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02 Ago 2016

ABZÛ – Recensione

ABZÛ, da qualsiasi parte lo si guardi, è uno di quei titoli che ti tocca in un modo che non ti aspetti. Un titolo strano, stranissimo, quello dei ragazzi di Giant Squid: del resto, da un nucleo di sviluppatori nato da una costola di thatgamecompany sarebbe difficile aspettarsi qualcosa di banale e scontato. ABZÛ, non a caso, è ben lontano da quegli stilemi tradizionali del videogioco a cui, negli anni, ci siamo abituati: non esiste game over, la salute del protagonista non viene mai messa in discussione per un solo istante, non esiste l’ombra di una creatura ostile in grado di ostacolare il nostro incedere. Volendo essere sintetici, potremmo dire che in ABZÛ esiste una sola cosa da fare: nuotare. Assecondare le onde, immergersi nelle profondità più oscure, fluttuare con delfini o banchi di pesci variopinti immersi in un universo che non sembra conoscere limiti. Non esiste progressione, story-telling affidato a testi o dialoghi o, più semplicemente, una sceneggiatura nel senso classico del termine: nuoti, vai proverbialmente in giro cercando il percorso corretto per procedere, raccogli qualche collezionabile e via, sino all’epilogo. Già, avranno pensato in molti, un simulatore di sub senza bombole d’ossigeno…

L’origine del termine ABZÛ è di matrice mesopotamica, e si compone delle due radici AB, ad indicare qualcosa di carattere “oceanico”,, conoscenza: oceano di saggezza, volendo tradurlo al limite del letterale. Ma è proprio in questo titolo così criptico che, in realtà, si racchiude l’essenza stessa dell’IP: un’essenza tanto profonda quanto personale, introversa e obliqua che da un lato finisce per rendersi  irrimediabilmente inadatta a chiunque cerchi azione, frenesia o “spettacolo” ad ogni costo, ma dall’altro regala una carica emotiva dirompente, che va ben oltre l’ennesimo scorcio sottomarino che leva il fiato. ABZÛ è un’esperienza pura e riflessiva, piuttosto che un videogioco in senso tradizionale, che ricalca un sentiero tanto affascinante quanto pericoloso: quello percorso anni or sono da Journey, riconosciuto ancora oggi come uno dei capolavori incrollabili del gaming “moderno” nonostante la sua natura più unica che rara. E proprio alla luce di questo paragone inevitabile possiamo soltanto plaudere all’operato di Giant Squid, incredibili nel ricreare un viaggio in una dimensione mai come oggi piena di vita, colori e, soprattutto, sensazioni. A patto, ovviamente, di saperle cogliere e apprezzare.

abzu ABZÛ

Alle redini di ABZÛ troviamo una vecchia conoscenza dell’industria del videogioco, Matt Nava. Un nome che meriterebbe molta più fama di quanta effettivamente ne goda, trattandosi dell’Art Director di perle memorabili quali Flower o lo stesso Journey. La matrice portante di ABZÛ nasce chiaramente dalle ceneri ardenti di queste passate esperienze, dalla volontà di proporre qualcosa che vada oltre il concetto di semplice gioco e allo stesso tempo accompagni il giocatore in un cammino di crescita. Un viaggio solitario, dicevamo, e dannatamente introspettivo, la cui durata e percorso dipendono esclusivamente dal desiderio di chi tiene il pad di approfondire quanto questo incredibile universo subacqueo abbia da offrire. Giocato liscio, con il solo obiettivo di carpire anche solo a grandi linee dove voglia andare a parare il racconto di Nava, ABZÛ supera a fatica le due ore e mezza: un po’ troppo poco anche per un titolo ai limiti dell’indipendente, considerando gli attuali standard del mercato digitale. Non fosse che, di tutti i modi possibili per affrontare ABZÛ, l’approccio da speed runner rappresenti in assoluto la scelta peggiore: e non è certo una coincidenza se, da mesi a questa parte, lo stesso Nava abbia ribadito più volte come l’ingrediente segreto di quest’avventura sia la pazienza.

Contrariamente a quanto si possa pensare, ABZÛ non è un titolo davvero open world. Si tratta piuttosto di un insieme di enormi “stanze”, collegate una all’altra da tunnel, cunicoli o specifici passaggi che compongono l’unica strada a disposizione del giocatore. Un titolo, dunque, estremamente lineare in linea di principio, in grado tuttavia di mascherare questa linearità di fondo – resa ulteriormente evidente da una suddivisione “a compartimenti stagni” che impedisce di tornare a visitare una zona già attraversata in precedenza, esclusion fatta per le meditazioni – grazie ad un level design estremamente intelligente e, soprattutto, all’introduzione di un set ragguardevole di location segrete.

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Non essendoci veri e propri bivi che possano precludere porzioni di mappa obbligando un percorso piuttosto che un altro, il team di sviluppo ha giocato con correnti marine, alghe e altra vegetazione tipica dei fondali oceanici per mascherare – talora in modo ineccepibile – l’ingresso ad aree segrete, difficilmente ravvisabili da un nuotatore distratto. All’interno di queste piccole aree, che di norma si ricollegano alla zona principale o obbligano a tornare brevemente sui propri passi, sarà possibile raccogliere collezionabili speciali dalla forma di conchiglia oppure, utilizzando il sonar di cui siamo equipaggiati, attivare una sorta di “spawn point” per nuove razze di pesci non ancora incontrate nel nostro peregrinare. Non solo: alcune di queste zone, di norma le meno accessibili, forniscono al giocatore una serie di dettagli aggiuntivi che fungono da piccoli tasselli per l’enorme puzzle alla base del concept narrativo di Nava. Lì per lì si tratta di informazioni parziali e apparentemente prive di significato, come possono esserlo strani simboli alieni incisi in una struttura metallica o una sorta di geroglifico egizio impresso in una caverna a centinaia di metri di profondità. Il segreto, ancora una volta, è la pazienza.

Restando in tema di esplorazione, vale la pena citare la presenza dei droni, piccoli robottini subacquei che rispondono agli input del nostro sonar: quando non si fanno ingoiare dal famigerato Squalo Bianco (incombenza onnipresente nel nostro viaggio, che pur non attaccandoci direttamente assume un significato ai limiti del totemico) si dimostrano estremamente utili nell’aprirci la strada eliminando barriere coralline o altre strutture naturali altrimenti invalicabili. Vuoi per le tonalità assunte dall’oceano, vuoi per quel meraviglioso fattore distrazione legato alla presenza di centinaia di pesci su schermo e all’incredibile varietà di vegetazione che andremo ad incontrare, non sarà sempre così facile cogliere il giusto percorso al primo colpo. Il che, inutile dirlo, “obbliga” il giocatore a nuotare da una parte all’altra, sfiorando pesci sempre nuovi al’interno di un universo dove anche la componente verticale si fa sentire: merito di un level design stupefacente e realistico – come affermato dallo stesso Nava, i fondali di ABZÛ si ispirano a strutture geologiche realmente esistenti.

Puro e riflessivo, un’esperienza più unica che rara

C’è tuttavia un senso evidente di progressione in ABZÛ: uno più interiore e personale, che il giocatore avverte quando, uno dopo l’altro, unisce i tasselli raccolti dipanando lentamente il velo di mistero che li avvolge. Il secondo è invece più evidente in termini di gameplay, laddove per garantirsi l’accesso ad una nuova area (che, lo ripetiamo, precluderà il ritorno a quella precedente) sarà richiesto di attraversare delle Fonti subacquee magiche sulla cui destinazione, per ovvi motivi, non intendiamo spendere ulteriori parole. Diciamo che, proprio come in Journey, anche in ABZÛ c’è una forte componente “mistica” e spirituale, fulcro centrale attorno a cui ruota l’intera narrativa del titolo: l’acqua come metafora della vita, in grado di sgorgare anche dal fondo dell’oceano per ridare vitalità a tutti i suoi abitanti. Abitanti che sono presenti simultaneamente a centinaia su schermo, intenti a dar vita a geometrie e danze in grado di incantare per interi minuti.

Giant Squid fa le cose in grande sotto questo punto di vista, e replica fedelmente oltre duecento specie di pesci realmente esistenti, riproponendone i comportamenti sia in solitaria sia, e soprattutto, in branco: dalle balene isolate che attraversano lentamente l’abisso alle meduse, agli squali tigre e ai calamari giganti, passando per insidiosi barracuda o tartarughe millenarie che si muovono in gruppetti sfruttando le correnti più veloci. C’è letteralmente da perdere il conto là sotto: ecco perché lo sviluppatore ha deciso di introdurre la cosiddetta Meditazione, una modalità “di riposo” attivabile in concomitanza di speciali statue sommerse durante la quale, in estrema sintesi, potremo concentrarci sui nostri compagni di viaggio (alternando la telecamera da un pesce all’altro sfruttando lo stick sinistro) ricavandone alcune interessanti informazioni. Non che si tratti di una feature strettamente indispensabile in termini di gameplay, ma è altresì inevitabile la curiosità di saperne di più, dopo aver incontrato l’ennesimo banco di creature sconosciute.

ABZÛ

Da un punto di vista tecnologico, sono soltanto due le pecche che possiamo imputare al titolo pubblicato da 505 Games, divisione editoriale del gruppo Digital Bros, La prima, comunque meno grave di quanto si possa pensare, è relativa a dei tempi di caricamento non propriamente fulminei: per avviare una partita “da zero” dovremo aspettare un intervallo di tempo che sfiora tranquillamente i 30/40 secondi, grossomodo gli stessi richiesti dal caricamento della partita o, nel menu di selezione delle Meditazioni, necessari a raggiungere una delle pietre sbloccate per approfondire la nostra conoscenza sulla prolifica fauna sottomarina. Particolarmente più problematica è la combinazione di telecamere e controlli, che richiedono questi ultimi un periodo iniziale inderogabile di rodaggio per gestire al meglio la nostra escursione. Posto che già dopo i primi scenari sarà possibile districarsi con maggior naturalezza tra alghe, pertugi e fondali marini, permangono alcuni punti dove si ravvisa una leggera mancanza di precisione o, in generale, la manovra richiesta non sia eccessivamente agevole. Nel complesso, il momento più complicato è come sempre l’inizio – di default, lo stick sinistro sarà configurato in modalità inversa sull’asse Y: dovesse esservi troppo scomodo, sarà ovviamente possibile modificarlo da apposito menu.

Dove il titolo stupisce e incanta, inutile dirlo, è proprio nella direzione artistica. Da un lato abbiamo un comparto visivo strepitoso, che inganna nei primi minuti di gioco per un approccio che sembra virare al minimalista ma, al contrario, si apre rapidamente in un tripudio di luci e colori, di geometrie voluttuose di forme che danzano chi vicine alla superficie dell’acqua, chi sul fondo, chi nascondendosi timidamente tra alghe lunghe anche decine di metri, Il cel shading adottato dallo sviluppatore, unito ad uno stile volutamente geometrico e ad una palette cromatica che alterna luci accecanti ad ombre abissali tanto gelide quanto affascinanti, convince alla perfezione. Non sarà presente un Photo Mode analogo a quello dei recenti titoli Naughty Dog – il che è davvero un peccato, ma vi ritroverete a salvare tonnellate di istantanee di gioco, una più ispirata dell’altra. In tutto questo, ultimo ma non meno importante, c’è Austin Wintory, acclamato Maestro delle musiche di Journey che, con ABZÛ, dimostra quanto incredibili siano le sue doti. Le sonorità del titolo Giant Squid sono qualcosa di unico, calde e avvolgenti quanto il raggi del sole accarezzano la superficie dell’oceano, ma gelide e quasi malinconiche, quando gli abissi più profondi svelano i propri misteri. Stupore, emozione, sorpresa, paura: lo spettro di emozioni dell’essere umano viene veicolato da note fugaci, da improvvise toccate e fughe che sottolineano l’euforia del momento o da scale di pianoforte che rapiscono e catapultano letteralmente chi gioca all’interno dello strano cosmo che sta osservando. In una sola parola, perfette.

Conclusioni

Che ABZÛ non fosse un titolo per tutti, in fondo in fondo, lo sapevamo da sempre. Proprio come Journey, quel piccolo capolavoro fatto di stranezze e di intimità, di narrazione talmente obliqua da apparire impalpabile per tutto il gameplay per poi trovare compimento in un finale filtrato dagli occhi dell’esperienza del giocatore, e proprio per questo ancor più memorabile. ABZÛ è esattamente questo: un’esperienza demiurgica, solitaria e riflessiva, un’avventura nelle profondità del nostro oceano interiore alla ricerca delle sue bellezze, dei pericoli, dei segreti e delle sue inaspettate rivelazioni. Un titolo in cui non esiste il game over – nemmeno quando il colpo d’occhio, specie nelle battute finali, potrebbe farci supporre l’opposto, in cui non c’è necessità di un respiratore o di bombole per starsene ore ed ore a pressioni inumane mentre architetture passate e future rapiscono la nostra attenzione, in cui esiste un solo prerequisito fondamentale per trarre il massimo dalle ore trascorse in ammollo: la pazienza.

ABZÛ non chiede di correre, al contrario invita a nuotare con calma, a scivolare in mezzo alle alghe o nei fondali sabbiosi, a prender parte alle danze secolari di pesci oceanici mai visti prima per poi riposarsi su enormi massi, da cui osservare la vita a migliaia di leghe di profondità. ABZÛ invita a scoprire un universo incredibile e stupefacente con la gentilezza di chi non ha alcun problema di tempo, esortando chi gioca a prendersene quanto più possibile per scovare anche il dettaglio all’apparenza più insignificante. Perché anche quel dettaglio, in realtà, può essere importante o nascondere qualche segreto incredibile; perché, alla fine della fiera, siamo tutti delle piccole gocce d’acqua immerse in un oceano enorme. Enorme e meraviglioso, come quello di ABZÛ.

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