Più che un cambio di direzione, quello intrapreso da Activision con il suo Call Of Duty: WWII è un vero e proprio ritorno alle origini. Era nell’aria già da un po’, soprattutto dopo l’ottimo successo ottenuto dal principale rivale Battlefield 1, che con l’epopea della Grande Guerra, ha fatto riscoprire agli appassionati un periodo storico perfetto per uno shooter e mai sfruttato degnamente. Le critiche mosse al capitolo dello scorso anno, ad Infinity Ward tutta e alle ambientazioni futuristiche in generale, sono state la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso: Call Of Duty, sotto le sapienti mani di Sledgehammer Games, torna quindi in quei sanguinosi lidi che ne hanno decretato il successo originale. E lo fa benissimo, senza stravolgere una formula di gioco oramai più che rodata, ma andando a limare molti degli aspetti che negli anni avevano perso lo smalto iniziale. D’altronde gli sviluppatori di WWII avevano in passato già dato dimostrazione di destreggiarsi piuttosto bene al timone del brand, pubblicando tre anni fa Advanced Warfare, ottima ripartenza (seppur con qualche sbavatura) per l’attuale generazione di console, dopo il triste e dimenticabile esordio di Ghosts.
Se proprio si deve ancora parlare di seconda guerra mondiale, che almeno lo si faccia bene. Dev’essere stato questo il mantra della software house californiana che apre le danze della campagna in singolo con il D-Day, giorno dello sbarco in Normandia delle truppe americane nel ‘44 e fulcro importantissimo dell’inizio della disfatta nazista. Le vicende vengono narrate attraverso gli occhi di un giovane ed inesperto soldato texano, una delle tante leve volontarie arruolatesi per “salvare il mondo”.
Red Daniels, questo il nome del protagonista, inizia la sua esperienza militare sulle coste francesi, sicuro di una facile vittoria contro quell’esercito tedesco che ha già conquistato mezza Europa, mentre invece si ritrova in pochi attimi travolto dalle acque dell’oceano rosse del sangue dei corpi smembrati dei suoi commilitoni. WWII inizia senza troppi preamboli, lasciando che siano le immagini (spettacolari) ed il contesto (azzeccatissimo) a parlare: le mitragliatrici tedesche arginano l’avanzata alleata con spietata precisione e l’unico modo per oltrepassarle è bucare le trincee e ripulire i bunker dai numerosi nemici. Compito che ovviamente viene affidato alla nostra divisione e Daniels è in prima linea. Con un rimando che ricorda moltissimo Salvate Il Soldato Ryan, l’inizio dell’avventura single-player del nuovo Call Of Duty è uno dei momenti migliori dell’intera storia del franchise, complici un’ottima regia e un comparto tecnico finalmente all’altezza delle console su cui gira.
Spettacolarità che tende poi ad attenuarsi nel corso della campagna, ma mai a scomparire del tutto, con un serie di operazioni militari che vi terranno impegnati per non più di 7 ore (contatene pure 10 se preferite completare il gioco al livello di difficoltà più elevato), scarrozzando Daniels e compagni in giro per la Francia, fino ad arrivare al cuore del terzo Reich. Gli obiettivi di missione sono sempre molto canonici e non si discostano troppo da quello che siamo abituati a fare in uno shooter che si rispetti: liberare postazioni, uccidere le truppe nemiche o annientare obiettivi sensibili è quello che, per la maggior parte del tempo, il Sergente Pierson ed i suoi superiori ci chiederanno, anche se non mancheranno piacevoli colpi di scena e imprevisti dell’ultimo secondo.
Call Of Duty: WWII lascia che siano le immagini ed il contesto storico a parlare
Una delle principali novità del titolo è la scomparsa del recupero automatico dell’energia a favore di un più classico utilizzo di medikit come cura per le ferite da battaglia; si tratta di uno dei molti espedienti che Sledgehammer Games ha utilizzato per “omaggiare il passato”, rendendo il gameplay al contempo molto più tattico. Se prima infatti bastava rimanere dietro una copertura ed aspettare qualche secondo affinché la nostra salute venisse completamente rigenerata, in WWII sarà necessario trovare ed usare un kit di pronto soccorso per ristabilire le proprie condizioni di salute. Stesso discorso per le munizioni, che influiranno molto di più sulle dinamiche di gioco, poiché il limitato numero di caricatori che Daniels potrà portare con sé vi costringerà a cambiare spesso e volentieri equipaggiamento, magari sgraffignandolo dai morti che tappezzano il vostro cammino.
Fortunatamente ci vengono incontro i nostri fedeli compagni, ognuno dei quali è dotato di un’abilità unica: Zussman ad esempio, è in grado di fornirci un medikit aggiuntivo, Pierson ci indicherà l’esatta locazione dei nemici nelle vicinanze e Turner potrà rimpinguare le nostre scorte di proiettili. Queste abilità avranno però un countdown piuttosto lento ed è quindi importante gestirle con estrema parsimonia, onde ritrovarsi in una situazione senza sbocchi se non quello di essere sopraffatti dai tedeschi.
In questo modo, pur non stravolgendo le dinamiche classiche dello shooter Activision, Sledgehammer Games riesce a dare una svecchiata al gameplay, inserendo una serie di piccoli accorgimenti che ben si allineano al contesto storico, risultando quindi un’introduzione più che riuscita. Svecchiata che vanta anche l’utilizzo di marginali espedienti registici per rendere l’avventura molto più simile ad un adrenalinico film hollywoodiano più che a un videogioco, come alcuni quick time event di impatto che richiedono precisione e rapidità, oppure la possibilità di completare le cosiddette azioni eroiche, salvando un compagno dalla colluttazione con un nemico, o ancora, trascinare un ferito al sicuro.
Si sarebbe potuto fare di più? Molto probabilmente sì, considerata la superficialità con cui ancora una volta è stato trattato il feeling delle armi da fuoco (assente come sempre il rinculo, tanto per dirne una) e l’altalenante IA alleata. Ma va ricordato che la campagna single player rappresenta solo una piccola parte di quello che è Call Of Duty e nonostante alcuni aspetti legati ad essa siano stati sensibilmente migliorati, al netto di un’avventura godibile e ritmata, il cuore del brand rimane sempre e comunque il multiplayer online.
Sledgehammer Games riesce a dare una svecchiata al gameplay con introduzioni riuscite
Da tempo si sa che l’online di WWII passa attraverso un HUB centrale, riscostruito come un campo di addestramento sulla spiaggia per le nuove reclute americane. Questa struttura, per quanto insolita per la saga, è una piccola grande rivoluzione che consente per la prima volta ai giocatori di condividere uno spazio comune (passando dalla prima alla terza persona) dove è possibile prendere parte a tutta una serie di attività collaterali , tra cui il tiro al bersaglio, partite 1VS1 con gli amici o il semplice addestramento con le armi appena sbloccate. In più ci sono gli ordini, suddivisi in giornalieri, settimanali e speciali: un elenco di sfide a scadenza da affrontare secondo precise regole, che se completate portano esperienza e oggetti extra, come biglietti da visita o skin per armi e avatar.
Tutto quello che si deve fare per accedervi è scegliere la Divisione che si preferisce (tra le 5 totali), ognuna dotata di perk unici che si rivelano man mano con il passaggio di livello e per questo selezionabile soprattutto in base al personale stile di gioco. La Fanteria è la divisione più equilibrata, un giusto compromesso tra offesa e difesa, con la possibilità di personalizzare il proprio equipaggiamento con un slot extra rispetto alla norma, mentre la Corazzata è perfetta per chi si butta a testa bassa nella mischia, grazie all’aumentata resistenza al fuoco e agli esplosivi nemici. A questa categoria si aggiunge l’abilità passiva dell’addestramento (una sola, rispetto alle canoniche tre che hanno caratterizzato i precedenti titoli) e la serie di punti, con opzioni speciali che si attivano una volta ucciso un determinato numero di nemici senza morire.
In questo modo gli sviluppatori hanno diversificato le possibilità, senza rischiare un pericoloso disequilibrio tra le varie fazioni. Il passaggio poi tra l’HUB centrale e il menù del giocatore (dove si può selezionare la lobby, il tipo di match e cambiare il proprio equipaggiamento) è immediato: basta la semplice pressione di un tasto per essere trasportati immediatamente dal campo base alla lobby e viceversa, in modo tale da rendere ancor più fruttuosi i già ridottissimi tempi morti che intercorrono tra un match e l’altro. D’altronde l’ispirazione di tale scelta non bisogna cercarla nemmeno tanto lontano: l’altro sparatutto pubblicato di Activision, Destiny, ha un’interfaccia multiplayer spaventosamente simile a quella di WWII ed è funzionale alla stessa maniera. E se ciò può servire a rendere più intuitivo e moderno il lavoro di Sledgehammer Games, che ben venga la condivisione di tali idee.
Tra le tante modalità multigiocatore di Call Of Duty, quella che più ci ha colpito è Guerra. Lo scopo di ogni match si alterna tra attacco e difesa di determinati obiettivi che le due squadre si contendono in maniera progressiva. Una volta terminata la prima parte del match, le parti si scambiano ed il gioco ricomincia. Per la prima volta assistiamo ad un cambiamento quasi radicale nel gioco di ogni utente collegato, che non mira solo ed esclusivamente alla gloria personale, ma pensa e agisce come membro di una squadra. È infatti impossibile conquistare o difendere gli obiettivi da soli, ma c’è la necessità concreta che ogni giocatore faccia la sua parte in armonia con tutti gli altri.
Purtroppo dall’altra parte della bilancia pesa l’esiguo numero di mappe presenti al lancio, solo 3, che per quanto siano ben strutturate e differenziate, sono un terreno fertile per la ripetitività, soprattutto per i giocatori più assidui. Problema che si riscontra anche nel multiplayer classico, dove il numero di ambientazioni è piuttosto ridotto, cosa che con tutta probabilità cambierà con l’uscita dei primi DLC a pagamento.
Tra le tante modalità multigiocatore di Call Of Duty, quella che più ci ha colpito è Guerra
La modalità Zombies chiude il trittico di esperienze offerte da Call Of Duty e lo fa nel modo che era lecito aspettarsi. Che siate o meno fan di questa iconica saga, un giro a spappolare crani di non-morti nazisti vale sempre il prezzo del biglietto. In questo particolare caso lo studio di sviluppo non stravolge i canoni del gameplay, presentando una modalità in linea con quanto uscito fino allo scorso anno, seppur orfana di quella deriva comica che finiva per sfociare nel ridicolo.
In Zombie Nazisti sarete chiamati ad affrontare pericolosi morti viventi dell’esercito di Hitler, risvegliatisi dalle tombe per non si sa quale maleficio scientifico. Ondata dopo ondata, avrete la possibilità di adempiere a specifici incarichi o investire i crediti guadagnati in nuove armi ed equipaggiamenti oppure aprendo nuove aree prima bloccate. Sono sempre 4 i profili selezionabili (divisi per ruolo ed abilità) ed l’asticella della difficoltà è tarata verso l’alto, da qui il consiglio di avvalervi comunque di compagni esperti e fidati, con i quali poter orchestrare strategie difensive vincenti.
Il setting della seconda guerra mondiale pare aver giovato alla serie anche dal punto di vista tecnico, con apprezzabili miglioramenti grafici e stilistici, in particolar modo se osservati su PlayStation 4 Pro o Xbox One X: 60 frame al secondo granitici, ottima resa dei colori e pieno supporto ai 4K e HDR sono solo alcuni degli aspetti di cui si vanta la produzione Activision.
La realizzazione visiva degli ambienti di gioco è certosina: si può solo definire spettacolare l’opening-scene del D-Day e lo sono altrettanto la fuga dal crollo del campanile o il passaggio tra le fitte nebbie dei denti di drago, solo per citare alcuni tra i momenti più suggestivi della campagna. Pur contenendo scene in buona parte scriptate, WWII è senza dubbio uno degli episodi più iconici della saga, grazie ad un contesto storico sempre molto attuale e molto sentito.
La disperazione, l’orrore e la cattiveria di una guerra che ha contato più di 60 milioni di morti trasudano da ogni pixel, e l’orgoglio di quell’America che a conti fatti ha salvato le sorti dell’umanità rimane inevitabilmente dentro una volta giunti ai titoli di coda. La caratterizzazione dei protagonisti non è eccelsa, troppo stereotipati e schiacciati dal peso di una trama che viene raccontata col sangue più che con i dialoghi; ma in fin dei conti tutto si amalgama in modo soddisfacente.
Poco incisivo il comparto sonoro, che mai come questa volta avrebbe potuto ricoprire un ruolo da protagonista, escludendo il doppiaggio italiano che invece anche in questa produzione è davvero di qualità.
Call Of Duty: WWII è il vero punto di ripartenza e (si spera) di rinascita della serie. Per troppo tempo Call Of Duty è rimasto ancorato ad un realtà non più rappresentativa dei tempi e dei videogiocatori di oggi e ne ha pagato un prezzo molto alto, perdendo terreno nei confronti dei tanti contendenti al genere e perdendo schiere di seguaci delusi dall’andazzo di un brand alla totale deriva artistica e tecnica. Ci pensa però Sledgehammer Games a risollevarne le sorti, ad urlare a tutti che Call Of Duty non è affatto finito; e lo fa proponendoci un titolo ambizioso che nonostante gli indubbi limiti che siamo sicuri impiegherà ancora tantissimo tempo a superare, riesce ad entusiasmare ed appassionare come da tempo non succedeva per la saga. Oltre le dosate novità introdotte in una convincente campagna single player, è ancora una volta la competizione online che trascina le sorti del titolo, grazie soprattutto all’ideazione del Quartier Generale, luogo d’assembramento per tutte le attività legate al multigiocatore e alla modalità Guerra, che se ben foraggiata, può rappresentare il simbolo della rinascita di Call Of Duty. |