Non siamo riusciti ad incontrarli, per via del tempo tiranno (e dell’oggettiva difficoltà di cui abbiamo già ampiamente parlato), ma ci sono stati mostrati sia la già nota e sinuosa “Dancer of the Frigid Valley“, un boss che ci sarebbe piaciuto affrontare (per testare l’ancor più marcato cambio di move-set tra una fase e l’altra dello scontro, mostrato comunque nella dimostrazione hands-off), e il “Dark Knight“, una mostruosa creatura che ci è parsa una sorta di lupo di Bloodborne in tenuta da cavaliere, veloce, imprevedibile e devastante. Si narra (o almeno così ci è stato detto) che un solo individuo sia riuscito ad incontrarlo… ma no, non a sconfiggerlo.
Non ci è voluto molto a capire il perché: la struttura dei livelli annienta infatti il discusso (anche quello) level design di Dark Souls 2, da molti visto come lineare e, a confronto con il suo illustre predecessore, banale. Il complesso sistema di scorciatoie, di apparenti vicoli ciechi, di segreti, di cancelli impossibili da aprire, di leve da tirare e di chiavi da cercare in prigioni buie e ad un passo dall’inferno, situato al di sotto di mura di castelli immense, di porzioni di mondo di gioco non solo in vista, ma a portata di avventura, di tetti trasformati in percorsi in un arzigogolato labirinto demoniaco, è già venuto a galla durante la demo: un ritorno alle origini che promette di spazzar via ogni dubbio, ogni delusione, ogni terrore di perdere uno degli ultimi baluardi di qualità ed appagamento, bello da giocare, ma non ancora pienamente da vedere.
A far storcere il naso, per fortuna, sono solo però dei fisiologici problemi tecnici (tra collisioni e rallentamenti), e non l’ispirato design macabro ed apocalittico, tra draghi inceneriti che spargono frammenti della loro carcassa nel cielo e rendono l’aria irrespirabile, carne putrida esibita come un trofeo, e nemici dall’aspetto familiare (dai cavalieri allo stesso boss, passando per i rapidissimi cani che sembrano una versione “re-skinned” di quelli di Bloodborne, animazioni incluse), ma comunque diabolico e superbo come sempre.
L’hands on era la prova del fuoco per Dark Souls 3: doveva spazzare via l’atroce dubbio che la fantomatica accessibilità di cui Miyazaki-san ha parlato in più occasioni possa rappresentare un ammorbidimento della sua malefica serie. Se da una parte non sembra ancora rappresentare un chissà quale step evolutivo nel tortuoso percorso iniziato da From Software con Demon’s Souls, si conferma quantomeno un nuovo, devastante tassello nella saga più brutale del gaming. Un ritorno alle origini mediato dalle esperienze accumulate dai team (Bloodborne in primis), un salto progressivo che, se è ancora presto definirlo in avanti, può potenzialmente portare verso direzioni inaspettate.
Felici di aver dubitato di From Software, che ha spazzato via quei timori con ferale rapidità.
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