News 16 Mar 2015

Bloodborne – Anteprima

Chi l’avrebbe mai detto: un gioco di nicchia risalente a cinque anni fa (sei per gli angolofoni per nulla intimoriti dalle spese doganali), difficile all’inverosimile, lento e pesante come un macigno che si trasforma inconsapevolmente nel primo, fondamentale tassello di una serie destinata a far scuola, a ridefinire un genere, anzi, un concetto. Chissà, magari, tra qualche anno, persino la Treccani lo userà come sinonimo di “ostacolo insormontabile, biglietto per l’Inferno, ticket per una visita gastroenterologica”. C’è poco da fare, su qualsiasi sito o rivista che tratta di videogiochi, se il livello di difficoltà supera il limite consentito, qualsiasi produzione verrà paragonata, suo malgrado, ad un Souls a caso, un parto malato di menti fuggite da chissà quale manicomio.

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Il percorso intrapreso da From Software, iniziato da quell’ormai leggendario Demon’s Souls, e proseguito tra (molti) alti e (pochi) bassi dai due Dark Souls, paradossalmente, è tanto tortuoso quanto sadico: un processo di smussamento ed inasprimento di meccaniche ed equilibri delicatissimi, come un vaso di porcellana perfettamente posizionato al centro del più sottile dei fili, sospeso su un baratro di sconforto e frustrazione. Un do ut des che di capitolo in capitolo (ufficiale o meno) travolge e modifica il gameplay in maniere raffinate e spesso impercettibili, ma che entrano sottopelle e difficilmente vanno via.

“Sottopelle” esprime bene il concetto che si prova al cospetto di Bloodborne, esclusivissima PS4. Ho accolto con timore reverenziale l’invito di Sony: riuscirò a sopravvivere? Dove sono le care vecchie macchie di sangue? Per favore, ho una vita e una laurea in (quasi) dirittura d’arrivo, lasciatemi vivere. E invece no, sono passati due giorni ed ancora sto pensando a quel piacevole misto di odio e amore che rende immortale qualsiasi opera. Mi sto ancora chiedendo cos’è che si nasconde sotto le fogne di Yharnam, o alle spalle dell’arcinota Cleric Beast, ammazzata da pochi (incluso il sottoscritto) e temuta da molti, già conosciuta tra gli appassionati che seguono il titolo sin dal primo annuncio, ma che già lo sappiamo un po’ tutti, è solo l’antipasto, il riscaldamento. Mi sto mordendo le mani per non aver scavato più a fondo nelle viscere di quella città maledetta, corrosa dalla sete di sangue dei suoi “cittadini” (o meglio, di quel che resta di loro), di non aver approfittato di quelle due ore di gioco per cristallizzare ed immagazzinare più sensazioni possibili, in attesa dell’uscita, per fortuna vicinissima. Ma i dubbi e le perplessità difficilmente verranno a galla alla fine di questo pezzo: ogni porta apre un dedalo domande, di possibili risvolti, di supposizioni destinate a svanire sotto i colpi di un lupo mannaro.

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From Software è incredibile: riesce a confondere il giocatore anche quando cerca di metterlo a suo agio e di accoglierlo con un incipit un minimo contestualizzato, nel quale la voce di un vecchio, incredibilmente in italiano (lo zampino di Sony in Bloodborne si vede anche in questo), pronto ad effettuare una trasfusione di sangue sul lercio lettino di un ambulatorio divorato dalla polvere e dall’oscurità, sembra quasi una dolce ninna nanna. Peccato che l’idillio duri poco: il tempo di farsi massacrare da una bestia immonda (da affrontare con le soli mani nude) e di finire in un’oasi sospesa nel cielo, circondata da colonne gigantesche inghiottite da un oceano di nubi, “Il sogno del cacciatore“. Un hub che più che Majula mi ricorda il caro Nexus di Demon’s Souls, ben lungi dall’essere parte integrante della Yharnam mostrata sino ad ora. Sembra un cimitero di quelli inglesi, pieni di fiori profumati e di tombe austere e silenziose, ben lontane dalla morbosità tutta cattolica, ma anche preziose per il viaggio del protagonista, per la loro natura di portali dimensionali. Ad accogliermi ci sono un automa rotto, un’entità con la quale barattare gli Echi del Sangue (sostituti delle anime), e le stesse creature alle quali From Software ha affidato il duro compito di consegnare ai giocatori messaggi provenienti da chissà quale aldilà (dagli aiuti del tutorial alle classiche trollate alle quali la serie ci ha abituati), stranamente generose e pronte a consegnarmi un primo set di armi (a scelta tra tre armi bianche, fioretto, mannaia ed ascia, e due armi da fuoco, un fucile ed un lento quanto inutile archibugio). Più che la classe, in Bloodborne infatti si sceglie direttamente l’equipaggiamento, e ancor prima l’origine (oltre che l’aspetto) del proprio personaggio, che andrà ad influenzare le statistiche (tra le quali noto un valore legato al sangue, che con molta probabilità andrà ad influenzare gli oggetti legati a tale elemento).

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Una volta assaporata la vendetta nei confronti del lupastro raggiungo l’ormai familiare Yharnam, già ammirata nell’Alpha di qualche mese fa, e già noto qualcosa: dov’è il buio omega di quella vecchia build? Cos’è questa cosa.. come si chiama? Luce, sì, luce. La conferma di quanto affermato dagli sviluppatori tempo fa è ormai sotto i miei occhi, ma tra le tante cose da analizzare in fase di recensione c’è questo passaggio non progressivo dal giorno alla notte: se non si può parlare di ciclo vero e proprio, cos’è che regola il tempo? E tra vampiri e licantropi che escono da ogni parete, che influenza avrà ciò su oggetti, nemici ed armi? La build testata è priva di numerose feature (incluso l’aumento di livello e l’upgrade delle armi), quindi ne sapremo di più nel giro di una o due settimane. Con la calma della mia scrivania posso concedermi il lusso di riflettere ed elucubrare sui massimi sistemi che regolano il flusso del tempo del mondo di Bloodborne, ma l’incontro col primo di tanti mob è disastroso e devastante come al solito. Sei Morto e si torna al Via.

Riguardo il combattimento, di nuovo non c’è moltissimo da dire: vi ricordate della tranquillità che il proteggersi con uno scudo assicurava (seppur in parte) nei Souls? Nelle prime fasi, lo scudo scordatevelo pure, ma è chiaro sin da ora che l’attacco sarà la miglior difesa, ed ogni elemento del gameplay ne è la conferma: nemici ancor più bastardi e sempre pronti ad attaccare in gruppo, oggetti come i ciottoli pensati per attirare i mob in disparte e provarli a massacrare con un po’ più di calma, l’immancabile schivata che vi salverà in più di un’occasione e l’arma da fuoco, da usare in combinazione con le armi ad una mano, che interromperà l’animazione del nemico poco prima del solito, devastante attacco, dandovi il tempo di anticiparlo e fargli esalare l’ultimo respiro.

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La nuova meccanica che permette di recuperare porzioni di vita attaccando e “succhiandola” via dal nemico che ce l’ha tolta (a patto di colpirlo in maniera immediata) l’ho particolarmente apprezzata proprio con il boss della build, ucciso al primo colpo (e apparentemente più debole della sua versione Alpha, in cui sembrava davvero insormontabile) con un’idea fissa in mente: per quanto le pozioni siano molto più veloci da utilizzare rispetto al passato, il giusto mix di schivate e attacchi di risposta dopo un colpo devastante di questa bestia immensa rimangono la strategia migliore. Colpire quasi senza pensarci, senza tregua, senza fiato, senza la tranquillità dello scudo. Il personaggio è più veloce e scattante, le armi possiedono una doppia anima e vari tipi di fendenti, inclusi i colpi caricati, e From Software sembra aver fatto di tutto per rendere le dinamiche offensive di Bloodborne meno frustranti, più efficaci e, alla luce della mia prova, divertenti. Sono poi curioso di vedere come la tecnologia dell’epoca, decisamente più moderna del medioevo fantasy visto in precedenza verrà sfruttata: le molotov e l’utilizzo combinato con urne di petrolio fa già faville di suo (in ogni senso), ma la creatività del team dimostrata in passato lascia ben sperare per chissà quale trovata (il mercurio, ad esempio, potenzierà la potenza dei proiettili contro le belve).

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Non temete: questo nuovo focus sull’attacco vi tornerà solo che utile contro l’orda di mob, siano essi umani, creature immonde, ratti, cani infernali e mid-boss di ogni sorta. Nella porzione di gioco testata poi, mi sono trovato al cospetto di un singolo nemico solo in due tipologie di occasione: un agguato perfettamente architettato, o un bestione insormontabile e davvero arduo da mandar giù, fortunatamente distratto da qualcos’altro o tranquillo, sulle sue, quasi a ribadire la sua opzionalità. Ronde, assalti di gruppo, e schemi di attacco infidi e cruenti, tra forconi, torce e scudi di legno incredibilmente resistenti, e mob nelle retrovie armati fino ai denti di fucili e mira da cecchino, per non farmi mancare davvero nulla; il tutto senza l’ipocrita tranquillità dello scudo. A mia difesa, un solo detto: “chi attacca per primo attacca due volte“, e un minimo di tattica nell’attirare singoli o coppie di nemici in vicoli ciechi nei quali sbarazzarmene indisturbato. È questa però la crudeltà di Bloodborne: far credere di avere il coltello dalla parte del manico, pensare di non aver più bisogno dello scudo, che l’attacco è la nuova difesa, ma poi ti bastona con la sua solita sadica indifferenza, e ti riporta all’ultima lanterna.

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Già, i falò sarebbero stati un po’ troppo “vintage”, soprattutto per la via della loro frequenza, criticata da molti soprattutto nel caso di Dark Souls II. Il punto di contatto più evidente con Demon’s Souls l’ho trovato proprio nel crudele (ed apparentemente ispiratissimo, ma lo confermeremo in sede di recensione insieme a tutto il resto) level design di Bloodborne, labirintico e come una lama a doppio taglio, in quanto lascia intravedere strade, uscite e scorciatoie, ed una volta assimilata la zona si lascia anche “rushare” senza troppi convenevoli, infonde insicurezza (come qualsiasi altro elemento del gioco) con una struttura di vicoli, spiazzi, cancelli e scalinate dedalica ed ammaliante, ma fonte inesauribile di soddisfazione e appagamento per ogni leva tirata, per ogni porta aperta, per ogni chilometro di strada risparmiata dopo l’ennesima morte. E la presenza di poche lanterne durante la mia prova (ne ho trovata una sola nell’intera partita) lascia intendere (sperare?) che questa struttura machiavellica più simile al Souls primigenio, una tesi corroborata dalla presenza di un altro “Nexus” contenente varie lapidi (aka portali), probabili ponti per altre dimensioni, sarà lo standard per il titolo completo, più profonda, più intensa e complessa da esplorare, ma più ricca di scorciatoie e segreti.

Delle vesti del Sanguesmunto intrise di sangue in maniera tanto realistica quanto truculenta, o dell’atmosfera nera e gotica di strutture e livelli, invece, ve ne abbiamo già parlato e ne parleremo in maniera più approfondita ed adeguata tra qualche giorno, sperando di smentire la sensazione che una leggera sporcizia generale sia presente un po’ ovunque e relegandola, a giochi finiti, nel “è pur sempre una build vecchiotta“. L’interazione con l’ambiente è più viva e convincente che mai (soprattutto per gli standard della serie), i 30 fps paiono rocciosi e stabili, e l’oceano di dettagli e la cura riposta dal team promette di essere stellare in ogni fotogramma, ma è ancora presto per dire se il sodalizio tra From Software e Sony porterà i suoi frutti anche (e soprattutto) dal punto di vista tecnico.

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Bloodborne mi ha illuso: mi ha fatto credere che la miglior difesa è l’attacco, e che rushando, una volta presa confidenza con il level design, qualche nemico particolarmente bastardo potrei anche riuscire ad evitarlo. Ma sono i momenti in cui ho raccolto un oggetto con gioia immensa, riscaldato dalla luce che segnala ad ogni povero viandante (o meglio, cacciatore, leit motiv di questo trimestre videoludico) che c’è qualcosa di interessante da arraffare, smorzata però dall’improvvisa comparsa alle spalle dell’ennesimo paesanotto a caccia di sangue, o quella perenne sensazione di disorientamento, la presa di coscienza di essere una pedina in una scacchiera rigata dalle lacrime e dal sangue di guerrieri che non demordono, e che sperano di trovare in Bloodborne pane per i loro denti, denti corrosi dal digrignare dopo l’ennesimo game over. È stato bello perdersi in questa ode nera alla notte, in questo incubo nel quale From Software mi ha intrappolato e dal quale mai mi sarei voluto svegliare, sprofondato in un abisso com’ero (e come sono tuttora) che ho forse guardato troppo a lungo. Una delizia annichilente durata troppo poco, che mi ha sedotto ed abbandonato in un angolo a sperare che il 25 marzo ci sia per davvero un nuova killer app in circolazione, mentre conto le ore.

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