26 Gen 2023

Dead Space Remake – Recensione

Twinkle twinkle, little star… Se avete giocato all’originale Dead Space ormai quindici anni fa, è molto probabile che ne ricordiate soprattutto questa inquietante ninna nanna; se invece Dead Space Remake, ovviamente già disponibile all’acquisto sullo shop online di GameStop, dovesse essere il vostro primo contatto con l’incubo della USG Ishimura, be’, capirete in fretta cosa intendo.

Survival horror in terza persona, il cui capitolo originale è stato pubblicato nel 2008, il brand di Dead Space ha avuto vita relativamente breve, purtroppo, con un terzo capitolo conclusivo che non ha trovato gli stessi favori dei precedenti per via della sua impronta molto più action (e per il vero finale venduto in un DLC, pratica che ha colpito anche il reboot di Prince of Persia), sebbene la componente cooperativa avesse senza dubbio il suo perché.

A sorpresa, proprio per via del fatto che la serie fosse chiusa da tempo e lo studio di sviluppo Visceral Games smantellato, è stato annunciato un remake del capitolo originale. Un’operazione sulla scia di Resident Evil 2 Remake (c’è un link per l’acquisto anche per questo), che avrebbe riportato l’ingegnere Isaac Clarke sui nostri schermi sotto una nuova luce, mantenendo però intatte le atmosfere e in generale lo spirito che ha contraddistinto il gioco del 2008.

Operazione riuscita? Assolutamente sì. Motive Studio fa esattamente quello che Capcom ha fatto ben quattro anni fa (incredibile ne siano già passati così tanti) con Resident Evil 2, ricostruendo gli orrori della USG Ishimura per come ce li ricordiamo, ma prendendosi le giuste libertà, limando gli spigoli più grezzi dell’originale e persino ampliando alcune sezioni per approfondire personaggi ed eventi. Preparate le vostre pistole al plasma, dunque, e seguiteci in questo tour del terrore e del body horror per scoprirlo.

Per chiunque non conoscesse le vicende alla base di Dead Space, il gioco vede protagonista l’ingegnere Isaac Clarke, inviato, assieme a una piccola squadra, a verificare cosa sia accaduto alla USG Ishimura, con la quale si sono persi i contatti. A bordo di quest’ultima c’è anche la dottoressa Nicole Brennan, la compagna di Isaac, fattore che dunque aggiunge una componente personale alla nostra missione. Come presto scopriranno Isaac e gli altri, il silenzio radio della USG Ishimura ha radici in un orrore più grande di tutti loro, che ha preso possesso della nave diffondendosi come un vero e proprio morbo e uccidendo chiunque.

Da bravo survival horror in terza persona, Dead Space sposa tutti i canoni del genere

Come tuttavia Resident Evil ci ha insegnato, in certi universi narrativi i morti non restano tali a lungo e sono spesso da temere più dei vivi. Spinto sia dalla volontà di ritrovare Nicole, sia dal fatto che non c’è più un mezzo con cui fuggire, Isaac si addentrerà sempre più nell’Ishimura per scoprirne i segreti e rendersi conto di quanto davvero si nasconda sotto la superficie di un orrore già di per sé inenarrabile.

Personalmente, ho giocato all’originale Dead Space sette volte, ognuna inquietante quasi quanto la prima nonostante a un certo punto lo conoscessi a memoria. In quindici anni, com’è normale, un po’ di dettagli sono andati perdendosi ma ricordo ancora a sufficienza diverse ambientazioni e situazioni. Proprio per questo mi sono resa conto del lavoro di ricostruzione svolto da Motive Studio, perché nel corso della mia partita ho vissuto una costante sensazione di déjà-vu a metà: sapevo di essere già stata in quei posti, molti dei quali erano pressoché identici, eppure c’era qualcosa di diverso, di stonato, che ha reso ancora più efficace l’esperienza perché amplificava di parecchio il senso di disorientamento.

Quando lo si è del tutto, disorientati intendo, ci si arrende all’evidenza di non avere alcun appiglio e di doversi muovere nell’incertezza, con i nervi tesi di fronte a un ignoto totale. Quando invece un posto che credevi di conoscere muta solo in alcuni aspetti, presentandosi pressoché identico ma lasciandoti la sensazione che non tutto sia al proprio posto, è peggio perché inizi a dubitare dei tuoi ricordi e la tua diventa una cautela quasi paranoica. “Questo non era così” è diventata la mia frase di circostanza mentre giocavo, a riprova che il lavoro degli sviluppatori è eccellente nel parlare tanto ai vecchi fan, quanto ai neofiti della serie: la “nuova” USG Ishimura non ha nulla da invidiare a quella di quindici anni fa.

Da bravo survival horror in terza persona, Dead Space sposa tutti i canoni del genere: costante senso di tensione, qui dettato a maggior ragione dal fatto che nessun luogo sia davvero sicuro poiché i mostri (Necromorfi) sfruttano i sistemi di ventilazione per spostarsi; telecamera sopra la spalla, grandissima eredità di Resident Evil 4 che ha dato una svolta al modo di approcciare i survival horror; risorse molto contenute anche a difficoltà media e cure la cui efficacia è minore di quanto ci si aspetti; senso di claustrofobia costante, perché gli spazi aperti, o ampi, nella USG Ishimura si contano sulle dita di una mano e quando si trovano sono da temere più dei corridoi stretti; sound design ricostruito da zero per incrementare l’ansia che ci accompagna a ogni passo, rendendo difficile distinguere se la minaccia sia in arrivo o meno.

Ogni singolo suono, in Dead Space Remake, è stato pensato per rafforzare un’atmosfera sempre più carica di tensione

Insomma, non gli manca davvero nulla e quelli che potevano essere difetti all’epoca sono stati tutti perfezionati. L’illuminazione è forse l’esempio più evidente, perché il nuovo sistema implementato da Motive Studio rende l’intera USG Ishimura molto più buia e, accompagnandosi a modelli e texture rifatti da zero, restituisce un’atmosfera notevolmente più d’impatto rispetto all’originale – a cui certo non mancava.

Alcuni videogiochi dell’epoca (Resident Evil 5 sopra tutti) tendevano ad avere una patina giallina che dava tutto un altro aspetto all’esperienza e se già poteva far alzare più di un sopracciglio a suo tempo, immaginatevi cosa vorrebbe dire riportarla oggi. Per fortuna si è presa tutt’altra strada e il risultato lo vedrete presto sotto i vostri occhi: affermare che non vedessi nulla non è un’esagerazione, ma certe aree erano talmente immerse nell’oscurità che muoversi con la pistola alzata era una necessità, più che una cautela. Contrariamente a Resident Evil, o comunque ad altri giochi in cui la torcia era un elemento sempre attivo, in Dead Space si attiva soltanto puntando l’arma. Se nel 2008 questa cosa poteva servire e non servire, proprio in virtù di un altro concetto di illuminazione, spesso nel remake si rende indispensabile; persino così, in ogni caso, non è sempre facile individuare i nemici.

Stesso discorso vale per il sound design, già ottimo all’epoca e qui reso ancora più d’impatto. Mentre vi avventurate nelle profondità dell’USG Ishimura potrete sentire ogni tipo di suono: dai macchinari vicini o lontani in funzione, a cigolii di sorta, gemiti e ruggiti che non sapete da dove provengano, o quando prenderanno forma fisica, fino alle urla disperate di chi fino a quel momento era sopravvissuto. Ogni singolo suono, in Dead Space Remake, è stato pensato per rafforzare un’atmosfera sempre più carica di tensione, fino a culminare in sussurri che non sapete se siano nella vostra testa o siano, piuttosto, suggestioni derivate dagli orrori che state vivendo. Com’è giusto che sia, inoltre, può capitare che i suoni ambientali coprano la presenza dei nemici (che pure sono piuttosto udibili), con ovvie conseguenze.

Al sound design si lega un altro, importantissimo cambiamento di Dead Space Remake: il doppiaggio di Isaac. Nell’originale, il nostro povero ingegnere era muto, rendendo difficile creare delle interazioni di qualsiasi genere, o ampliare i dialoghi con gli altri personaggi che si limitavano a dei monologhi o conversazioni a senso unico in cui vi veniva detto cosa fare e come. Dare una voce ad Isaac permette non solo di ampliare la narrativa, espandendola con incontri e discorsi inediti, ma anche di plasmare meglio il personaggio di Isaac (soprattutto sperando in un ipotetico remake di Dead Space 2). Piccoli scambi qua e là risultano molto arricchiti, contribuendo a una sceneggiatura più scorrevole e credibile.

Da persona che conosce Dead Space come se le sue tasche, giocare il remake è stata un’esperienza sfibrante e lo intendo in senso positivo

A proposito di arricchimento, come ho già accennato Dead Space Remake è uguale ma diverso, perché si amplia in alcune sezioni o le rivisita per diversificarle quanto basta a offrire un’esperienza familiare e al tempo stesso nuova. Il personaggio di Nicole, per esempio, viene approfondito tramite una serie di missioni secondarie che potremo scegliere se seguire o meno e sono pensate per accompagnare un nuovo sistema di backtracking legato ai livelli di accesso della nave: esplorando troverete diverse porte chiuse con un sistema di sicurezza al quale dovrete di volta in volta adeguarvi, trovando i permessi, se volete aprirle.

La maggior parte di questi si ottiene proseguendo con la trama, uno in particolare però richiede di completare una missione secondaria che, per l’appunto, vi spingerà a un po’ di backtracking riconducendovi a porte o anche armadietti e casse in precedenza inaccessibili. Chiaramente, se volete tornare indietro per i fatti vostri appena ottenete un nuovo livello di accesso nessuno lo vieta, ma ho molto apprezzato l’idea di non renderlo fine a se stesso ed eventualmente spingere a farlo perché si sta inseguendo una particolare missione secondaria. Queste ultime peraltro valgono la pena se volete saperne di più su alcuni retroscena e se siete disposti a rischiare qualche indesiderato incontro in più.

Da persona che conosce Dead Space come se le sue tasche, giocarlo è stata un’esperienza sfibrante e lo intendo in senso positivo: rigorosamente con le cuffie per godersi al meglio il sound design, oltre un tot di tempo non riuscivo a proseguire perché il carico era molto sentito. Mi ha ricordato, pur essendo due esperienze agli antipodi, Hellblade: Senua’s Sacrifice, che nel suo essere un’esperienza unica non si faceva giocare tanto facilmente a lungo. Questo ritorno all’USG Ishimura è stato lo stesso: una tensione costante, accumulata passo dopo passo, che a un certo punto diventa troppa. Sembra quasi di essere Isaac, con la differenza che noi possiamo spegnere quando vogliamo e non rischiamo di ritrovarci un Necromorfo nell’armadio. Anche da questo punto di vista va fatto un meritato plauso agli sviluppatori.

L’unico punto in cui il gioco pecca è verso il finale, che abbandona la tensione per trasformarsi in un action costellato da orde di nemici da abbattere – come peraltro spesso accade in questi giochi. Nel complesso non rovina assolutamente l’esperienza, sarebbe eccessivo dirlo, ma incrina un poco quella perfetta atmosfera mantenuta fino ad allora in una costante (e stressante) giostra emotiva dell’orrore.


Conclusioni

Dead Space è un remake validissimo sotto ogni aspetto. L’originale è sempre lì, sotto la scocca, ma questa versione rivisitata va a migliorare i suoi difetti ed esaltarne tutti i pregi – grazie soprattutto al sistema di illuminazione e al sound design, che concorrono a rafforzare l’atmosfera cupa e inquietante tipica del gioco.

Le novità introdotte, dal doppiaggio di Isaac alle missioni secondarie fino all’implementazione dei livelli di sicurezza per aggiungere un pizzico di backtracking, funzionano andando ad ampliare e dare un maggior senso di continuità rispetto all’esperienza del 2008. Pecca leggermente sul finale, trasformandosi in un action privo di vera tensione, ma questo non va a depenalizzare eccessivamente un remake che, nel complesso, ricalca benissimo l’approccio adottato da Capcom con Resident Evil 2.