City of Brass – Anteprima GDC 2018

La parola in codice degli ultimi tempi nell’industry videoludica è “roguelike” (o meglio, la variante “roguelite”, meno punitiva): in ambito indie rappresenta, adottando il genere e l’approccio in maniera intelligente, un ottimo compromesso che permette di offrire giochi complessi e appaganti, ma soprattutto estremamente vari e sempre diversi, con uno sforzo in termini produttivi decisamente inferiori rispetto al classico titolo in cui ogni pixel è posizionato a mano, e non in maniera automatica da un algoritmo. Dopo le prime sperimentazioni completamente random e non troppo riuscite, si sta trovando via via un equilibrio, con livelli, o elementi degli stessi, pre-confezionati e ridisposti oppure generati proceduralmente, così da offrire comunque dei punti di riferimento utili nella progressione, stemperando parte dell’inevitabile confusione che una simile trovata comporta, e al contempo non spezzando troppo l’atmosfera e non rinunciando alla personalità. Caso lampante è City of Brass, disponibile in Early Access su Steam dallo scorso autunno, e in arrivo anche su Xbox One attraverso il programma Xbox Game Preview. Nel suo caso, con molta probabilità, il merito è in gran parte della tanta esperienza accumulata dai componenti di Uppercut Games, studio formato da sviluppatori che hanno messo mano a capolavori del calibro di Bioshock e XCOM, e che stanno lavorando duramente per ottenere il giusto equilibrio tra varietà e divertimento.

La City of Brass è letteralmente da mille e una notte: l’atmosfera è intrisa di sapori mediorientali, di palme, di sabbia, di palazzi lussureggianti, ma anche di prigioni, di luoghi angusti, di trappole e di creature provenienti dal regno dei morti, cumuli di polvere, ossa e vestiti animati solo da rabbia e odio, pronti ad essere rispediti al mittente una volta per tutte. Sperando non siano loro a farlo, in maniera altrettanto definitiva, con noi: la morte equivale infatti a perdere gli oggetti faticosamente acquistati dai geni della lampada, che come tradizione insegna ci daranno 3 desideri per partita da sfruttare saggiamente (due, ad esempio, verranno consumati per entrare in un portale e tornare in uno dei 12 livelli in cui è divisa la campagna senza necessariamente passare dal via), e il denaro necessario ad acquistarli, utilizzato per altro come punteggio sulle leaderboard online, con cui fare a gara con amici e sconosciuti. Si perde anche un’altra cosa molto importante: il mondo circostante. Ad ogni nuova partita, praticamente tutto viene mescolato e stravolto: disposizione delle trappole, degli oggetti, degli elementi ambientali con cui è possibile interagire per eseguire attacchi più efficaci e devastanti (come barili esplosivi e pozze di veleno che permettono di eliminare con un solo colpo anche i nemici più coriacei). Nulla o quasi sarà come prima: non si può prevedere cosa nasconderà la prossima porta, la prossima alcova stracolma di segreti o insidie, il prossimo cortile, né la quantità di nemici che compariranno: potrebbero esserne due o tre, oppure un intero esercito, ed è però in questa seconda circostanza che emerge un problema non proprio da sottovalutare di City of Brass.

La lentezza e la macchinosità del sistema di combattimento all’arma bianca, colpa di comandi poco ricettivi e precisi, mina infatti una parte fondamentale dell’esperienza, con colpi che vanno a vuoto e frustrazione a go-go per via della permadeath. Fortunatamente, oltre all’interazione con gli elementi ambientali, utili per tenere a bada gruppi di nemici, c’è anche la frustra, elemento distintivo e concettualmente simile alla Gravity Gun di Half-Life 2: la si può usare per raccogliere oggetti dalla distanza (tanto i tesori quanto, ad esempio, i vasi esplosivi), ma anche per rallentare i nemici, accecandoli o azzoppandoli per qualche secondo, così da poterli eliminare in tutta calma, sempre dietro di loro non ci siano decine di “colleghi” affamati e indiavolati. Con la frusta è inoltre possibile attivare le trappole, così da poterle superare: il problema però è che dovreste costantemente guardare il terreno, distraendovi pericolosamente nel mentre, in quanto, come detto, cambieranno posizione di morte in morte, rendendo così inutile qualsiasi tentativo di memorizzarne la disposizione. Durante la nostra prova ci è infatti capitato due volte di fila di trovarne una subito dopo essere usciti dalla primissima stanza: al terzo tentativo, ci siamo armati di frusta in prossimità della porta, convinti di trovarla nuovamente lì, salvo poi trovarcela invece immediatamente prima, e finirci ovviamente sopra. Interessante, ma forse poco elettrizzante, è infine il sistema di benedizioni e maledizioni, dei bonus e malus che semplificheranno o renderanno più difficile le run, senza però donare alcun beneficio: va bene offrire ai giocatori la possibilità di avere vita più facile, o al contrario, di sudarsi la sopravvivenza, ma sarebbe stato concretamente utile ricevere qualche premio per tutta la fatica. Decisamente più stimolante è l’integrazione di Mixer, che offre agli spettatori la possibilità di aiutare chi gioca, evocando degli aiutanti per qualche secondo, o boost ad attacco ed energia, oppure, al contrario, di mettergli il bastone tra le ruote in ogni modo possibile.

City of Brass gode di un’atmosfera superba, merito anche di una grafica di ottima qualità, e l’idea di rivivere una, cento, mille vite sempre diverse è certamente esaltante, ma il sistema di combattimento, allo stato attuale delle cose, è troppo lento e legnoso da poter risultare divertente o soddisfacente. La frusta è implementata intelligentemente, ed è un piacere accecare o azzoppare i nemici, ma menare fendenti è, per il momento, una vera pena.

City of Brass GDC 2018 GameSoul