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Speciale 04 Ott 2022

Dal videogioco alla TV, gli adattamenti mancano di coraggio?

Gli adattamenti cinematografici, e poi televisivi, dei videogiochi sono tutt’altro che cosa nuova. Negli anni, insieme all’evoluzione del medium, abbiamo assistito a riproposizioni cinematografiche di ogni genere. Abbiamo avuto pessimi adattamenti e pessimi film, ma ce ne sono alcuni che, per un motivo o per un altro, sono riusciti a superare il test e a imprimersi nella memoria collettiva.

Silent Hill, Tomb Raider e Resident Evil sono alcuni dei successi più noti, pur appartenendo ormai ad un passato lontano. Nell’era dello streaming, la tendenza si è spostata verso lo sviluppo di prodotti seriali, probabilmente il modo migliore per adattare un videogioco. Questo perché spesso i tempi cinematografici sono troppo ristretti, laddove una serie tv o un prodotto d’animazione hanno a disposizione più tempo, siano essi distribuiti settimanalmente o pronti al binge watching.

Non stupisce che negli ultimi anni ci sia stata una vera e propria esplosione di adattamenti videoludici, con aziende come Netflix (se avete bisogno di una ricarica ecco il link giusto), Amazon, Paramount e HBO in prima linea per accaparrarsi i diritti delle IP più importanti. Siano esse serie tv o prodotti d’animazione poco importa però, perché il dibattito si concentra spesso su un’annosa questione: adattare fedelmente o tradire l’opera originale?

The Last of Us HBO

Nelle ultime settimane sono arrivati, o stati appena annunciati, diversi adattamenti che cadono a fagiolo nella questione. Il primo di questi è The Last of Us, prodotto da HBO in collaborazione con il director originale Neil Druckmann. L’atteso trailer ci ha finalmente mostrato Joel ed Ellie in azione, interpretati rispettivamente da Pedro Pascal e Bella Ramsey. I primi fotogrammi in movimento non lasciano spazio a dubbi, siamo di fronte ad un adattamento televisivo che ripercorre, anche con un certo grado di fedeltà registica, quanto visto nel videogioco. Non mancano alcuni inserti, e personaggi, probabilmente originali, ma ad un primo sguardo la storia non sembra uscirne stravolta. La domanda sorge quindi spontanea, ce n’era davvero bisogno?

The Last of Us, uno dei titoli più importanti per Sony e Playstation negli ultimi 10 anni, ha già vissuto due riproposizioni rispetto all’originale. La prima fu su Playstation 4, con una Remastered che migliorava notevolmente l’aspetto e la fruizione dell’esperienza, che troverà il suo culmine poi su Playstation 5, con una totale revisione grafica e l’adozione del Part I nel titolo. Un’operazione quasi più di coerenza, per accostarlo a Part II, più che di reale necessità revisionista dell’originale. La storia di Joel ed Ellie, sostanzialmente, l’abbiamo già vissuta più e più volte. L’abbiamo amata, e abbiamo imparato a riconoscerne i ritmi e le finezze quasi a memoria, tanto da generare una perplessità generale all’annuncio della versione Playstation 5.

Perché quindi non tentare nuove strade, raccontare quel mondo con un respiro diverso, con personaggi differenti oltre che con un medium differente? La risposta è difficile da trovare, perché è nascosta tra necessità commerciali e una visione artistica di cui non siamo a conoscenza. Per alcuni The Last of Us non può prescindere da Joel ed Ellie, ma Part II ha già dimostrato che per Neil Druckmann non è proprio così.

Cyberpunk: Edgerunners

Il motivo più semplice e sotto l’occhio comune è che questi adattamenti sono un potente strumento. Perché spostano una nuova utenza sui prodotti che noi videogiocatori abbiamo già consumato e assorbito. Nel caso di The Last of Us, l’adattamento parla ai fan, perché riconoscono l’opera che amano e la guarderanno con entusiasmo e occhio critico. O, ancora più probabile, la guarderanno con pregiudizio, perché non potrà mai corrispondere 1 a 1 all’opera videoludica. Un pubblico radicalizzato, che sarà scontento e vomiterà la propria tossicità su internet.

L’adattamento parla però anche a un pubblico nuovo, che non sa cos’è The Last of Us e che, dopo la visione, potrebbe decidere di riversare i suoi soldi e il suo tempo sul videogioco originale. E’ successo con The Witcher e la serie tv Netflix, e più di recente con Cyberpunk 2077 e l’anime Edgerunners. Questi prodotti sono un mezzo di conversione estremamente efficace, dalle molteplici chiavi di lettura.

Eppure questa motivazione non è sufficiente a rispondere alla domanda. Proprio Cyberpunk Edgerunners, uscito il 14 Settembre su Netflix, ne è l’esempio perfetto. Pur affacciandosi ad un nuovo medium, l’opera di traduzione di Studio Trigger del mondo di Mike Pondsmith e CD Projekt RED è stata totalmente diversa. Personaggi nuovi, inseriti nell’immaginario narrativo e visivo della Night City videoludica. Una storia originale che strizza l’occhio ai giocatori a più riprese, ma che percorre una strada tutta sua. Il risultato è un’opera godibile e fresca per entrambi i tipi di pubblico. L’effetto è stato il medesimo, visto che Cyberpunk 2077 è tornato in vetta alle classifiche, con tantissimi nuovi giocatori all’attivo.

NieR Automata anime

Scegliere di adattare l’opera o tradirla sembra più un’esigenza artistica, che si scontra spesso con la paura di combattere contro un pubblico radicalizzato di appassionati. Che è un po’ come tenere il piede in due scarpe. Da un lato si cerca di raggiungere un pubblico più ampio, dall’altra non si può fare a meno di soddisfare il pubblico fedele, che sa esattamente ciò che vuole. Un caso simile è avvenuto di recente con l’adattamento animato di NieR Automata, il bellissimo titolo di Yoko Taro e Platinum Games.

L’annuncio dell’opera ha subito mostrato una grande fedeltà al videogioco, da cui riprende inquadrature e elementi narrativi. Yoko Taro, l’autore originale, ha però confessato che avrebbe voluto cambiare alcuni elementi della narrazione, salvo essere fermato in modo disperato dal suo staff di produzione. Il coraggio dell’autore è stato quindi stroncato sul nascere, probabilmente per quella stessa paura di cui vi parlavo.

Il cambiamento non viene sempre percepito positivamente, ma se affrontato nel modo giusto potrebbe dare a questi adattamenti una marcia in più. La chiave, come sempre, è la qualità. Con una maggiore collaborazione tra studi di sviluppo, autori e case di produzione, questi prodotti potrebbero andare oltre il “semplice” adattamento e battere nuove strade. Soprattutto, evitare invece che prodotti insapore come la serie tv Netflix di Resident Evil vedano la luce del sole. Probabilmente l’esempio principe su come non adattare un videogioco, tradendo completamente il materiale originale, senza però riuscire a trasmettere davvero nulla, se non profondo imbarazzo.

E voi, cosa preferite quando si parla di adattamenti videoludici: nuove storie ambientate nei medesimi universi o riproposizioni fedeli? Fatecelo sapere sul nostro gruppo Facebook!


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