Speciale 08 Nov 2024

Dal GameBoy Pocket a PlayStation 5 Pro: quanto hanno funzionato le console mid-gen? – Speciale

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Vogliamo davvero la mid-gen?

Benvenuta PlayStation 5 Pro! Ben arrivata in questa bizzarra generazione di console in cui abbiamo sognato immaginando che le risoluzioni a 4K diventassero uno standard, il Ray Tracing ci potesse illuminare gli occhi ad ogni scena e la velocità degli SSD (forse l’unico, vero e tangibile, passo avanti compiuto in termini hardware) ci avrebbe fatto dimenticare il tedio dei caricamenti, offrendoci esperienze senza soluzione di continuità.



È evidente ai più come tante delle promesse del marketing (ambo le parti) non siano state mantenute da quanto presentato nel 2020 e quindi, oggi, la nuova mid-gen di casa Sony si trovi a caricare sulle spalle il peso delle aspettative di chi vuole godersi 4K e 60fps, con tanto di Ray Tracing, senza compromessi. Riuscirà PlayStation 5 Pro nell’impresa? Verrà premiato questo tentativo di far ripartire la generazione in corso?

Come nella scorsa generazione, prima è uscita la slim e poi la Pro, ma questa volta a un anno di distanza anziché 2 mesi.

Possiamo ragionarci su sfruttando ciò che ci ha insegnato l’esperienza degli anni passati, perché questa non è certo la prima volta che una console passa dal meccanico per una bella revisione proprio nel bel mezzo del suo ciclo vitale. Non mancano esempi nel lontano passato ,ma diciamo che si tratta di un’abitudine che abbiamo iniziato a sviluppare di recente, per via di un progresso tecnologico sfrenato che tende a rendere obsolete le architetture dopo una manciata di anni.



Il riferimento più diretto è ovviamente quello a PlayStation 4 Pro, che a 3 anni di distanza dal lancio del modello originale promise ai giocatori le meraviglie del 4K grazie allo strepitoso aumento di potenza, passando da 1,84 a 4,20 TFLOPS. Grazie agli aggiornamenti dedicati ai singoli giochi, finalmente si potevano scoprire le meraviglie di Horizon: Zero Dawn al massimo della qualità, grazie al checkerboarding, o scattare al massimo della fluidità in Monster Hunter World, fino a quel momento ancorato ai 30fps offerti dal modello base.

Grande entusiasmo era stato generato anche dal “boost automatico” ai giochi PlayStation 4 standard, che avrebbero potuto sfruttare le risorse extra a disposizione per superare i limiti imposti dallo sviluppo dei primi anni di transizione dall’era PlayStation 3 / Xbox 360. Che poi questo non abbia portato Bloodborne a girare a 30fps solidi, ok, ce ne siamo fatti una ragione, ma sono tanti i titoli che hanno goduto di nuova vita.

Anche dal lato della concorrenza, però, non ci si è certo adagiati: di fronte all’evidente difficoltà di Xbox One nel confronto diretto con PlayStation 4, Microsoft ha provato a scavalcare di netto i rivali e proporre con “Project Scorpio” un hardware dalla potenza esagerata che è sembrato più un assaggio di next-gen che una mid-gen. La console che poi divenne Xbox One X sfoderava con prepotenza e arroganza ben 6 TFLOPS (contro gli 1.31 dell’originale) e ha finalmente mostrato un gaming 4K nativo, con tanto di upgrade diretto e automatico ai vecchi titoli, anche dell’era Xbox o Xbox 360.

Tale è stata la potenza di Xbox One X che per diverso tempo Microsoft è stata costretta a gestire i confronti con la piccola ma potentissima Xbox Series S di nuova generazione, meno performante lato GPU ma sicuramente più efficiente a livello di architettura, CPU e logica interna. Ma considerano quanto le software house fossero ancorate ai vecchi tool di sviluppo (che funzionavano da dio su One X), c’è voluto davvero più tempo del previsto per far capire che lo stacco tecnologico era consistente.

Negli ultimi tempi quindi ci siamo abituati a queste tappe intermedie mirate a rinfrescare gli hardware in vendita, ma è davvero sempre stato così?



Se proviamo ad esplorare il passato, in realtà non sono tanti i casi in cui abbiamo visto i grandi nomi del settore mettere mano ai propri hardware per riproporli sul mercato in versione migliorata. Un po’ perché la tecnologia non era ancora “standard”, un po’ per il costo delle linee di produzione e anche, soprattutto, perché non sarebbe stato facile convincere il consumatore a reinvestire altri soldi: al tempo infatti regnava la cultura dell’acquisto “a lungo termine” e tradire la fiducia degli acquirenti non era la mossa migliore.

Qualcosa però, in ottica di miglioramento del prodotto e snellimento delle linee di produzione l’abbiamo vista eccome, anche negli anni 80 o 90. La prima console “commerciale” che torna alla mente, anche grazie al bombardamento mediatico offerto da Giochi Preziosi, era il SEGA Master System II, revisione hardware (e non successore diretto come sarebbe oggi) del SEGA Master System.

SEGA Master System II era console dell’era 8 bit ricordata da tantissimi anche per i software integrati come Alex Kidd in Miracle World, oltre ai “demake” dei titoli nati sul più potente SEGA Mega Drive. Quello che però la gente non ricorda è che questa nuova versione era in realtà peggiore della precedente, principalmente per l’uso di materiali più economici e in seconda battuta per la rimozione dell’uscita S-Video e dello slot per le SEGA Card (e se non avete idea di cosa stiamo parlando, è anche per questo motivo).

In casa Nintendo invece fin da subito il concetto di “mid-gen” è stato interpretato solo ed esclusivamente in modo migliorativo, anche se a volte letargico: l’incredibile successo del Game Boy (1989) ha permesso alla casa di Kyoto di stampare paperdollari a nastro con un hardware molto contenuti quanto a costi di produzione, e alla fine la stessa Nintendo dopo tanti anni ha capito che c’era margine per uno o più nuovi modelli – anche per rispondere alle mosse dei wannabee competitor.

Dopo il primo “restyle” avvenuto nel 1996 con il Game Boy Pocket, con cui la portatile fece un netto avanzamento a livello di design, qualità dei materiali e portabilità, è stato tempo di fare un salto più netto con il Game Boy Color, che nel 1998, finalmente, liberò i giocatori dai limiti della quadricromia grigiastra della console originale. Erano anche passati 9 anni dal lancio di Game Boy e tra SEGA Game Gear e Atari Lynx, iniziavano a vedersi i segni del tempo. Anche sei i rivali, veri e propri “ciucciabatterie” di professione, si tiravano da soli la zappa sui piedi in quanto a portabilità.

In casa SEGA invece erano le console casalinghe a diventare cavie per le sperimentazioni più scellerate: il Mega Drive, meglio conosciuto come Genesis negli states, è stata probabilmente la console di maggiore appeal nella prima fase della generazione grazie ad alcune scelte di marketing aggressive (pubblicità spudoratamente contro i rivali e la volontà di non applicare censure ai giochi, in particolare nel caso di Mortal Kombat) e una libreria giochi sostenuta con gran forza da EA e Treasure, oltre che la stessa SEGA.

Col tempo però l’insorgere dei rivali di casa Nintendo con lo SNES e, successivamente, l’avvicinarsi della grafica 3D e dei nuovi supporti ottici generò un panico tale da portare prima alla release di un Sega Mega Drive 2 (deja vu), ancora incentrato sul risparmio nella spesa dei componenti (e dotato di un chip audio imbarazzante) e poi alla creazione di ben 2 add-on che ne avrebbero dovuto estendere la vita, il Mega CD per supportare i dischi ottici e il 32X per gestire delle rudimentali funzioni 3D.

SEGA riuscì perfino a immaginare l’incomprensibile, pubblicando nel 1994, con PlayStation dietro l’angolo, il SEGA CDX, ovvero un Mega Drive con Mega CD integrato, ma che richiedeva comunque di comprare a parte il 32X portando la spesa complessiva alle stelle. Per rimediare all’errore, successivamente creò Neptune, un Mega Drive con 32X incorporato a cui poteva essere collegato il Mega CD (meno costoso e rilevante del 32X)… che però non venne mai pubblicato. Si continuò a perseguire poi l’idea di una macchina completa di tutte le periferiche, ma ciò impattò sullo sviluppo del Saturn, che nonostante l’ottima libreria si rivelò un ibrido 2D / 3D ancorato al passato.

In casa Sony il concetto di mid-gen è emerso solo di recente, ma il colosso nipponico dell’elettronica ha sempre avuto un occhio di riguardo per le revisioni che andavano a ottimizzare scocca e circuiteria. PlayStation 1 e PS One hanno aperto la via, con PlayStation 2 che si è trasformata da monolite a sottiletta con PlayStation 2 Slim, una console esteticamente perfetta.

L’era in cui le revisioni l’hanno fatta da padrone, pur senza mid-gen, è stata quella PS360, in cui le due ammiraglie di casa Sony e Microsoft hanno avuto ben 2 redesign (che potremmo chiamare “slim” e “superslim” per comodità), anche se nel caso di Xbox si arrivò a una versione definitiva in tutto mentre con l’ultima PlayStation 3 si incappò in scelte un po’ sfortunate come la scocca a scorrimento da aprire per accedere al lettore. In quegli anni persino Nintendo rielaborò il suo Wii, facendone una versione che funzionava solo ed esclusivamente con i giochi su disco. Bizzarro non poco!

Ma Nintendo è sempre stata regina in revisioni e mid-gen, basti pensare all’epopea che ha vissuto il Game Boy Advance con i suoi restyle, mutato in Game Boy Advance SP (che introduceva la “latoilluminazione”, diventata effettivamente retroilluminazione solo in alcuni modelli più recenti) e poi nel folle ma sciccosissimo Game Boy Micro.

Nell’era del doppio schermo di DS e 3DS invece abbiamo davvero visto di tutto: Nintendo DS “mattonella grigia” che snellisce e diventa Nintendo DS Lite, mantenendo le prestazioni, a cui poi fanno seguito Nintendo DSi e Nintendo DSi XL, dotati di fotocamera, maggiore velocità computazionale e più memoria di sistema per permettere l’utilizzo di nuovi giochi avanzati, con supporto all’AR, e di far funzionare in modo più snello browser e lo shop (che esordiva su portatile) che offriva i primi giochi in download, non utilizzabili su Nintendo DS – compreso un The Legend of Zelda: Four Swords Anniversary Edition che in pochi sono riusciti a trasferire alla generazione successiva.

L’apoteosi vera arriva con Nintendo 3DS, la console più trasformista che la storia ricordi: pubblicato in una forma più che accettabile nel 2011, è digievoluto prima in una pachidermica (ma fascinosa) versione XL, andando successivamente a perdere la stereoscopia (gimmick principale dell’hw) per diventare Nintendo 2DS e far contenti i genitori timorosi che il 3D potesse intrecciare gli occhi dei figli e i nostalgici del Game Boy originale.

Mid-gen, dicevamo? New Nintendo 3DS, New Nintendo 3DS XL e New Nintendo 2DS XL, scelgo voi! Processore più veloce, molta più ram, materiali migliori e boost a tanti giochi che sul modello tradizionale faticavano a girare: questa vera console di transizione ebbe perfino l’arroganza (in senso buono) di proporre una versione di Xenoblade Chronicles nativa e non funzionante su 3DS standard, oltre a far girare al meglio i titoli più importanti come Monster Hunter 4 Ultimate o Majora’s Mask 3D. Non furono certo i giochi “esclusivi” a far vendere la console, ma li ricordiamo comunque con grande curiosità.

Alla fine, il discorso torna all’inizio: l’idea di console di transizione, di “passo intermedio” tra una generazione e l’altra è un concetto relativamente recente per gli hardware domestici e non necessariamente scontato. Forse è per questo che al momento Microsoft sta rispondendo picche a PlayStation 5 Pro e non accenna a parlare di un nuovo modello che possa giocarsela a livello tecnico.

Se questa sarà la mossa giusta lo scopriremo presto, soprattutto quando potremo smetterla di contare i pixel nei confronti side by side e dedicarci invece alla scoperta di quello che sarà possibile estrapolare da questo costoso, ma affascinante, hardware!


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