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Speciale 02 Ago 2024

Bungie, quale futuro possibile? – Speciale

Aria di crisi?

In risposta alla grande campagna acquisti di Microsoft, nel 2022 Sony ha acquisito per 3,6 miliardi di dollari Bungie, team responsabile di dell’originale Marathon, di Halo: Combat Evolved e del più recente Destiny. Come si scoprirà qualche mese più tardi, è il colpo di coda della gestione di Jim Rayan, ex CEO di Sony Interactive Entertainment, all’epoca impegnato a dare solidità alla sua visione di business volta a instradare la sua compagnia nella rischiosa, ma potenzialmente remunerativa, corsa ai GaaS.

Come sappiamo, il colosso nipponico ha cambiato diverse carte sul tavolo da allora, dimissionando Jim Rayan e mettendo al suo posto il duo composto da Hermen Hulst e Hideaki Nishino, mossa innanzitutto politica che da stampa e appassionati è stata recepita anche come una presa di coscienza degli errori compiuti durante il lancio e in questi primi anni di vita di PlayStation 5.

Sebbene Concord non sia stato cancellato, ma anzi debutterà il prossimo 23 agosto e potete già preordinarlo da GameStop, segno che la compagnia, in qualche modo, continuerà la sua rotta di avvicinamento al genere dei GaaS, indubbiamente il cambio al vertice comporterà un’inversione di marcia.

Concord potrebbe rivelarsi un’insuccesso anche al di là delle sue eventuali qualità, semplicemente perché il territorio di GaaS è già occupato

Sì, perché quei 3,6 miliardi di dollari spesi, hanno il loro peso in ottica di investimenti e strategie future e non si può cancellare magicamente una mossa compiuta soprattutto per permettere alla compagnia di acquisire il know how necessario per competere in un campo in cui, finora, non si è mai addentrata più del dovuto, e mai collezionando un successo degno di nota.

Bungie, per dirla in altri termini, serviva a Jim Rayan per scommettere forte sui giochi live service, un territorio comunque scivoloso, dominato già da altre produzioni che hanno ormai conquistato ampissime fette di pubblico e che lasciano idealmente poco spazio per altri competitor.

In tutto questo, naturalmente, non bisogna del tutto dimenticarsi di Destiny 2, GaaS vivo e vegeto, che tuttavia è giunto ad un punto di svolta. Con la fine della lotta tra il Viaggiatore e il Testimone, la narrativa, e di conseguenza anche il gameplay, del gioco è idealmente ad un punto morto, tant’è vero che da qui ai prossimi mesi la creatura di Bungie si alimenterà di veri e propri flashback, utili a convogliare il pubblico di appassionati svelando altri risvolti dell’intricata lore del brand.

Pete Parsons, CEO di Bungie, ha sostanzialmente accettato la sua débâcle, la sua sconfitta come leader e manager.

Anche per il gioco di punta di Sony nella scacchiera dei GaaS, insomma, non è un gran momento, per quanto La Forma Ultima si sia rivelata un’espansione strepitosa e convincente, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione.

La multinazionale giapponese, in soldoni, ha speso un’ingente quantità di denaro per ritrovarsi un know how su cui forse non investirà tanto quanto calcolato precedentemente e con una IP che necessiterebbe della miglior Bungie per rilanciarsi come si deve.

Già, Bungie. Una software house in crisi di risultati e governata da un CEO che sembra incapace di tirare fuori dai guai la sua compagnia.

Dopo i cento posti di lavoro tagliati lo scorso anno, un paio di giorni addietro la software house ha licenziato altre 220 persone, mentre altri 155 membri del team saranno integrati in tutto e per tutto nell’organico di SIE. Non solo: altri professionisti, il cui numero non è ancora stato precisato, sono stati a loro volta trasferiti in un nuovo team interno ai PlayStation Studios per creare un futuro tripla A ancora da annunciare.

La Forma Ultima è la dimostrazione che Bungie è ancora in grado di creare prodotti di qualità e validi per la propria schiera di fan

Le prime conclusioni che si possono trarre da questi dati è che Bungie non sta solo assottigliando la sua forza lavoro, se i conti tornano siamo passati da 1300 persone nel 2020, alle attuali 800 circa; stiamo parlando un team che sta progressivamente ed inesorabilmente perdendo la sua indipendenza da Sony, cosa tra l’altro già praticamente ufficializzata dai manager del colosso nipponico in seguito all’annuncio dei licenziamenti di un paio di giorni fa.

Bungie, originariamente, doveva essere sì parte integrante di Sony, ma avrebbe potuto prendere in autonomia scelte e decisioni inerenti ai propri brand. Purtroppo, stando a quanto comunicato per lo meno, non sarà più così, anche se non è ancora chiaro il tipo di controllo che da qui in avanti sarà imposto al team americano.

Se da una parte si può ben comprendere la giusta preoccupazione dei fan per un eventuale influenza esterna sul futuro di Destiny e sui progetti che verranno, è anche vero che qualcuno che tolga le castagne dal fuoco sembra quanto mai necessario.

Pete Parsons, CEO di Bungie, non certo l’unico, ma sicuramente il principale artefice dei problemi della sua compagnia

Pete Parsons, CEO di Bungie, ha sostanzialmente accettato la sua débâcle, la sua sconfitta come leader e manager. In queste ore, con varie dichiarazioni e post sui social, ha ammesso la totale messa in discussione dei piani della sua compagnia.

Pete ha innanzitutto confermato la difficoltà di gestione di Bungie già da diversi anni, nonché i conti in rosso, problematica che sicuramente Sony si sta impegnando a limitare rimpinguando la cassa della software house con fondi propri. Inoltre, il CEO ha affermato che è totalmente naufragata l’idea di gestire tre franchise che avrebbero permesso alla compagnia di guadagnare grandi profitti. Se Destiny 2 andrà avanti, ancora sprovvisto di un sequel che, stando alle ultime novità, non sarebbe nemmeno in sviluppo; se Marathon proseguirà la sua gestazione; è notizia proprio di oggi che una grande produzione sia già stata cancellata, seppure questa decisione sia stata maturata già diversi mesi addietro.

Tirando le somme, abbiamo una compagnia che ha perso talenti, che vede ogni giorno ridurre la propria libertà creativa e gestionale, guidata da un CEO che già da tempo ha perso il bandolo della matassa, il cui unico gioco attualmente in grado di generare profitti è di fronte ad un bivio.

Vista la situazione della compagnia, l’andamento di Marathon in termini di vendite e profitti sarà tanto più critico

Quale futuro può esserci per Bungie?

Innanzitutto, sarebbe auspicabile un cambio di leadership. Da questo punto di vista, l’avvicinamento all’ala protettrice di Sony, se non garantisce un’automatica risoluzione di tutti i problemi, quantomeno è un cambiamento che porterà, per forza di cose, ad un risultato diverso.

Inoltre, andrebbero rivisti gli orizzonti stessi della software house, fin troppo dipendente da un sistema di business, quello dei GaaS, che sembra lentamente ma inesorabilmente sgonfiarsi e accentrarsi sempre più attorno a pochissimi giochi. Anche in termini creativi, perché artisti e professionisti vanno anche stimolati, non sarebbe un’idea così malvagia far respirare aria nuova ai dipendenti, impegnandoli in un progetto diverso sia per natura, che per ambizioni. Anche in questo senso, il ricollocamento effettuato da Sony di parte della forza lavoro, è un indizio piuttosto importante da tenere a mente.

Infine, discorso estendibile a qualsiasi software house, ma anche azienda del mondo, forse sarebbe il caso di considerare l’importanza di crescere talenti in-house, che possano progressivamente sostituire chi, per interessi diversi o per il raggiungimento dell’età pensionabile, abbandona lo studio. In questo senso vale la pena citare Nintendo, che non si è limitata ad osservare passivamente l’invecchiamento di Shigeru Miyamoto, per dire uno, ma si è anche preoccupata di fargli crescere intorno talenti che ieri, oggi e domani hanno preso, prendono e prenderanno il suo posto. L’industria videoludica si è sempre contraddistinta per il suo estremo dinamismo, e questo ha sicuramente fatto bene al settore per infondere costantemente forze e idee fresche, ma questo modello oggi più che mai inizia a mostrare i suoi limiti, soprattutto in termini creativi.

Eiki Aonuma, ovvero il miglior esempio possibile di talento nato, cresciuto e maturato all’interno della stessa azienda

Grazie aziende del passato come Rare e Bioware, del resto, vivono più dei successi del passato, che dei capolavori che a cadenza regolare lanciano con successo sul mercato. Queste aziende, esattamente come Bungie, sono solo dei nomi, al massimo degli asset e dei PC che si possono comprare, ma senza gli uomini e le donne che le compongono, non valgono niente.

La crisi dell’industria di questi due anni, quanto meno, dovrebbe insegnarci che non basta licenziare, assumere nuovamente, investire capitali, cambiare rotta in corsa, ritornare sui propri passi per rimettere in sesto la propria azienda. Nintendo, ma anche Capcom per fare un altro esempio, sono lì a dimostrarlo con i loro team fidati, con i loro uomini di fiducia, con i loro titoli che, a livello generale, spiccano per qualità e dati vendita.

Naturalmente non siamo così ingenui. Anche la Grande N ha i suoi scheletri nell’armadio, lo sappiamo bene e il discorso non va ovviamente preso alla lettera, ma prima di piangere la chiusura dell’ennesimo team storico, e ci riferiamo a Bungie, sarebbe ora di dare il giusto valore alle risorse umane che, da sempre, sono il principale discriminante tra un progetto di successo e uno che manca totalmente il bersaglio.

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