Beat the Game – Recensione

Nella maggior parte dei casi qui su GameSoul recensiamo titoli che non hanno nemmeno bisogno di presentazioni, ma ci sono delle volte in cui ci fidiamo del nostro intuito e ci avventuriamo in giochi che non avevamo mai sentito nominare fino a quel momento, ma che per un motivo o per l’altro ci hanno colpito. Beat the Game è stato uno di questi. Probabilmente ad ispirarci è stato quello che in effetti è il cuore del gioco, un cuore musicale dentro un corpo da adventure game: un’accoppiata che sulla carta sembra funzionare bene. Ma sarà davvero così? Lo scoprirete presto perché ahinoi, questa  recensione non sarà così lunga, così come non è così lungo il gioco di cui ci apprestiamo a parlare.

Uno stile grafico surreale, che senza ombra di dubbio ha una propria personalità, pur rifacendosi ad artisti quali Dalì ed Ernst, sembra mettere sulla buona strada Beat the Game. Quando poi scopriamo che si tratta di un’avventura grafica in 3D che si basa sulla musica elettronica e vediamo che il protagonista suona strumenti realmente esistenti come lo storico Roland TR-808 (drum machine uscita negli anni ’80 e proprio qualche mese fa riproposta in una nuova versione), pensiamo che non ci sia bisogno di sapere altro: andava recensito. Abbiamo aspettato di avere l’hardware audio giusto prima di giocarlo, proprio per esaltare il suo spirito musicale, e così lo abbiamo iniziato, e finito.  Sì, perché se c’è una cosa che ci ha lasciati letteralmente di stucco, è stata la durata del gioco, che è finito proprio quando pensavamo potesse fare un passo in avanti. Ma a proposito di passi, adesso ne facciamo uno indietro noi.

Le vicende “narrate” sono quelle di Mistik, ragazzo dalle fattezze longilinee e non particolarmente sveglio che, in sella alla sua moto (senza ruote, ndr), si schianta su qualcosa, mettendo letteralmente KO il suo veicolo e dovendo quindi trovare un’alternativa per procedere nel suo viaggio. Il nostro eroe porta al collo una specie di mixer/registratore, che si rivelerà essere la sua (unica) arma. Catapultati in questo mondo stravagante, il nostro obiettivo sarà semplice: collezionare una serie di suoni che andranno ad inserirsi all’interno di un mixer/sequencer che potremo suonare quando vorremo, in ogni momento. Girovagando infatti per una landa davvero risicata, avremo diversi modi per trovare questi suoni: registrandoli da fonti sonore, raccogliendo oggetti o raggiungendo determinate zone e quindi facendo sì che il personaggio faccia automaticamente determinate azioni.

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Man mano che collezioneremo i suoni, aprendo con un tasto il sequencer (per coloro che non se ne intendono, potremmo definirlo uno strumento con dei suoni preimpostati che vengono riprodotti all’interno di una sequenza costantemente in loop) potremo selezionare i suoni che vogliamo sentire, nonché il loro volume e la quantità di effetto applicato ad ognuno di essi. Non esistono combinazioni corrette o sbagliate, i suoni si adattano tutti tra loro in base alle nostre scelte, che dipenderanno quindi principalmente dai nostri gusti. Quando ci stuferemo di comporre la nostra colonna sonora e metteremo da parte il mixer, la sequenza che abbiamo creato continuerà ad esser riprodotta durante l’esplorazione. Questo è in sintesi il fulcro del gioco: l’obiettivo è collezionare più suoni possibili, per potersi presentare davanti ad un pubblico “astratto”, e suonare la sequenza suggerita dal gioco stesso.

Nulla da dire all’aspetto sonoro, che non si limita a mero accompagnamento, ma come detto è parte integrante e giocabile essa stessa: le musiche sono composte da Marc Houle (producer e DJ canadese) e che piaccia o meno il genere, sono ben realizzate. Il problema è forse l’eccessiva elementarità nel far “suonare” la colonna sonora, sempre coerente nonostante sia composta da una serie di elementi, ma che è davvero povera quantitativamente e che non richiede alcuna abilità particolare per essere creata. L’idea di basare il gioco sulla produzione musicale è azzeccata, ma forse essendo la parte clou, sarebbe dovuta essere un po’ più profonda.

Poco o per nulla coinvolgente, ma soprattutto breve, troppo breve

Allo stesso modo, trattandosi di un’avventura grafica (o almeno così viene presentato il gioco dagli sviluppatori), dobbiamo dire che la narrazione è praticamente inesistente e l’obiettivo resta quello di girare senza senso alla ricerca dei suoni, senza il minimo coinvolgimento, ma allo stesso tempo senza nessuna necessità di interagire attivamente o prendere decisioni (se escludiamo quelle musicali). Non bastano infatti una buona caratterizzazione dei personaggi e dell’ambiente circostante a tenere viva l’attenzione del giocatore, e tanto meno l’obiettivo principale del gioco. La voglia di andare avanti per vedere qualcosa di nuovo, per far “partire” finalmente la trama e magari mettere un po’ di pepe alla parte musicale c’è, il problema è che proprio quando pensiamo che il gioco possa spiccare il volo, ci rendiamo conto che a Beat the Game mancano proprio le ali.

Conclusioni

“L’apparenza inganna.” È forse proprio questo ciò che più di ogni altra cosa ci lascia Beat the Game. Un gioco con dei buoni presupposti, certo non per tutti, ma che possono incuriosire chi, come chi vi scrive, si diverte nel tempo libero a produrre musica elettronica. Purtroppo però, per quanto ben curato sia sotto l’aspetto grafico che sonoro, il gioco si perde nella sostanza: poco o per nulla coinvolgente, ma soprattutto breve, troppo breve. Negli ultimi anni abbiamo imparato ad apprezzare i videogiochi non solo per la loro durata, quanto per ciò che sono capaci di donare: purtroppo però Beat the Game lascia davvero poco al giocatore, se non l’amaro in bocca.

Noi ci siamo fidati dell’istinto, sbagliando. Voi fidatevi delle nostre parole, perché per quanto 10 euro possano sembrare pochi, c’è sicuramente di meglio in giro a quel prezzo, ci sono vere e proprie opere d’arte, che senza bisogno di prendere ispirazione artistica o musicale, lasciano qualcosa di concreto e profondo nel cuore dei videogiocatori.

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