Speciale 15 Nov 2018

Arthur Morgan, l’eroe tragico di Red Dead Redemption II

Abbiamo discusso parecchio su Red Dead Redemption II, il gioco più chiacchierato del momento nonché uno dei candidati più papabili alla corona di gioco dell’anno 2018. Questa volta però non voglio fare un discorso tecnico o polemico: no, questa volta voglio dedicare le mie parole ad Arthur Morgan, il protagonista tragico di Red Dead Redemption II. Quindi voglio avvisare sin da subito che questo articolo contiere spoiler del gioco (e probabilmente anche dei titoli precedenti), pertanto invito chiunque non avesse finito Red Dead Redemption II a rimandare la lettura a tempi migliori. D’altronde bisogna prendere l’ultimo lavoro di Rockstar con molta, moltissima calma.

Dunque, Arthur. So che molti fan e appassionati di Red Dead sono rimasti un po’ delusi dal vedere un protagonista diverso da John Marston, lo storico eroe del primo Red Dead Redemption. Non fraintendetemi: io adoro John. Adoro la sua risolutezza, il suo modo d’essere così iconico da essere rimasto scolpito nella memoria collettiva dei giocatori appena si pensi alla parola “Red Dead”. Rockstar Games lo sa bene, e infatti verso la fine del gioco è proprio John a tornare a prendere il timone dell’avventura. Ma non sono qui per parlarvi di Marston: lo conoscete tutti, sapete come vive e oramai avrete imparato a memoria la sua storia. No, io sono qui per parlare di Arthur, un personaggio apparentemente semplice che diventa incredibilmente complesso e che ha qualcosa che a Marston manca: una vera e propria evoluzione del personaggio, una crescita visibile e palpabile da ogni giocatore che si rispetti.

Red Dead Redemption II
Arthur apparentemente è un personaggio semplice. Solo apparentemente.

Il primo contatto con Arthur Morgan non lo fa certo sembrare una cima: il nostro protagonista sembra all’apparenza un uomo semplice, tutto muscoli e poco pensiero, che segue ciecamente gli ordini di Dutch Van Der Linde, che per lui è una sorta di figura paterna distorta e oscura. Strano tipo, il nostro Arthur: ricorda un po’ la vecchia figura del “braccio destro” del cattivo di turno, parzialmente inconsapevole del male che sta facendo e della vera natura del suo inquietante boss. Insomma, la mancanza di carisma è proprio lampante in Arthur, che sembra più farsi trasportare dagli eventi che non prenderne le redini per sé stesso. Inoltre i suoi compiti sono spesso ingrati: riscuotere debiti con la forza, interrogare la gente a suon di pugni e via dicendo. Le prime ore di Red Dead Redemption II non fanno certo brillare Arthur per la sua presenza scenica né per la profondità del suo animo.

Diciamocelo: Arthur Morgan è una sorta di bullo troppo cresciuto, che passa il suo tempo a rapinare i deboli e percuotere gli oppressi. Ma sarà davvero così? Ovviamente no. La personalità di Arthur è stata creata per essere svelata con i giusti tempi, esattamente come tutto il resto del gioco. Red Dead Redemption II è oramai noto per il suo approccio simulativo, per le lunghe cavalcate e gli splendidi dettagli di un mondo di gioco realizzato  con una cura estrema. Quello stesso approccio certosino è stato utilizzato anche su Arthur Morgan: ne avete un assaggio praticamente a metà gioco, quando Arthur porta il figlio di John Marston a pescare. Lì la personalità di Arthur Morgan inizia a venire a galla: un uomo sconvolto da centinaia di battaglie che forse, alla fine, non avrebbe mai voluto combattere. Un uomo che si interroga sul perché della sua esistenza, che si confessa con una ragazza della sua gang. Un uomo che ha visto troppo, davvero troppo sangue. La vita di Arthur è stata segnata da tanti avvenimenti orrendi, che lo hanno portato lentamente a intraprendere una strada oscura: ne è testimone Mary, il grande amore di Arthur che brevemente rivede durante qualche missione. Tutto per inseguire una vita da fuorilegge, la vita che Dutch Van Der Linde ha scelto per lui, come l’imperatore malvagio di Star Wars fa con Darth Vader (non a caso anche quella è una storia di redenzione).

Arthur, un personaggio apparentemente semplice che diventa incredibilmente complesso

Le cose si fanno ancora più gravi quando ad Arthur viene diagnosticata la tubercolosi, una malattia per l’epoca letale, dalla quale non esisteva scampo alcuno. Ed è qui che Red Dead diventa davvero un “Redemption”: Arthur Morgan, che ha lottato per tutta la vita, capisce che non c’è modo di evitare un’ultima battaglia dalla quale sa già che uscirà sconfitto. Può un uomo che ha passato la vita a uccidere e razziare nel nome di un ideale distorto trovare la pace e la redenzione? La domanda rimane senza risposta, ma quel che è certo è che Arthur apre per la prima volta gli occhi e inizia a vedere il mondo per quello che è, oltre la follia dell’utopistica e violenta vita che Dutch Van Der Linde ha pensato per la sua “famiglia”.  La storia di Arthur inizia a prendere una piega diversa, malinconica e riflessiva sicuramente, ma incredibilmente profonda e sfaccettata. Le ultime ore di vita di Morgan sono fra le più memorabili che si possa pensare di giocare al momento: quando tutta la sua esistenza viene messa in dubbio, Arthur riesce per la prima volta a rompere le catene invisibili che lo legano a Dutch Van Der Linde, ribellandosi al suo padre putativo e diventando finalmente l’uomo che era destinato a essere.

Il carattere di Arthur viene fuori in questi momenti e in alcune scene davvero toccanti è impossibile non empatizzare con il protagonista di Red Dead Redemption II: dalla finta speranza per una cura fino agli ultimi momenti del suo fedele destriero, la vita di Arthur lacera il cuore del giocatore come un coltello. Rockstar ha giocato con l’emotività dei giocatori esattamente come un violinista esperto farebbe con il suo strumento: e la cosa più bella è che in questa moderna tragedia siamo noi a decidere gli ultimi istanti di quest’uomo incredibile. Al giocatore è data la scelta di decidere il fato di Arthur, se fargli inseguire la speranza di una cura o permettere che questo anti-eroe si sacrifichi per permettere a John Marston di tornare dalla sua famiglia. La strada giusta non esiste, ovviemente. Esiste la firma che ognuno di noi ha messo alla fine di quel racconto incredibile che è Red Dead Redemption II, una storia che difficilmente dimenticheremo negli anni.


 

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