San Francisco – “L’imitazione è la forma più sincera di adulazione“. Ma From Software sarà un po’ stufa dei tanti adulatori sparsi per il mondo che ha, dato che i cloni di Dark Souls continuano ad emergere anche dopo anni dalla sua nascita. Black Iris, opera prima del giovane team brasiliano Hexa Game Studio, rientra perfettamente in quella categoria, e lo fa senza nemmeno nasconderlo: è quasi spudorato nel suo tentativo di copiare uno script dopo l’altro la maestosa e malvagia serie ideata da Hidetaka Miyazaki.
Se nel caso di Dolmen (altro titolo che tanto deve sia a Dark Souls che a Bloodborne), ai connazionali di Hexa, i Massive Work Studio, va riconosciuto il merito di aver almeno provato a proporre un proprio mix (per altro potenzialmente interessante), con Black Iris di lodevole, per ora, c’è solo la capacità del team di mostrare di aver appreso la lezione impartita dai maestri dell’action/RPG, ma sull’esecuzione non ce la sentiamo ancora di mettere la mano sul fuoco.
Black Iris è in tutto e per tutto un soulslike, o meglio, un “soulslite”, per prendere in prestito una distinzione che si fa tipicamente per quei roguelike con meccaniche meno proibitive del solito. Se le animazioni, la telecamera, il gameplay puro, l’atmosfera, ricordano spaventosamente i Dark Souls, alcune semplificazioni offrono una minima differenza, paradossalmente interessante per chi ha trovato estenuante ogni singolo elemento di quell’agglomerato di crudeltà: ad esempio, la meccanica di blocco qui è stata snellita mostruosamente, al punto da presentare un tasto per il solo parry, che non solo è molto più semplice da realizzare (e non diventa più una sofisticata prodezza riservata agli hardcore gamer più tecnici), ma uccide direttamente e con un solo colpo i comuni mob, limitandosi a bloccare solamente nel caso in cui il parry venga eseguito con un tempismo errato.
Come in Bloodborne, insomma, il focus è più sulle schivate rapide (utili solo per evitare i danni, dato che non c’è il backstabbing!). La cura, affidata a degli incantesimi (nella demo che abbiamo provato erano 10 in totale), viene eseguita molto rapidamente (ma bisogna sempre calcolare un minimo le tempistiche), ma è nelle armi che la semplificazione principale emerge, pad alla mano: erano 3, ognuna con diversi valori di velocità e attacco, e con speciali abilità, con l’accoppiata spada semplice/scudo che permette di effettuare il parry, una lancia di media lunghezza che permette anche di curarsi (in aggiunta agli incantesimi base), e una dotata di un attacco devastante, ma ovviamente lentissima. Non era presente alcuna schermata con statistiche e altro, per comprendere la profondità della gestione dei valori del personaggio e di quelli delle armi, ma il timore che sia stato ridotto all’osso anche questo aspetto è concreto. Per quanto poco originale, la prigione in cui abbiamo messo alla prova Black Iris trasudava una piacevole atmosfera (nella sua morbosità, s’intende), e anche le altre location emerse dalle prime immagini e dal primo trailer mostrati, anch’esse pesantemente ispirate sia ai Dark Souls che a Bloodborne (dalla città gotica pullulante di pire funerarie alle rovine contraddistinte da quella palette cromatica riconoscibile tra mille), pur consapevoli che all’atto pratico avranno il sapore agrodolce di un déjà-vu, siamo davvero curiosi di esplorarle in ogni loro anfratto, sperando però di trovare un level design più complesso (il machiavellico sistema di scorciatoie, nella demo, era molto “all’acqua di rose”) e ricco di segreti (abbiamo rotto ogni cassa e vaso presenti, per sentirci dire da un membro del team che “Dentro non c’è niente, ma perché le distruggete tutte?!”, e questo è inaccettabile, ndr). E anche l’unico boss mostrato, un bestione di nome Gunthur, si è fatto apprezzare per il suo design, e per le fiamme emanate dalla sua immensa ascia, mosse da un Unreal Engine 4 davvero sugli scudi che regala dettagli ambientali e un sistema di illuminazione davvero niente male, tenendo conto delle dimensioni dello studio e del progetto.
Tralasciando la questione “imitazione”, il problema principale di Black Iris, però, è che non riesce proprio a trasmetterle quelle stesse identiche sensazioni. Il vedersi massacrare da semplici e apparentemente inermi mob è ormai una abitudine piacevole e consolidata che nonostante tutto non stufa mai, ma il sofisticato bilanciamento alla base del gameplay offerto da From Software è lontano anni luce, tra comandi imprecisi, una legnosità di fondo che di certo non aiuta nelle schivate (al punto da beccarsi come minimo un secondo attacco quando si finisce a terra, in quanto non si ha nemmeno il tempo di rialzarsi), e quella fisicità e quella necessità di colpire col giusto tempismo che ogni singolo attacco, anche quello meno utile ai fini dello sviluppo della criptica trama, porta con sé. Inutile sottolineare poi quanto l’eccessiva somiglianza, per nulla nascosta, porti ad una inevitabile domanda: perché giocare la (brutta?) copia, quando si ha già l’originale a disposizione?
Hexa Game Studio punta in alto col suo primo progetto, andando a sfidare From Software sul suo stesso terreno, calcando però un po’ troppo la mano con l’adulazione. Le poche differenze emerse dalla (breve, c’è da dire) demo provata alla GDC 2018 semplificano in lieve parte ciò a cui ci hanno abituato Miyazaki e soci, magari strizzando l’occhiolino a chi trova troppo proibitive le meccaniche dei Dark Souls, ma in questo modo i brasiliani rischiano solamente di far apparire Black Iris troppo banale ai fan più hardcore, quelli veramente interessati a cercare un’alternativa, stufi dopo decine e decine di run completate a occhi chiusi. Se graficamente riesce a dire il suo, il gameplay è ancora troppo legnoso e acerbo per potersi fidare del team, che dovrà sudare le proverbiali 7 camice per sorprenderci in occasione della release definitiva.