Speciale 03 Lug 2024

Beyond Good & Evil: perché 20 anni dopo è ancora magia – Speciale

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Un titolo cult, che merita di più

Ci sono giochi che potremo definire speciali, ma con riserva: belli, affascinanti e capaci di crearsi un seguito di appassionati, mancando però di qualcosa che li renda effettivamente “immortali” agli occhi di tutto il pubblico. Tra questi titoli potremmo inserire anche Beyond Good & Evil, l’affascinante avventura creata da Ubisoft all’inizio degli anni 2000 e che riuscì a ottenere consensi da critica e pubblico fino a diventare un piccolo cult.

Si trattava di una produzione decisamente peculiare, che faceva un po’ il verso ai grandi classici dell’avventura nipponica (su tutti The Legend of Zelda) e ai platform collectathon di stampo occidentale, mostrando però personalità e stile molto peculiari, nonché un grande impegno nei valori di produzione.

Il più grande pregio di Beyond Good & Evil consisteva nella sua capacità di presentare un’esperienza tutto sommato “compressa”, ben lontana dalla longevità spropositata e sproporzionata a cui mira oggi Ubisoft con i suoi Assassin’s Creed, ma che al tempo stesso riusciva a far respirare le potenzialità di un mondo vastissimo.

Il rapporto con lo spazio che si presentava come minaccia e al tempo stesso ambizione, l’esplorazione legata ai veicoli fin dai primi istanti di gioco, i tanti comprimari e le diverse fazioni (tutte caratterizzati da un ottimo doppiaggio) e le tante curiose reintepretazioni delle narrazioni da sunday morning cartoon hanno fatto intendere fin da subito come avessimo tra le mani qualcosa di speciale.

Qualcosa nato dalla mente di uno degli ultimi artisti che hanno avuto modo di lasciare il segno in Ubisoft, quel Michel Ancel che ha dato i natali al buffo Rayman e che nel tempo ha provato ad espandere la propria visione fino quasi a farsi fagocitare dalla stessa.

È sufficiente vedere il processo di trasformazione avvenuto nel franchise dal primo al secondo episodio delle avventure del buffo “eroe melanzana” per capire che Ancel puntava a qualcosa in più di semplici giochi e racconti per bambini: dal primo capitolo, molto semplice e rassicurante per toni e immaginari, passiamo a un Rayman 2: The Great Escape che ha visto prendere il pieno controllo non solo nella direzione del gioco, ma anche per quel che concerne la visione artistica.

Il primo vero figlio di Ancel

Ne è risultato un gioco costruito su una trama decisamente più stratificata, che comprendeva mondi più vasti e tante nuove creature, dando vita concretamente a una mitologia per questo franchise. Le atmosfere risultavano meno spensierate e allegre, grazie a un sapiente uso di colori saturi e acidi e alla bizzarria del design delle creature.

Sembrava un po’ di guardare un titolo realizzato da RareWare (non a caso Rayman 2 ha esordito su Nintendo 64) ma sotto acidi. Il che è tutto dire.

Beyond Good & Evil sembra pensato e costruito quasi fosse un progetto figlio dell’esperienza accumulata con Rayman 2

E questo stile ben si prestava alle atmosfere cupe, alle storie più mature e… ai personaggi più realistici ed espressivi. Beyond Good & Evil sembra infatti pensato e costruito quasi fosse un progetto figlio dell’esperienza accumulata con Rayman 2. Guardando a Rayman 3, progetto che Ancel ha seguito in modo più marginale e non come director, era evidente la divergenza di visione, con lo stesso creatore che ha evidenziato come non riconoscesse più il suo personaggio.

Al tempo fu palese il tentativo di rendere Rayman “cool”

Così il 2003 ha segnato in un certo senso la divisione tra figli e figliastri, regalandoci da un lato (Rayman 3) una Ubisoft quasi conservatrice e dall’altro, con Beyond Good & Evil, un nuovo punto di approdo per quelle che sarebbero state le avventure in terza persona della casa francese.

Le atmosfere un po’ alla Star Wars, condite da toni degni di un film anni 80, contribuivano a creare spessore in ogni elemento dell’esperienza che pescava a piene mani da immaginari poco raccomandabili, danzando sul ciglio di orrori lovecraftiani e inquietanti invasioni degli ultracorpi.

È anche vero che nei primi 5 minuti ci viene insegnato che i media e il capitalismo sono il male, così come al mondo per andare avanti spesso si debba scendere a compromessi con persone non del tutto trasparenti. Tutte cose che non mi sono balenate inizialmente nella mente quando ho visto un maiale parlante nei vari trailer, se mi posso permettere.

Non crederai mica a tutto quello che trasmettono in TV?

Altro grande pregio di Beyond Good & Evil stava nella sua capacità di non essere mai troppo ripetitivo, dando ampio spazio all’utilizzo dei mezzi sia per l’esplorazione della mappa che delle città e dei dungeon. Il tempo speso a piedi è sempre “significativo” e offre un’esperienza non sovrapponibile alla normale navigazione, proponendo anche sezioni stealth e collaborazione con NPC, così come i consueti puzzle. E i combattimenti, sebbene imperfetti, esplodevano di colori e suoni, accompagnati da una colonna sonora da urlo.

La macchina fotografica con cui Jade osserva il mondo risulta centrale nel gameplay quasi (se non di più) quanto lo era il visore di Samus in Metroid Prime

Cruciale, se non iconica, è la macchina fotografica con cui Jade osserva il mondo e che risulta centrale nel gameplay quasi (se non di più) quanto lo era il visore di Samus in Metroid Prime, titolo uscito giusto un anno prima. Utile ad assorbire elementi di lore e ad accumulare crediti, richiedeva ai completisti di mettersi alla prova anche nelle situazioni più caotiche. Divertente e appagante, si presta a digressioni eticamente discutibili quando, nella nostra catalogazione delle specie animali del pianeta, ci chiediamo se sia il caso di fotografare gli orfani che vivono nel faro di Jade (sì, fatelo).

Un gioco nel gioco, ma con carattere

Jade è stata anche una delle prime eroine che ha sfoggiato uno spirito indipendente e combattivo, condito da spruzzate di sarcasmo e cinismo, provando però al tempo stesso a mantenere tratti di amorevole premura e vicinanza per i cari, impegnata a mettere da parte dubbi e debolezze per il bene di tutti. Se consideriamo poi che il comprimario maschio è un maiale parzialmente affidabile e propenso a consumare le risorse economiche di casa senza avvisare… beh, Jade potrebbe anche essere l’archetipo della moderna femminista.

Si scherza, ovviamente, anche perché Pey’j per sua natura è decisamente complementare a Jade, alzando l’asticella quando serve e offrendo al tempo stesso alla compagna una sponda per confrontarsi nelle scelte difficili. Ed è lui il centro di momenti estremamente importanti nell’approssimarsi al finale. Coprotagonista sì, ma non macchietta.

Zio Pey’j: il modello d’uomo a cui tutti dovrebbero ambire

Beyond Good & Evil è riuscito anche nell’impresa, oggi quasi impossibile da immaginare, di condensare storia e gameplay senza annacquare troppo, offrendo una durata adeguata e soddisfacente. La voglia di rivivere l’avventura permane dopo i titoli di coda, senza necessariamente avere flash di momenti dimenticabili di cui faremmo a meno.

Beyond Good & Evil è riuscito anche nell’impresa di condensare storia e gameplay senza annacquare troppo

Cosa ha reso però questo gioco, che dopo tante parole sembrerebbe quasi perfetto, un prodotto “incompiuto”, come dicevamo in apertura? Semplicemente, ed è un peccato dirlo, l’ambizione: Beyond Good & Evil nasce sull’entusiasmo di un Michel Ancel libero dalle catene di un mondo limitato come poteva essere quello di Rayman, pronto a immaginare una storia da raccontare ma al tempo stesso già convinto di realizzare ben tre capitoli (eh sì, fin dall’inizio non doveva essere un gioco unico, come ben sa chi l’ha giocato).

Siamo ancora in sospeso

Non si sa bene poi cosa sia successo negli anni immediatamente successivi ad Ancel e al suo team, ma abbiamo dovuto aspettare il 2008 (5 anni dopo) per assistere a un teaser che ci ha permesso di rivedere i due protagonisti in un modo un po’ discutibile (ma ci accontentiamo), senza nessuna info in più. L’anno dopo invece, grazie a una sequenza “””gameplay””” (non basteranno mai le virgolette per definire questo bizzarro spettacolo) abbiamo invece capito che qualcosa stava cambiando, che la visione inizialmente così peculiare si stava ibridando con elementi derivati da altre produzioni della casa e al tempo stesso stava perdendo la sua eccentricità visiva.

Stanchi e traditi, i giocatori hanno preferito iniziare a seppellire nel passato il ricordo dell’esperienza originale

Va bene, tutto bello, bellissimo. Ma poi il vuoto, l’assenza, il disinnamoramento: stanchi e traditi, i giocatori hanno preferito iniziare a seppellire nel passato il ricordo dell’esperienza originale piuttosto che continuare a sperare. Non v’era neanche certezza di cosa potesse essere giusto o sbagliato per questo secondo capitolo, combattuti sul perseguire il focus e l’attenzione mostrati nel primo episodio o provare a inseguire le potenzialità dei mondi aperti, in grande crescita.

Sulla destra potete vedere un fan del primo capitolo che attende il secondo.

Questo fino al famigerato 2017, anno in cui abbiamo assistito al nuovo annuncio e perfino a una imbarazzante “dimostrazione in-engine” da parte dello stesso Michel Ancel, che, però, tre anni dopo ha lasciato l’azienda per perseguire una nuova vita nella natura. A conti fatti il sogno di Ancel, considerando il tempo necessario a realizzare il primo capitolo, si è dipanato lungo 20 anni e ci ha regalato un unica, grande, gioia, riproposta prima in HD sugli store di Xbox 360 e PlayStation 3 e ora nuovamente disponibile su tutte le piattaforme con la graziosa edizione dell’anniversario.

A conti fatti il sogno di Ancel, si è dipanato lungo 20 anni e ci ha regalato un unica, grande, gioia

Quello che è stato e che accadrà di Beyond Good and Evil 2 (vi giuro, Ubisoft deve decidersi tra sito e comunicazioni ufficiali: si scrive con la “&” o con “and”?) oramai poco importa: sono cambiati i tempi, sono cambiati i giocatori e sono cambiati i dispositivi. Siamo passati dai CRT agli schermi piatti, dalla vibrazione al feedback aptico, dai caricamenti dei dischi ottici agli SSD, dallo stile caricaturale e da fumetto alla grafica super realistica e rugginosa. Il miraggio del viaggio nello spazio, che ci veniva presentato come rivoluzione, è ancora affascinante, ma come ben sanno Bethesda e Hello Games, è un mare ricco di intemperie e imprevisti.

Non sappiamo dove ci porterà questo nuovo capitolo, ma possiamo sempre sognare.

Per questo il primo Beyond Good & Evil oggi, a distanza di (quasi) 21 anni dalla sua prima release, rimane un titolo da giocare e ricordare. Perché rappresenta la speranza di una persona che ha iniziato a creare giochi da giovanissimo e che verso i 30 anni si era convinta di aver trovato il progetto della vita, salvo poi farsi stritolare dalle dinamiche aziendali di una realtà non propriamente brillante nella gestione dei progetti a lungo termine, apparendo nel tempo sempre più prosciugato e disilluso.

Con questo non si vuole tratteggiare Michel Ancel come un santo (non ci compete e non abbiamo informazioni in merito), ma sicuramente era un innovatore, una “superstar” del videogioco che ha smesso di creare a un passo dal diventare leggenda e che ha passato il testimone di un progetto convulso e dispersivo a un team sicuramente di talento ma che difficilmente saprà dare vita alla visione originale. Esattamente come avvenuto con Rayman 3.

Teniamoci stretto il primo capitolo, che esiste eccome, e del sequel sarà quel che sarà. Approfittiamo dell’occasione offerta da Beyond Good & Evil 20th Anniversary Edition per riscoprire la magia che è stata e guardiamo al futuro senza troppe aspettative, nella flebile speranza che Ubisoft possa mettere insieme questo folle progetto monstre e sorprenderci in positivo.

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