterizzava i giocatori della primissima ora, ma senza perdere una goccia di maestosità, di complesse trame fitte di dialoghi, di titaniche bestie da mandare al tappeto, da soli o in compagnia.
Lo dimostra il ritorno sulle scene di vecchie glorie sia in forma di sequel o remake (da Wasteland 2 alle Enhanced Edition di Baldur’s Gate) e IP nuove di zecca (come l’atteso Pillars of Eternity di Obsidian), ma anche la scelta di alcuni team di riadattare spinosi tie-in in maniera del tutto originale (il dissacrante South Park: The Stick of Truth), o di narrare fiabe incantate potenzialmente adatte ad un vasto pubblico, ma proposte in una veste più adatta ai gamer smaliziati (il prezioso Child of Light). Nei nostri Awards figurano poi tre GDR che, a nostro parere, hanno lasciato un segno profondo tanto negli amanti del genere quanto nel genere stesso: Dragon Age: Inquisition che ridona lustro al nome di Bioware, Dark Souls II, che conferma la crudeltà dei nipponici From Software, e Divinity: Original Sin, dimostrazione che la libertà creativa supportata dai fan può portare soltanto a qualcosa di buono.
Dragon Age: Inquisition
Dopo un primo capitolo eccelso e un seguito molto deludente, il timore di assistere al definitivo crollo di un’IP dal vasto potenziale come Dragon Age aumentava con l’avvicinarsi dell’uscita. Peccato (anzi, fortuna!) che l’arrivo di Inquisition sugli scaffali di mezzo mondo si sia trasformato in un’esplosione fotonica di voti vertiginosi, di giocatori entusiasti e di applausi, con tanto di riconoscimenti e “Gioco dell’Anno” distribuiti senza parsimonia alcuna dalla stampa di ogni angolo del globo. L’averci distrutto la produttività e la vita sociale durante le feste è solo uno dei tanti motivi per i quali lo trovate anche in questa categoria, senza bisogno di incensarlo ulteriormente.
Divinity: Original Sin
Sono pochi i progetti lanciati su Kickstarter che riescono a raggiungere gli scaffali (virtuali e non), e ancor meno riescono a salire agli onori della cronaca. Larian Studios ha invece fatto centro con il suo Divinity: Original Sin, GDR vecchia scuola nato per i fan ed interamente sviluppato grazie al loro supporto, il gioco di ruolo che il team belga non era mai riuscito a sfornare per via di budget risibili e publisher poco incoraggianti. I suoi fitti dialoghi, le tante peculiarità che ne caratterizzano il gameplay e la mole incredibile di quest ci ha tenuti incollati per un numero insormontabile di ore, ore dannatamente piacevoli.
Dark Souls II
Quando il pubblico hardcore ti venera, è dura, durissima mantenere la qualità delle precedenti produzioni, e al contempo provare a rendere il tuo nuovo titolo più adatto anche ai meno avvezzi. Con Dark Souls II, manifesto della difficoltà tutta nipponica, From Software ha semplicemente seguito il sentiero già tracciato con il precedente Dark Souls per distaccarsi dal capostipite della “serie” (spirituale), ovvero l’ulteriore bilanciamento di meccaniche in equilibrio sull’orlo di un baratro di sadismo e crudeltà, con un tasso di sfida dosato a dovere e il coefficiente frustrazione sempre più ridotto all’osso. La lore è sempre misteriosa ed appassionante, le location incredibili, e i boss impossibili.
South Park: The Stick of Truth
Tie-in= Gioco pessimo tutto incentrato sulla trama (spesso anch’essa di dubbio valore). Obsidian prova e riesce a spezzare l’incantesimo con la sua personale reinterpretazione di South Park in chiave GDR, con meccaniche semplificate ma divertenti, attacchi e magie fuori di testa e la solita ironia che varca senza problemi qualsiasi soglia di perbenismo e buon costume (basti pensare che una delle classi di combattente a disposizione è l’Ebreo!). Il tocco dei genitori naturali di Cartman e co. si sente e si vede, ed è forse quello il segreto di una buona riproposizione: un condensato dell’intera serie che ne mantiene intatto lo spirito, indipendentemente dal genere. E l’ampio respiro di questo The Stick of Truth dimostra in maniera superba che non solo l’action e il binomio FPS/TPS possono accogliere le entità di piccolo e grande schermo.
Child of Light
Chiudiamo le nomination con un altro titolo targato Ubisoft, ma dalla filosofia di sviluppo degna del team più creativo ed indipendente che riusciate ad immaginare. Un toccante ibrido tra platform (per quanto riguarda l’esplorazione delle splendide ed artistiche location) e GDR di stampo giapponese (i combattimenti e la progressione dei personaggi), che ben lungi dall’intrappolare i giocatori in una vagonata di ore di gameplay o in mondi immensi, preferisce intrattenerlo con una vera e propria fiaba, delicata ed incantevole così come ogni elemento che compone questo Child of Light, una delle tante sorprese del 2014. Mostri incredibili, atmosfere sognanti, e un combat system ben più complesso ed appagante di quel che potrebbe sembrare.
And the winner is…
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