La possibilità di entrare in contatto con un personaggio dell’industry così rispettato e stimato, ma anche spesso al centro di polemiche, vuoi per le sue posizioni a volte controverse, vuoi per il suo pedissequo tentativo di rompere gli schemi, è vera e propria manna dal cielo. Lo spazio-tempo non si curerebbe delle tre, cinque, dieci ore di imbottigliamento nel traffico della tangenziale capitolina (nel mio caso solo una, ndK) prima di poter solo sperare di raggiungere una maestosa Piazza della Repubblica, se possibile resa ancor più magica e mistica dalla presenza di una personalità così imponente, anzi due. La visionaria mente dietro Beyond: Due Anime, l’unico e vero protagonista dell’evento, rimane pur sempre quel David Cage che a cavallo tra il XX e il XXI secolo ha saputo plasmare a suo piacimento l’amato genere delle avventure grafiche, sviluppandolo, spogliandolo e donandogli un nuovo abito moderno e perfetto, senza la necessità di essere alla moda. La seconda ed imponente personalità è uno dei volti al centro del gioco: digitalmente conosciuto come Dr. Nathan Dawkings, abbiamo potuto ammirare le sue reali fattezze in una miriade di film hollywoodiani, quel Willem Dafoe che già ha avuto sporadici contatti con il mondo videoludico, quindi perfettamente a suo agio con un’opera così sperimentale.
Il sontuoso Hotel Exedra accoglie un manipolo di giornalisti e blogger, fungendo da raffinata cassa di risonanza per le parole intrise di sogno, magia e passione di un Cage in ottima forma, spiritoso, e davvero a suo agio tra avidi scrutatori ed impertinenti esperti che però difficilmente trattengono mascelle, applausi e sussulti dopo una breve sequenza mostrata, o un concetto d’impatto che come un fendente colpisce l’anima di chi ascolta, e nell’ora e mezza circa a disposizione mostra a tutti, con orgoglio, il frutto di 3 anni di duro lavoro del suo team, Quantic Dream, e delle illustri personalità coinvolte.
L’apertura non poteva non essere affidata all’anima del titolo stesso, la base portante della trama, o meglio, delle trame. Beyond è incentrato su Jodie Holmes e su Aiden, un’entità che la segue sin da bambina. Un alone di mistero lo/la avvolge: è uno spirito, un fantasma? L’unica cosa certa è che è sempre con lei, volente o nolente. Quel che lo stesso Cage ribadirà lungo tutto l’incontro è che la versione digitale di Ellen Page è una ragazza normalissima: non ha superpoteri, ma starà al giocatore scoprire cosa c’è dietro questo rapporto speciale di odio e amore, che neutralizza, almeno a prima vista, quell’alone di normalità che Jodie cerca e che la stravolge emotivamente, complice la natura altalenante dell’essere incorporeo, che sa essere spiritoso e protettivo, ma anche brutale, geloso e possessivo.
Il gioco coprirà 15 anni di vita: da bambina, da adolescente e da adulta, assisteremo alla sua crescita, alla sua evoluzione, ma non necessariamente in quest’ordine: non c’è un filo conduttore cronologico ben preciso, complice anche l’immersività che il team ha voluto donare al giocatore tramite le scelte, vero fulcro dell’esperienza, nel nome dello storytelling il più interattivo possibile, votato più all’emozioni e al compiere decisioni importanti, piuttosto che a sparare o a saltare da una piattaforma all’altra.
Quel che Cage e soci non volevano, così come sicuramente una gran fetta dei giocatori di Heavy Rain (se non tutti), era ottenere un’accozzaglia di cut-scenes con tasti da premere a tempo, né che quest’ultime fossero l’unico punto di contatto con la trama, come ormai accade nella stragrande maggioranza dei titoli, composti unicamente, sue testuali parole, da sezioni “uccidi uccidi uccidi, filmato spettacolare, uccidi uccidi uccidi”, la cui trama viene poi considerata “splendida” nonostante fosse un qualcosa di totalmente estraneo al gameplay. Con Beyond, lo scopo è proprio quello: fondere queste due anime ludiche, ed affidare la narrazione al giocatore attraverso le sue scelte. Dal punto di vista del gameplay, il team promette location più ampie ed interattive, oltre che ad eventi influenzati dallo stato d’animo della protagonista, ma una cosa che sin da subito noterete è un HUD decisamente meno invasivo che in passato. Dei punti bianchi indicheranno gli oggetti con i quali poter interagire tramite le levette analogiche contestualmente, tant’è che ogni movimento sarà differente ed unico, e non vedremo mai due volte la stessa animazione. Sarà inoltre possibile alternare Jodie e Aiden a nostro piacimento, e a proposito di quest’ultimo, potremo svolazzare per l’ambientazione, passare attraverso i muri, e “giocare” con cose e persone, costringendole, ad esempio, a fare ciò che desideriamo, strangolandole o possedendole, il tutto senza vere e proprie cut-scenes, ma tutto in tempo reale, senza render, complice anche il poderoso engine di gioco proprietario e creato da zero.
L’obiettivo è quello di creare una storia “organica”: le decisioni non devono essere ben distinte e contrassegnate da luci o indicatori, ma implicite nelle azioni. A tal proposito, racconta un particolare aneddoto: molti tester rimasero colpiti dal gioco, definendolo davvero ottimo ma un po’ troppo lineare, troppo “fluido”. Quando però si son messi a discutere delle loro scene preferite, qualcosa non andava: ognuno parlava di un diverso evento, oppure di un esito diametralmente opposto. Non sorprende quindi la presenza di 23 finali, e di una frase emblematica: “non vogliamo creare un’unica trama lineare; vogliamo che il giocatore collabori con lo sceneggiatore”. E qui entra in gioco la sua “visione” di Game Over, già analizzata in passato e ora prepotentemente ribadita: per David è solo una costrizione dello sviluppatore, un suo dire “Hey, devi fare quello che dico io!“. In Beyond, quello a cui assisteremo, almeno nelle premesse, sarà un fluire di eventi senza intoppi di alcun tipo: prendendo spunto dalla demo, in particolare la scena del treno, potremo scegliere se svegliare Jodie e farla scappare tra un vagone e l’altro, fino a raggiungere il tetto, ma una disattenzione di troppo potrebbe portarla alle manette, e ad una sequela di eventi totalmente differenti. Sarà insomma l’approccio del giocatore a decidere le sorti della protagonista.
Una protagonista illustre, punta dell’iceberg di un cast di attori davvero pregiato, il cui talento è alla base dell’intera opera. Il buon Dave ci ricorda dei suoi primi esperimenti in ambito di Motion-Capture, e del suo “scan” di celebrità, come accadde con David Bowie all’inizio della sua carriera: lo scopo però non è quello di ricrearne semplicemente le sembianze, magari aggiungendo il doppiaggio e avere così, oltre all’aspetto, anche la voce di un bravo artista. Per ottenere un vero e proprio “acting”, e lo spettro emozionale da esso provocato, si è spinto ulteriormente il piede sull’acceleratore, utilizzando il “Performance Capture” già ammirato in Avatar, ma portandolo ad un livello superiore. Il capolavoro di Cameron è stato infatti frutto di lunghe sessioni in cui l’attore di turno veniva rinchiuso in uno stanzino, nel quale era costretto a recitare fuori contesto. Quel che mancava era insomma il feeling, il contatto tra gli attori, un po’ come accadde in Heavy Rain. In Beyond invece, nonostante l’assenza di un set vero e proprio, c’erano 65 telecamere, una moltitudine di sensori sparsi su volto e corpo degli attori, e tanta fantasia, in quanto quest’ultimi potevano seguire unicamente lo script e le indicazioni del “regista”, potendo però in compenso interagire tra di loro e rendere il tutto più naturale: un vero traguardo per Mr. Cage, il quale afferma orgogliosamente di non aver mai visto nulla di simile in circolazione.
Una delle peculiarità del titolo sarà però la sua natura “social“, ma non nel senso più puro del termine. Tra i numerosi feedback ricevuti, molti menzionavano Heavy Rain come un titolo di “compagnia”, l’unico condiviso con compagni di vita, genitori o persino nonni, i quali si limitavano a dirigere verbalmente il povero hardcore gamer di turno, il quale però a conti fatti, recepiva piacevolmente i consigli di uno sguardo esterno e poco avvezzo ai videogames. Nella nuova creatura è stata perciò introdotta una sorta di modalità cooperativa a prova di “casual”: tramite un’app gratuita disponibile per iOs e Android, un secondo giocatore potrà far compagnia al Player 1 munito di Dual Shock, in modo da poter comunque giocare tramite il più “amichevole” touchscreen (dipende dai punti di vista, ndK), e scavalcare l’insormontabile ostacolo della manualità, il nemico conosciuto come “joypad” che tanti possibili utenti allontana, optando per un compromesso in grado di non snaturare l’esperienza degli hardcore gamer, e al contempo di ampliare il proprio pubblico, formato da “pro” e da “casual” che in entrambi casi non avranno difficoltà a trovare qualcosa di “diverso” dai grandi titoli che usciranno in questo affollato Autunno, di valore, ma forse, come lasciano intendere le parole di David più o meno velatamente, davvero poco innovativi.
Dopo una brevissima pausa dalle carismatiche labbra del developer francese di origine italiana, è il turno della star, Willem Dafoe, il quale si sbottona grazie alle domande poste dal validissimo Matteo Bordone, moderatore dell’evento. Parla dell’incontro con la produzione, molto “diretto”: ha ricevuto del materiale e la sceneggiatura, ha esplorato il mondo videoludico con Heavy Rain e ha avuto il colpo di grazia con il celeberrimo video di Kara. Le potenzialità di un simile progetto, la storia interessante, e il coinvolgimento di Ellen Page l’han poi inevitabilmente tirato dentro, complice anche il motion capture, ma anche il talento dello stesso Cage e del suo operato. Il suo personaggio è Nathan Dawkings, ricercatore del paranormale che sviluppa un rapporto quasi paterno con Jodie, nel tentativo di studiarla, ma anche di aiutarla, dato che Aiden non le concede alcuna tregua. E’ un personaggio dotato di molteplici sfaccettature, è forte, e caparbio.
Nello scambio di domande tra i due, il moderatore e i presenti, vengono poi toccati numerosi punti: i dubbi sull’utilizzo di una donna come protagonista, da sempre un punto interrogativo e fonte di accesi dibattiti, non un problema per David, più preoccupato di creare un personaggio intrigante ed interessante, ma sollevato dalla partecipazione della brava Ellen Page. Oppure sul variegato spettro emozionale che sembra portare il gioco con sé, definito dal creatore stesso “montagne russe emozionali“, vuoi per i numerosi stati d’animo della protagonista che si riverseranno anche sul giocatore stesso, ma anche dal repentino cambio d’atmosfera che ha spinto più di un giornalista, durante il Press-Tour, a dubitare che fosse lo stesso gioco. E dalle brevi sequenze mostrate e provate, tra feste di compleanno di sedicenni, allenamenti nelle foreste e poligoni di tiro, mai definizione fu più azzeccata.
Chiusura affidata invece a vari temi. Si parte con un’amara riflessione sulla censura: smentendo le voci di possibili differenze tra le varie versioni, ammette che c’è effettivamente un problema con gli organi di controllo, in particolare le rating board come il PEGI, davvero esagerati, a tal punto da considerare i registi di cinema dei privilegiati, e di paragonare i videogames al cinema degli anni ’40-’50, con casti baci considerati ben peggiori della morte di un individuo.
C’è poi un timido apprezzamento ad Oculus Rift, tecnologia stimata, ma sbolognata con un (giustificato) “bisogna però lavorare con tale tecnologia in mente, per poter produrre qualcosa di buono”, una battuta sullo spauracchio “Heavy Rain”, unica pietra di paragone e quasi “odiato”, per via delle continue richieste di un prodotto simile, se non uguale, una risposta onesta al mancato supporto a PSVita per quanto concerne il discorso “social” di cui sopra, troppo “hardcore” per il pubblico al quale è indirizzata l’app, e poco prima di ricordarci di Henry Ford e di una sua celebre frase, secondo la quale non avrebbe chiesto al popolo cosa volesse, in quanto avrebbe ricevuto in risposta “un cavallo più veloce” in quanto nessuno aveva mai visto un’auto, torna a menzionare il cinema, stavolta positivamente, sperando che l’industry videoludica si trasformi nella Hollywood degli anni ’70, durante i quali i soliti blockbuster vendutissimi vennero presto soppiantati da maestri alle prime armi quali De Palma, Coppola o Scorsese, tra i tanti, che con le loro produzioni indipendenti presero le redini e guidarono quell’universo dell’intrattenimento verso un qualcosa di qualitativamente irraggiungibile.
Beyond uscirà tra pochissimi giorni: il poco provato dalla demo promette meno “video” e più “game”. Per sapere se però le promesse del disponibilissimo David e di Quantic Dream sono state mantenute, vi invitiamo ad attendere la recensione completa, a breve su queste pagine!
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