Quale miglior modo per rinvigorire una serie iper-produttiva e ricca come quella di Assassin’s Creed, satura di gameplay e contenuti, ma non ancora di epoche esplorabili, se non quello di ribaltare completamente la situazione cambiando le carte in tavola? La mossa di Ubisoft Sofia è tanto ambiziosa quanto rischiosa: trasformare un capitolo (sulla carta) minore (rispetto al mastodontico Unity) in un qualcosa di imperdibile per i fan più incalliti, e forse uno spiraglio per un cambiamento deciso.
E quel che Rogue offre è un concentrato di fan-service e vero e proprio “revisionismo”, importante e pesante come un macigno, che rischia di far storcere più di un naso, ma forse doveroso. Peccato che molte cose siano lasciate un po’ al caso…
Ma “revisionismo” in che senso?
Ubisoft ha avuto la pessima idea (a modestissimo parere di chi scrive) di basare la campagna marketing del titolo su, fondamentalmente, uno spoiler, ovvero il cambio di fazione del protagonista, Shay Patrick Cormac, quindi ci prendiamo la libertà di raccontarvi un po’ più nel dettaglio in che modo il team ha attuato questo cambio di pensiero, da trasmettere con tutte le forze anche ai giocatori e ai fan più incalliti, magari gli stessi che han passato ore e giorni a prepararsi il proprio costume da assassino per il Lucca Comics.
Sin dalle prime battute, l’eroe meno carismatico della serie (ma quello con un minimo di profondità psicologica, che non guasta mai) denoterà una certa avversione verso il Credo e le sue rigide regole, motivo di continuo contrasto con i suoi superiori, i quali continuano però imperterriti a trasformarlo nella punta di diamante della combriccola per via del suo elevato talento omicida. La caccia ad un manoscritto in possesso dei templari, fonte di informazioni per il recupero di preziosi manufatti di un passato ormai noto ai fan, così come di una misteriosa scatola, porterà Shay a confrontarsi con un potere devastante e pericoloso, troppo pericoloso per finire in mano ad un mentore poco incline ai bisogni del popolo ma fin troppo dedito al bene del Credo, e a sfidare i suoi stessi fratelli, ora dipinti come pavidi e ingordi, pur di riportarli sulla retta via.
Ma un solo scapestrato giovane non può nulla contro un’armata esperta e ben organizzata come quella degli Assassini, e l’incontro neanche troppo fortuito con i tanto odiati Templari mostrerà al protagonista (e ovviamente anche al giocatore) un’altra faccia della verità, un’altra dichiarazione di intenti, un cattivo che forse tanto cattivo non è.
Il tutto è ambientato in Nord America, alle porte della Guerra dei Sette Anni (più precisamente, dal 1752 in poi), con lo scontro tra inglesi (simpatizzanti ma non troppo per i templari) e francesi (supportati dagli assassini in inedita tenuta arancione) sullo sfondo: Shay dovrà insomma difendersi davvero da ogni fronte, che sia in città, su un isola sperduta o in alto mare.
Il fluire degli eventi è piacevole, ma non riesce a coinvolgere più di tanto per l’eccessiva frammentazione, tipica della serie ma qui portata allo sfinimento, tra piccole porzioni ambientate in varie città dell’altra sponda dell’Oceano, decine e decine di anonimi avamposti (Terra Nova, Halifax, Albany) e la sola New York da esplorare da cima a fondo, pallida copia della vivissima Boston di Assassin’s Creed 3. Ma la vera lama a doppio taglio è rappresentata dal gran lavoro svolto in fase di “connessione” con i precedenti episodi, nei confronti dei quali questo Rogue si propone come chiusura del cerchio.
Se, da una parte, gran parte degli avvenimenti tireranno in ballo personaggi, situazioni e conseguenze di ciò che accade in Black Flag (immediatamente precedente, cronologicamente) o che accadrà in Liberation (quasi contemporaneo) e nel terzo capitolo (immediatamente successivo) così come in Unity, andando a dare coerenza a tutto l’apparato narrativo, la scelta di riciclare parte delle location porta il giocatore ad un senso di déjà vu continuo, per non parlare di forzature un po’ troppo evidenti nel tentativo di tenere in piedi il tutto.
La confusione generale non si limita però alla narrazione, ma va ad intaccare l’intero apparato ludico, senza però, fortunatamente, sfiorare il coefficiente di divertimento. In Rogue c’è infatti tantissimo da fare, forse troppo, e l’idea che sia stato buttato un po’ tutto dentro per far numero fa capolino non poche volte, a partire dall’intera componente piratesca, forzatamente incollata sul pavido petto di Shay (talmente privo di personalità da ripetere la stessa identica frase fino allo sfinimento) sia durante la sua vita da assassino che in quella successiva. Per fortuna, però, Ubisoft Sofia ha alleggerito la difficoltà delle battaglie di Black Flag, rendendole meno frustranti e sistemando i controlli (giustificato, del resto, dallo sviluppo tecnologico fisiologico), trasformando l’ennesimo potenziale peso in un piacevole passatempo.
È comunque l’esplorazione, la ricerca dei tesori (di nuovo), la conquista degli avamposti a rendere godibile l’esperienza, unitamente a qualche piccola novità che cambia qualche carta in tavola in un gameplay ormai vecchio e reo degli stessi problemi: i combattimenti soffriranno degli stessi problemi del passato, sbilanciati e ancor più banali, e la sensazione che si possa risolvere tutto con un solo tasto è ormai palese, soprattutto per via delle nuove armi in dotazione ai templari, più moderne e letali. Da pistole più semplici da usare, a fucili ad aria compressa (che vanno a sostituire la cerbottana del IV) con i quali far infuriare ed addormentare le guardie o far esplodere barili posizionati ad hoc per provocare qualche fuoco d’artificio, passando per i lanciagranate ideati da un vecchio e brillante amico (uno dei tanti che incontreremo), versione estremizzata e ad ampio raggio dei dardi. Un campionario di elementi che trasformano la componente stealth in un brutto sogno.
Se ciò va a snaturare l’essenza tipica della serie, dando quasi ad intendere che forse un “Templar’s Order” sulla copertina non avrebbe fatto male, la scusante sta nel cambio di fazione del protagonista, ma non ci stupiremmo di vedere queste implementazioni in un progetto futuro moderno e dal sapore… bellico.
Il fanservice trasudato da ogni pixel, che porterà i fan a ben più di un sussulto, andrà comunque a stemperare la confusione che si respira, tanto nel passato quanto nel presente, molto meno considerato (ed appassionante) rispetto agli episodi precedenti ma ancor più radicato nel dualismo templari-assassini.
Speculazioni a parte, tutto è al suo posto, con sequenze stealth impoverite dall’IA come sempre ballerina (o troppo attenta, o cieca davanti ad un omicidio in bella vista), inseguimenti, quelli sì, al fulmicotone, impiccagioni, arrembaggi e minigiochi. Ci sono poi le bastardissime sentinelle, anch’esse nuove di zecca, che daranno del filo da torcere praticamente ovunque: una nebbiolina rosa indicherà la presenza di qualche infido nemico che non esisterà a pugnalarci alle spalle (anche durante momenti molto concitati, non c’è tregua!), da stanare tramite l’immancabile Occhio dell’Aquila, sempre utile a scovare i bersagli principali; ogni cespuglio potrebbe infatti nascondere un assassino che, al pari nostro, approfitterà delle distrazioni per colpirci e desincronizzarci, e se in fase di “ricognizione” la loro presenza richiederà di studiare ancor di più l’ambiente, durante corse e inseguimenti si riveleranno davvero fastidiose.
Spazio anche al lato “gestionale“, non molto profondo ma comunque stimolante: si potranno guadagnare soldi in primis portando a termine missioni navali (gestite direttamente dalla Morrigan, potenziabile ed estremamente personalizzabile) spedendo in missione i vascelli conquistati in battaglia, ma anche restaurando edifici in disuso come chiese e mulini, quasi a voler mettere in risalto la filantropia degli un tempo spietati e criminali templari. E poi caccia, crafting di armi e vestiario (con un campionario sempre più ricco), e una pletora di collezionabili sparsi in ogni angolo del vasto e variegato globo messo a disposizione da Ubisoft, un mondo familiare, ma a tratti etereo, quasi poetico, grazie alla candida neve di cui è ricoperto.
L’acqua gelata non permetterà a Shay di nuotare troppo a lungo, e tra un orso polare e una volpe artica, il vedersi dei pinguini a guardia di una tomba vichinga desterà un mix di stupore infantile e sorrisi, dopo le bestie feroci affrontate nelle verdi foreste (bruscamente collegate ai manti innevati). E poi nevica anche con il sole, ma cosa c’importa? C’è anche chi beve indossando una rudimentale maschera anti-gas (ovvero un fazzoletto), ma non son queste le cose a farci storcere (troppo) il naso.
Quando il team si risparmia di copia-incollare vecchi assets, Rogue offre dei panorami da urlo, uno dei pochi punti di forza della produzione, piacevoli anche su old-gen. L’Anvil è stato spremuto davvero a dovere, e non ci penseranno solo specchi d’acqua estremamente realistici e belli da vedere, né la coerenza fisica della neve che manterrà intatte le impronte del silenzioso assassino, ma anche la cura dei dettagli di abiti ed edifici, o i volti convincenti e vivi dei numerosi comprimari, un piacere per gli occhi che addolcisce l’amara pillola del non vedere sulle proprie Xbox 360 e PS3 quel tanto atteso e sontuoso Unity.
Di imperdonabile ci sono solo le pessime animazioni delle esplosioni, ridicolo se si pensa al focus che è stato fatto sulle nuove armi, così come qualche calo di frame-rate e i soliti, esilaranti glitch (“guardie-albero” su tutti), unitamente a qualche problema di caricamento delle texture ormai immancabile in mondi, c’è da dire, molto vasti non intaccano l’avventura, che con tutte le sue magagne si presenta comunque piacevole, se approcciata con il giusto spirito: niente rivoluzioni neanche qui, niente tasselli narrativi fondamentali, nessuna vera novità sotto il sole, solo il piacere di massacrare con un po’ troppa estrema facilità guardie e onorevoli guerrieri, ed esplorare una porzione di Stati Uniti inedita, più variegata di quella vista nel terzo e nel quarto capitolo, ricchissima di attività collaterali e tesori da scoprire. Accompagnati da un doppiaggio in italiano curato, anche in questo caso, come da tradizione.
In conclusione…
Rogue è il “fratello minore” che non ti aspetti, che vive però un dualismo pari solo a quello del suo stesso protagonista: da una parte troviamo una forte sensazione di déjà vu per via di vecchie location riproposte senza troppi convenevoli, una trama spezzettata e confusionaria, un gameplay che rinnova poco e va a snaturare l’essenza principe della serie, ma dall’altra Ubisoft Sofia incastra in maniera pressoché perfetta questo tassello nell’intricato puzzle dei “Capitoli Americani”, collegando con coerenza gli eventi e i personaggi, e regala un’ambientazione incantevole supportata da un comparto grafico/sonoro davvero ottimo per la vecchia generazione di console.
Ci sono tante cose da fare, posizionate intelligentemente sulla vasta mappa di gioco, e raramente la ripetitività fa capolino, ma è il basso coefficiente di sfida a non stimolare a sufficienza: la componente stealth è sempre più un miraggio, complici le nuove armi e l’IA ancora una volta scadente, l’uccisione dei bersagli principali è ormai a portata di tasto, ed è il giocatore stesso a doversi ingegnare per rendere più appassionanti le azioni in-game. Neanche a farlo apposta, le sezioni più intriganti sono proprio quelle in cui bisogna spremersi un minimo le meningi, quasi sempre però in momenti “extra” e lontano dal sentiero imposto dal team.
Tra i punti di forza, comunque, diretti perlopiù agli estimatori della saga, figurano proprio il “revisionismo” e il fanservice che permeano ogni pixel dell’avventura di Shay, finale incluso.
In pratica, i detrattori continueranno a massacrarlo, e i fan godranno di una decina d’ore di piacevole immersione nell’universo di Ubisoft, come sempre.
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