Quando ci si ritrova a dover descrivere un gioco usando termini come “souls-qualcosa”, “qualcosa-vania”, “rogue-qualcosa”, è inevitabile ritrovarsi a ridere amaramente, pensando all’ennesima moda del momento, al carro del vincitore su cui vogliono salire un po’ tutti.
Quando poi il gioco che ci si ritrova davanti millanta di essere un mix di tutte quelle meccaniche, la risata da amara si trasforma in isterica, incontrollabile, alimentata dal sospetto che un simile minestrone di idee non farà una buona fine.
Eppure Dead Cells è proprio questo e, miracolosamente, pare anche funzionare dannatamente bene. Disponibile in Early Access su Steam da poco meno di un anno, il frenetico mix di generi targato Motion Twin si appresta ad uscire in forma definitiva sia su PC che su PS4, Xbox One e anche Nintendo Switch.
Lo abbiamo provato a San Francisco in occasione della GDC 2018, e le nostre impressioni sono davvero positive: scopriamo insieme perché.
Partiamo da una premessa fondamentale: il punto di forza principale risiede nella perfetta fusione di meccaniche soulslike (il combattimento), roguelike (permadeath e generazione procedurale dei livelli) e metroidvania (gameplay ed esplorazione). All’apparenza sembra il classico platform 2D dall’estetica retro che va tanto di moda di questi tempi, ma basta impugnare il pad per comprendere da subito che il combat system è molto più profondo del solito: si impugnano due armi per volta (o due archi, o persino due scudi: si può creare qualsiasi combinazione si desideri), intercambiabili con qualsiasi altra arma raccatteremo per terra, ma senza la possibilità di mantenerla in inventario, e avanzando otterremo anche speciali oggetti come granate congelanti, torrette che avvelenano, bombe a grappolo e così via, regolate da un countdown, ma il piatto forte sono doppio salto, dodge/roll e una meccanica di parry/block relativamente semplice (ma applicarla nel bel mezzo della battaglia è un altro paio di maniche) con cui rimandare i proiettili al mittente o parare e stordire gli attacchi all’arma bianca dei nemici. I mostri che incontreremo non ci daranno un attimo per respirare, e sarà estremamente soddisfacente abbatterli e sopravvivere, consapevoli però che non avremo tregua, e che basterà qualche distrazione di troppo (anche la cura tramite pozioni, come in Dark Souls o Bloodborne, richiede qualche secondo prezioso e diventa quindi fondamentale trovare il momento giusto per utilizzarla) per perdere armi, oggetti e celle non utilizzate faticosamente ottenuti.
Quest’ultime servono per sbloccare upgrade di vario genere (legati anche a delle pergamene sparse qua e là legate a tre tipologie di attributi – come forza e intelligenza), speciali perk (che garantiscono potenziamenti e bonus) e progetti di armi e oggetti che, da quel momento in poi verranno immessi in un mondo di gioco in continuo cambiamento. Ad ogni morte, infatti, torneremo nell’hub principale, e sarà un magico algoritmo a generare i livelli davanti ai nostri occhi: non tutto sarà affidato al caso, comunque, con interi elementi di level design creati dal team in modo da garantire una certa organicità nell’esplorazione disposti, quello sì, casualmente. Ad essere fissi saranno i punti di collegamento con le varie macro-aree, custodite da boss e mid-boss e precluse fino a che non otterremo la giusta abilità (come il wall-jump per salire in punti irraggiungibili), similmente a quanto accade nel più classico dei Metroidvania, con la differenza però che il backtracking, croce e delizia del genere, in Dead Cells non esiste su precisa (e condivisibile, data la sua natura) scelta del team, che ha inserito dei teletrasporti per facilitare l’esplorazione, che sarà in ogni caso “a tentoni”.
Come se non bastasse, il fattore risk/reward è elevatissimo, legato in parte all’approccio del giocatore, e alla volontà di Motion Twin di permettergli di plasmare la propria avventura in modi sempre differenti: sono tante infatti le abilità, le mutazioni e i potenziamenti che porteranno determinati pro e contro, e il semplice fatto di lasciare per terra un’arma potenzialmente utile con un mid-boss o con un mostro élite apparso casualmente qualche stanza dopo, è in grado di togliere il sonno. Ci sono porte, poi, da sbloccare con il denaro raccolto, ma i più parsimoniosi (e folli) possono sempre distruggerle a bastonate, beccandosi però una devastante maledizione che ad ogni attacco priva di un po’ di energia il giocatore. In Dead Cells si è perennemente sotto pressione, ma è davvero lodevole la volontà del team di offrire ad ogni giocatore l’esperienza che preferisce: basti pensare che vengono posizionate (sempre casualmente) delle porte, attivate entro un certo tempo limite, dietro le quali gli speedrunner e i giocatori che preferiscono non passare troppo tempo a ripulire ogni anfratto, possono trovare oro, celle e abilità fondamentali per proseguire senza il fastidio di dover tornare indietro. Per quanto frustrante, poi, il team ha calcolato che una run di un giocatore esperto può durare sui 45 minuti: non troppi, ma calcolando che basta una morte per dover riniziare da capo, che ogni nuova run è potenzialmente diversa dall’altra (ma solo a lavori terminati potremo appurare quanto variegata sarà di volta in volta l’esperienza), e che certe porte si aprono solamente dopo un certo numero di New Game Plus, appare un minutaggio ben bilanciato.
Il miscuglio di meccaniche e influenze, unito ad un’ottima giocabilità e a un delizioso comparto grafico, rendono Dead Cells già da ora una piccola gemma, che non vediamo l’ora di gustare su Nintendo Switch. La generazione procedurale dei livelli, mista all’inevitabile frustrazione che la permadeath porta con sé, resta il più grande quesito, ma l’anno in Early Access permetterà al team, ne siamo certi, di sfornare uno dei titoli indie più interessanti del 2018.