Alla fine del diciannovesimo secolo un uomo di scienza ha deciso di creare un luogo, nascosto in mezzo al mare, dove le più grandi menti dell’epoca potessero riunirsi per far progredire l’umanità, senza vincoli dettati dalla politica o dall’etica. L’enorme struttura è grossa quanto una città ed è inaccessibile se non per coloro che sanno dove prendere uno dei mezzi automatizzati in grado di localizzare e attraccare sul gargantuesco colosso di metallo. Ed è proprio quello che il protagonista di questa storia farà, arrivando in questa fortezza della scienza per scoprire, con suo orrore, che qualcosa è andato terribilmente storto e che quella che prima era un’utopia ora è un vero e proprio inferno. Vi suona familiare?
In effetti è impossibile non notare le somiglianze fra Bioshock e Close to the Sun. L’incipit della storia è così simile che mi sono ritrovato a dubitare, inizialmente, della buona fede dei ragazzi di Storm in a Teacup. Fortunatamente Close to the Sun ci ha messo davvero poco a farmi cambiare idea, rivelandosi uno dei “prodotti nostrani” in grado di differenziarsi (nel bene e nel male) dalle produzioni d’oltreoceano.
Come vi dicevo, alla Rapture di Andrew Ryan corrisponde stavolta l’immensa Helios di Nikola Tesla, una super nave da crociera grande quanto una città, un posto all’apparenza idilliaco che ha la sola e unica funzione di accrescere i semi della conoscenza nell’uomo.
Purtroppo però le cose non vanno come dovrebbero ed esattamente come nel mito greco di Icaro, anche l’esperiemento di Tesla è arrivato troppo vicino al Sole, finendo per bruciarsi le ali prima della fatale caduta. In similar modo qualcosa a bordo della Helios non ha funzionato come avrebbe dovuto, lasciando la nave in preda a una sinistra quarantena. La maggior parte dell’equipaggio è scomparso o è rimasto ucciso in circostanze orribili e inspiegabili. Ed è qui che entra in scena la nostra protagonista, la determinata giornalista Rose Archer, che prende una delle imbarcazioni automatizzate della Wardenclyffe (la compagnia di Tesla) per recarsi sulla Helios invitata da sua sorella, la scienziata Ada Archer.
Uno dei “prodotti nostrani” in grado di differenziarsi, nel bene e nel male, dalle produzioni d’oltreoceano
La visita di Rose si trasforma velocemente in un incubo quando la nostra giornalista scopre che un esperimento legato alla manipolazione del flusso temporale è andato (molto) male, portando Rose in una discesa inevitabile verso un orrore che però non è riuscito del tutto a convincermi. Gameplay alla mano, l’esperienza di Close to the Sun è piuttosto lineare: si prosegue nelle viscere della Helios, con ben poche emozioni o plot twist che si possano davvero considerare tali. Close to the Sun cerca di giocare sulla tensione e sulle ambientazioni lugubri, ma il risultato è spesso ben poco spaventoso (a parte qualche sparuto jumpscare).
Non si può non riconoscere la bontà della ambientazioni, ben realizzate e di sicuro impatto, ma queste da sole non bastano per creare un’esperienza memorabile. La storia di Rose è un percorso a binari che dura meno di cinque ore e che non vi darà nessun motivo per essere rigiocata. Ogni capitolo non offre nessuna quest collaterale che non sia andare in giro a raccogliere giornali d’epoca o collezionabili vari, una delle arrività notoriamente più noiose per i giocatori. Persino i puzzle, che dovrebbero garantire una buona varietà durante lo scorrimento della storia, iniziano da subito a risultare abbastanza semplici e ripetitivi (trova la combinazione di una cassaforte, risolvi un banale indovinello).
Il comparto sonoro invece è di ottima qualità, con una OST composta da Porcelain Pill e Adam Scott-McGuinness, che riesce ad accompagnare perfettamente le ambientazioni distorte della gargantuesca nave Helios con musiche evocative e d’atmosfera.
Purtroppo per Storm in a Teacup, Close to the Sun non riesce mai ad arrivare veramente vicino al Sole, risultando in un’esperienza troppo lineare e facilmente dimenticabile. Nonostante la bontà delle ambientazioni e del comparto sonoro, la storia di Rose non sembra davvero mai decollare, perdendosi in cliché e situazoni abbastanza prevedibili. Detto questo, Close to the Sun rimane un esperimento volto a dimostrare che anche in Italia si può mirare a creare giochi interessanti, e nonostante questa produzione nostrana non abbia particolarmente brillato, qualche spunto notevole c’è, e merita di essere coltivato. Chissà che il capolavoro non sia alle porte. |
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