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Agony – Recensione

Chi vi scrive, su Agony, ci aveva scommesso qualcosa di abbastanza proverbiale che è meglio non approfondire. A nulla erano bastati i consigli di persone molto vicine e amici, che profetizzavano amaramente uno scenario tutto tranne che roseo per l’horror in prima persona di casa Madmind Studio: “Non farti ingannare dal trailer, non vedi che è tanto fumo negli occhi?” o “Ma non vedi che ci saranno sì e no quattro asset ripetuti all’infinito?” sono diventate frasi costanti nella fase di avvicinamento al gioco, atteso con abbondante salivazione sin dall’annuncio su Kickstarter e difeso a spada tratta in nome di una tradizione, quella infernale/demoniaca, che è impossibile non amare. Una tradizione che trae ispirazione da Dante e da Milton, piena zeppa di citazioni e folklore che culminavano in un Regno degli Inferi che, così di primo acchito, sembrava essere la cosa più bella mai vista – almeno diabolicamente parlando – nell’ultima generazione. L’abbondanza di riferimenti alle mie tristi ultime due settimane e l’utilizzo del verbo “sembrare”, ebbene, dovrebbero essere sufficienti ad introdurvi a quello che, senza troppi giri di parole, potremmo definire un disastro di proporzioni ultraterrene: un qualcosa che difficilmente riusciamo a spiegare, in termini emotivi, e che ci ha stretto in una morsa di incredulità e sconforto dopo grossomodo cinque minuti di playthrough. Che, tutto sommato, meglio non può essere descritto che dal termine “Agonia”.

Agony

Volessimo citare l’intramontabile Thomas Prostata, “Agony è un titolo pulp. Molto pulp. Pure troppo“. Diciamo che sì, rappresentazioni così efferate e senza mezze misure del più basso dei regni dell’oltretomba non se ne vedono tutti i giorni: sangue a profusione, torture e violenze inaudite sbattute tranquillamente in faccia al giocatore, nudità ed erotismo (se proprio così lo possiamo chiamare, ma ci arriviamo a breve) anche abbastanza spinto sbandierati come se nulla fosse in quello che, a conti fatti, altro non è che l’orgiastica rappresentazione della casa di Lucifero. Che sia chiaro, ha un retrogusto letterario – come raccontavamo in apertura – mica da ridere: l’abbondanza di riferimenti all’inferno dantesco, tanto per iniziare, ma anche ad altri elementi della “tradizione” infernale rappresentano un plus non certo indifferente nell’opera d’esordio di Madmind Studio, che indubbiamente riesce a dipingere un Inferno pulsante, cruento e dannatamente peccaminoso. Ciò significa dover scendere a compromessi con il buon gusto, per alcuni, anche se Agony tutto è tranne che vituperoso od offensivo verso la moralità di chicchessia: ma tra crocifissioni invertite, statue della Madonna attorniate da demoni non propriamente intenti a pregare, mutilazioni, pezzi di carne che penzolano dai muri e atti sessuali (con mercanzia in bella vista) tra esseri delle più svariate forme, nel nome di quella lussuria e voluttà che Satana & co. conoscono bene, diciamo che di materiale per distrarsi ce n’è a sufficienza. Il tutto senza nemmeno tirare in ballo il recente video, rilasciato dallo sviluppatore, relativo ai quattro minuti di scene tagliate: un potpourri di infanticidi, abusi sessuali, parti demoniaci con inquadrature ravvicinate e altre amenità che definire aberranti rischia quasi d’esser riduttivo.

Che poi, giusto per battere il ferro finché è caldo, è proprio la carnalità selvaggia e senza freni a fare da filo conduttore nei nostri passi iniziali presso le porte infernali di Agony. Superato il claudicante video introduttivo ci ritroveremo infatti dinnanzi ai portoni dell’Inferno, in una sorta di atrio sospeso nel vuoto composto da un enorme scatola toracica scheletrica. Il nostro obiettivo è rintracciare la Dea Rossa, lasciva creatura degli Inferi – nonché incarnazione maledetta della sessualità perversa degli abitanti di quella ridente regione: un demonio conturbante e letale, in grado persino di ridare la vita ad un corpo condannato alla maledizione eterna. Facile soltanto a parole, sappiatelo da subito, vista e considerata la presenza di minacce, demoni e torture che si dipaneranno di lì a pochi minuti lungo il nostro cammino. Ma fosse questo il vero problema di Agony, credeteci, saremmo ancora intenti a festeggiare…

Agony è un titolo pulp. Molto pulp. Pure troppo

Al netto di stupri, organi genitali in bella vista, cenni di cannibalismo e creature recanti una vagina dentata in luogo di una normalissima testa (e questo è solo l’inizio), Agony si configura come un horror in prima persona infarcito di enigmi, dove l’esplorazione nei disperati meandri infernali rappresenta l’unico modo efficace per guadagnare qualche utile potenziamento, raccogliere cuori speciali o far perdere le proprie tracce ai numerosi nemici. C’è pure un’anima stealth in questo viaggio all’Inferno targato Madmind Studios, un’anima che trae ispirazione da fenomeni del calibro di Outlast/Alien Isolation che va a tradursi nella possibilità di accucciarsi, di nascondersi o persino di trattenere il respiro per sfuggire alle altrui attenzioni – che, lo chiariamo a scanso di equivoci, si traducono in una morte dolorosa e spietata nell’arco di una manciata di secondi. Il che, di nuovo, offre sulla carta delle potenzialità strepitose: potenzialità che, pad alla mano, crollano in modo impietoso.

Tanto per iniziare, la versione PS4 di Agony soffre di un problema drammatico legato alla luminosità: a meno di non alzarla a livelli esagerati, rendendo il tutto però eccessivamente sovraesposto e – per dirla in termini tecnologici – una diabolica schifezza, saremo per la maggior parte del tempo al buio. Esistono le torce, certo, ma non sono né infinite né destinate a durare per sempre: saranno dunque frequenti i momenti in cui, muovendoci alla cieca, finiremo per sbattere il grugno su qualche bestia di Satana affamata. Se già ogni potenziale incontro si traduce in un matematico trapasso, ancor più fastidiosa è la vista dei suddetti aguzzini, abilissimi nell’individuarci anche a distanze abissali, nonostante l’oscurità totale, mentre saremo intenti a trattenere ridicolmente il respiro. Ok che è casa loro, per carità, ma perdere in partenza così beceramente un po’ ti fa incazzare…

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Il dramma tuttavia si compie nella materializzazione di due delle scelte portanti del design di Agony: il sistema di salvataggio prima, la meccanica di possessione poi. Il meccanismo di checkpoint concepito da Madmind Studio va oltre il concetto di “Dark Soul-ismo” più spinto, e si articola fondamentalmente in un sistema di checkpoint – disposti proverbialmente alla “membro di cane” – che, una volta attivati, garantiranno tre tentativi all’avventato giocatore. Al suo terzo decesso, per capirci, il checkpoint verrà automaticamente disattivato e ci ritroveremo, soli ed inerti, al punto di salvataggio precedente: il che potrebbe anche essere un’idea interessante, a voler essere generosi, non fosse che da un checkpoint all’altro possono intercorrere anche 15 o 20 minuti di gameplay. Giusto per dare un’idea, pensate di essere nel mezzo di una run di Dark Souls e, dopo un paio di trapassi, il vostro amato falò dovesse spegnersi: come la prendereste? Noi decisamente male, cosa che ci ha spinto dopo un paio d’ore di gioco a disattivare questa idea demoniaca sfruttando un’apposita opzione del menu di gioco: non che ci piaccia vincere facile, per carità, ma la frustrazione scaturita dal dover ripercorrere lunghissime sequenze di gioco, nuovamente braccati metro dopo metro da demoni sempre più affamati, alla fine ha preso il sopravvento. Fortunatamente, è il caso di dirlo, scorciatoie e porte sbloccate nella “run” precedente resteranno aperte (proprio come accade nel capolavoro di From Software), rendendo leggermente più abbordabile la ricerca del checkpoint successivo.

Per quanto riguarda la possessione, diciamo anche stavolta si ricade nel girone delle occasioni sprecate: alcune sezioni del gioco richiederanno infatti di trasmigrare la propria anima nel corpo di un’altra creatura, demone incluso, in modo da sfruttarne doti e skill speciali e, perché no, progredire per un sentiero altrimenti precluso. Peccato che il tempo a disposizione per effettuare questo cambio di corpo – una procedura, pad alla mano, pure particolarmente macchinosa – sia ai limiti dell’irrisorio, col risultato che vi ritroverete più volte a girovagare come semplici animette impaurite alla ricerca di un ospite ideale per i vostri scopi che non sembra voler arrivare. La soluzione al problema si trova ancora nel menu opzioni, dove sarà possibile semplificare questa operazione portante rendendo più “umano” l’intero iter: viene tuttavia lecito domandarsi, a questo punto, se limare e bilanciare al meglio entrambe le meccaniche appena descritte fosse più intelligente, ancorché utile, di inventare due escamotage per disattivarne quasi del tutto le potenzialità. Una domanda a cui, purtroppo, difficilmente troveremo una risposta.

Da un titolo chiamato Agony forse c’era da aspettarselo

Il disastro, almeno su PS4, si concretizza appieno quando andiamo ad analizzare il versante tecnologico di Agony. Immaginate di avere un level design dannatamente accattivante, fatto di cunicoli e passaggi segreti, che offre al giocatore molteplici strade per raggiungere l’obiettivo corrente. Se già lo schiacciante strapotere degli avversari fungerà da catalizzatore per ridurre l’esplorazione libera al minimo, obbligando quasi moralmente a correre a testa bassa sino al target pregando i piani alti di non incontrare nessuno strada facendo, a rendere ulteriormente vano i lavoro dei ragazzi di Madmind ci pensano una serie di bug e imprecisioni aberranti che, senza mezzi termini, vi faranno seriamente dubitare sul significato dell’espressione “Controllo qualità”. Partiamo da un tearing onnipresente, persino durante le sequenze cinematiche del titolo, che va a braccetto con cali di frame rate vistosi e compenetrazioni di varia natura – cose che non si vedevano almeno da una buona generazione a questa parte. La modellazione dei nemici è parziale ed altalenante, con un trattamento decoroso soltanto per i personaggi “principali” ma una sporcizia e un’incuria evidenti per tutti i restanti abitanti dell’Inferno: mancano i dettagli, le particolarizzazioni, un qualcosa in grado di dare degna resa visiva al quadro che si dipinge via via su schermo. Lo stesso discorso, purtroppo, si applica anche alla realizzazione degli scenari, che in svariate occasioni appaiono un’accozzaglia di asset scarsamente distinguibili uno dall’altro, gettati così alla rinfusa da rendere quasi impossibile capire quale porzione sia effettivamente “percorribile” e quale sia un mero orpello estetico. Possiamo solo ringraziare la sorte che ci ha donato di una sorta di tracer spirituale (utilizzabile ovviamente un numero limitato di volte, previa recupero di apposite statuine dorate) che indica la strada migliore da seguire: ma ritrovarsi a camminare in tondo, senza avere la chiara idea di quello che si sta facendo, è più di una possibilità concreta.

Agony

I primi minuti di Agony su PS4 Pro ce li ricorderemo per parecchio tempo, e non certo per i suoi meriti. Graficamente rumoroso, sporco e poco rifinito, una volta stretto il pad tra le mani il primogenito di Madmind Studio sembra una creatura demoniaca che nulla ha a che vedere con quanto visto nei trailer degli ultimi mesi. Aggiungeteci pure dei bug al comparto audio fastidiosissimi (che vanno a minare quanto di buono fanno le urla strazianti dei condannati e le risatine lussuriose delle Succubi) e i drammatici problemi di salvataggio (sempre nell’ammiraglia Sony) con annessa corruzione dei file e sì, capirete che per quanto fossero alte le nostre pretese, il voto che leggete in fondo alla pagina può sembrare persino troppo generoso.

Fa sorridere, a questo punto, ricordarvi dell’esistenza di due modalità di gioco aggiuntive, una disponibile da subito (Agony Mode) e una, dedicata alla figura della Succube, sbloccata una volta terminato il gioco. Sulla prima, anch’essa rasente il disastro, non c’è molto da dire: livelli generati (male e) pseudo-casualmente e il giocatore, frustrato oltre misura, impegnato ad uscirne vivo nel minor tempo possibile. Decisamente più interessante la seconda, che nei panni dell’eroticissima demone cornuta ci permetterà di affrontare i medesimi livelli dell’avventura principale, sfruttando però i poteri dell’oltretomba a lei legati: avremo così accesso a nuovi percorsi e scenari inizialmente preclusi, ad ulteriore testimonianza della bontà del level design ordito dallo sviluppatore e, cosa più importante, di quanto faccia male vedere tutto questo ben di Dio gettato al Diavolo nel peggiore dei modi. Ma se la saggezza dei proverbi ci ha insegnato qualcosa, da un titolo chiamato Agony forse c’era da aspettarselo…

Conclusioni

A rischio di sembrare ripetitivo, chi vi scrive tiene a sottolineare una cosa: sarà difficile dimenticarsi di Agony. L’opera di esordio di Madmind Studio, almeno nella versione PlayStation 4, va ben oltre le peggiori aspettative, inanellando una serie di errori così lunga e violenta da guadagnarsi un’insufficienza grande come una casa. L’hype mastodontico generato nelle ultime settimane crolla beceramente una volta stretto il pad tra le mani, quando quell’universo folle, lussurioso, violento e depravato si sgretola nell’arco di una manciata di minuti, vittima di scelta di design disastrose, di bilanciamenti improponibili, di un comparto tecnologico arretrato e maledettamente insufficiente.

A poco serve l’intuizione dello sviluppatore nel realizzare un level design davvero magistrale: un inferno vivo, labirintico ed efferato, dove è impossibile non perdersi e soccombere alla dannazione eterna. Peccato che il mare di citazioni letterarie e l’intero immaginario visivo infernale vengano letteralmente abbattuti da quella che, su PS4 Pro, appare quasi una early build grezza e poco rifinita: siamo consapevoli di essere di fronte all’operato di una decina scarsa di sviluppatori indipendenti, questo è assodato, ma per quanto aspettassimo Agony con la bava alla bocca già dai tempi dell’annuncio sulla piattaforma Kickstarter ci è difficile, per non dire impossibile, chiudere un occhio sulla deriva disastrosa che ha abbracciato il suo sviluppo su console. Difficile consigliarlo, insomma, anche agli amanti dell’horror più cattivo e profano in termini assoluti: di cose davvero memorabili ce ne sono parecchie, questo è vero, ma nemmeno le aberranti Onoskelis bastano a salvare Agony dalla condanna imperitura ai più infimi gironi infernali. Un peccato, vista l’occasione, a dir poco mortale.

 

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