Demon's Souls rumour
18 Nov 2020

Demon’s Souls – Recensione

Per chi lo giocò e divorò all’epoca, ha un che di surreale scrivere di Demon’s Souls ancora oggi, nel 2020, a 11 anni di distanza. Di un remake, perfino. Addirittura di una killer app, per qualcuno, essendo, di fatto, l’esclusiva più pregiata della solida line-up di lancio di PS5 (Miles Morales arriva anche su old-gen, ndr). Uno dei giochi più difficili e impenetrabili degli ultimi due lustri, capostipite di un nuovo modo di concepire il game design, tramutatosi da guilty pleasure di folli appassionati esageratamente hardcore, ad apripista di una nuova generazione. Viviamo in una timeline strana, e tornare a parlare di Demon’s Souls ne è la dimostrazione lampante, ma non è questa la sede per ragionare sulle contraddizioni di questo 2020: qui preferiamo piuttosto lodare il lavoro svolto da Bluepoint Games, che ha preso in mano il gioiello grezzo di From Software, e grazie a Sony, che ne deteneva i diritti, lo ha usato come sorta di tech demo delle grandi potenzialità della nuova PlayStation.

Il perché è presto detto: con un colpo al cerchio e uno alla botte, il team texano è riuscito a conservare la natura selvaggia dell’originale, così da non deludere i fan della prima ora, e a traslarlo in un gioiello scintillante che in questo ricco 2020 riesce comunque a splendere quasi più di ogni altro gioco in arrivo, il che è tutto dire. Un modo per concedere ai tanti neo-fan delle opere di Miyazaki e co di ripassare un po’ di storia e di scoprire dove tutto ebbe inizio.

Nonostante il DNA condiviso, chi è partito da Dark Souls riuscirà a sentirsi a casa, e al contempo in un luogo alieno nel suo primo contatto con questo remake: alcune meccaniche basilari mancano all’appello (banalmente, persino il semplice attacco dall’alto è ora impossibile, o quello pseudo-salto che è possibile realizzare nei nuovi capitoli), ma è soprattutto una concezione del level design, completamente differente, a causare il primo shock. Senza entrare nel merito dei traumi che subirà ogni neofita puro, dalla perdita delle anime dopo esser morto e aver fallito nel tornare nel punto del misfatto a recuperarle, all’estrema semplicità con cui si viene massacrati, passando ovviamente per la concezione di checkpoint così diversa e poco accomodante, anche i fanatici dei soulslike al primo contatto con Demon’s Souls vivranno un piccolo shock immergendosi nel mondo di gioco e nella sua peculiare struttura.

Demon's Souls

Aver interiorizzato ed assimilato l’intricato e magistrale level design di Lordran vi servirà a poco per Boletaria, i suoi demoni divoratori di anime e la nebbia che la stringe quasi fino a strozzarla. Qui si parte da un Nexus, un vero e proprio hub centrale in cui livellare, comprare oggetti e riparare armi e armature, e si arriva in 5 diverse aree attraverso le rispettive Arcipietre, suddivise a loro volta in zone con nemici, tesori e boss a sé stanti, ma senza un ordine naturale da seguire, in quanto sarà l’inasprimento improvviso della difficoltà a farvi intendere che forse è meglio andarsi a fare le ossa altrove.

Nonostante il DNA condiviso, chi è partito da Dark Souls riuscirà a sentirsi a casa, e al contempo in un luogo alieno nel suo primo contatto con questo remake

Non mancano le soddisfacenti shortcut a cui ci ha abituato la serie, ma è la disposizione dei checkpoint a cambiare: è infatti il boss di turno a lasciare dietro di sé un’Arcipietra, senza altre sezioni intermedie a farvi riprendere fiato o dove ricaricare l’Estus (qui assente: avrete solo erbe – farmabili, deo gratias – e incantesimi a garantirvi cure). Morire contro un boss significa dover ripercorrere comunque un bel po’ di strada e riammazzare gli stessi nemici (nel mentre tornati in azione come se nulla fosse), senza troppe comodità di sorta, una soluzione poi smussata col tempo, ma che aumenta vertiginosamente la soddisfazione per un trionfo, ma anche la tensione e la frustrazione dopo una sconfitta.

Demon's Souls gameplay

In questo remake tale modus operandi è stato mantenuto, e salvo qualche piccolo cambiamento che va a migliorare la quality of life (la possibilità di schivare senza limitazioni in tutte le direzioni – prima il limite era fermo a 4 -, o di spedire al deposito gli oggetti trovati quando l’inventario è pieno), o anche a peggiorarla (la “giusta” attribuzione di un pur minimo peso alle erbe curative), l’esperienza è inquietantemente la stessa. Nel senso che fa paura la meticolosità con cui Bluepoint è riuscita a replicare le medesime sensazioni di un tempo, ricostruendo però da zero ogni singolo elemento su schermo, con bilanciamento della difficoltà a grandi linee identico (il Cavaliere resta equilibrato e una scelta sul sicuro, il Nobile, ancor più di ogni classe a base magica, rende quasi una passeggiata le prime, traumatiche fasi).

Il merito è della precisa scelta di restaurare la gloria di Boletaria un pixel e un mattone la volta partendo dal source code, senza la pretesa di volersi sostituire a From Software ed evitando di calcare la mano anche dove un ritocchino non avrebbe fatto male (l’IA imprecisa di alcuni nemici o i pattern a volte banali di alcuni boss che ne depotenziano la maestosità, ad esempio); scordatevi, insomma, la vociferata implementazione della sesta Arcipietra, ma anche eventuali mosse “commerciali” pensate per rendere il gioco più semplice.

Fa paura la meticolosità con cui Bluepoint è riuscita a replicare le medesime sensazioni di un tempo, ricostruendo però da zero ogni singolo elemento su schermo

Ci sono novità (anche contenutistiche, ma lievissime, incluse armi e armature), ma perlopiù accessorie, come la modalità Foto (di fatto, l’unico modo per mettere pausa, e che potrebbe aiutarvi ad esplorare i paraggi a caccia di trappole inaspettate), dei filtri con cui modificare la palette cromatica (uno rievoca quella classica, per i nostalgici), le centinaia mini-video guide integrate nelle Attività (che offrono qualche nozione ai nuovi arrivati, ma sono opzionali, tranquilli) o un vero e proprio “Mirror mode” che permette di giocare un mondo “specchiato”, dando anche ai veterani una scusa ulteriore per run aggiuntive (come se non bastassero gli stimoli offerti già dal gioco base a moltiplicare i New Game +), ma al cuore il gioco resta bello, punitivo, ermetico fin nel profondo.

Non concede chance, né respiro, né distrazione alcuna: in ogni sessione la tensione si taglia con un coltello, perché anche i comuni nemici rappresentano una sfida, tra sfuriate imprevedibili in grado di farvi finire in un baratro, e assalti a sorpresa da chissà cosa, sbucato da chissà dove. Si tiene botta per un po’, si torna a respirare quando si spalanca un cancello precedentemente chiuso, ma poi ci si rende conto del sofisticato level design, della strada fatta, e di quanta tocca farne nuovamente per tornare al medesimo punto se si perde contro il boss di turno, o contro qualche spirito arrivato all’improvviso, sia esso un giocatore (per chi intende viverlo online con tutti i vantaggi – la coop fino a 6 giocatori che aiuta e non poco – o gli svantaggi – sgradevoli sorprese, appunto) o un nemico gestito dall’IA frutto delle diaboliche World Tendencies, tornate dall’oltretomba per tormentarci ancora oggi.

Demon's Souls opzioni visualizzazione

Sparite nei Souls tornano a infestare i nostri incubi, ma fortunatamente più “leggibili”: periodicamente un’Arcipietra può modificare il suo allineamento, tra il positivo, ovvero la normalità, e il negativo, con dei cambiamenti nefasti per il giocatore. Uno spirito amichevole può tramutarsi in un’angosciante minaccia, lasciando un tesoro ma anche presentando una sfida non prevista, soprattutto se non conoscete così bene la disposizione di tesori e nemici (rimasti invariati rispetto all’originale) e se sul più bello arriva qualche malevola entità a mandarvi al creatore. Nel menù troverete una voce apposita che vi segnalerà l’attuale tendenza di ogni singola area, così da lasciarvi decidere se provare a cambiare i vostri piani imminenti o cercare un po’ di azione.

Insomma, non manca nulla a garantirvi un’esperienza ardua, a tratti incomprensibile nel suo accanimento contro il giocatore, eppure così affascinante, così ricca di mistero, tra briciole di trama disseminate qua e là, sezioni apparentemente impossibili al primo giro, e un senso di appagamento, se possibile, ancor più intenso rispetto al passato, anche a chi non è al primo giro di giostra in quel di Boletaria. Il merito va a PlayStation 5, e prima ancora alla capacità con cui Bluepoint ha maneggiato il delicato cristallo di From Software.

Ovviamente, non manca il supporto alle feature peculiari del DualSense, purtroppo sfruttato in maniera meno convincente del previsto, ma in grado comunque di enfatizzare colpi e impatti (la vibrazione che sentirete incantando un’arma o lanciando un miracolo è davvero elettrizzante. Ci sono i caricamenti inesistenti tra una morte e l’altra che renderanno più sopportabili le sconfitte (tante, saranno tante, duole dirlo). Ma soprattutto, c’è una ricostruzione ai limiti dell’insensato, nel senso buono, beninteso.

Se in Shadow of the Colossus i texani strapparono ben più di un applauso, qui meritano una standing ovation

La povertà poligonale e il vuoto desolante dell’originale impallidiscono dinanzi al sontuoso lavoro svolto dai texani, che se in Shadow of the Colossus strapparono ben più di un applauso, con il remake di Demon’s Souls meritano una standing ovation: basterebbe la prima panoramica sul cancello del castello di Boletaria e la repentina visita della viverna a lasciare la mascella spalancata, ma poi arriva l’illuminazione in tempo reale clamorosa (sì, anche senza bisogno del ray tracing), con il bagliore emanato da torce e spade infuocate, i particellari che rendono visivamente più impattante la consistenza immateriale degli spiriti dei giocatori online che ci sfioreranno, la mole strabordante di dettagli assenti nell’originale, inutili ai fini ludici, trattandosi magari di ciuffi d’erba o ghirigori, ma così affascinanti da scrutare, o il nuovo aspetto di NPC o dei boss, che tra il doppiaggio (anche in italiano) e la colonna sonora riarrangiata, regaleranno un’altra valanga di epica disperazione a chiunque avrà il coraggio di sfidarli.

I 4K si vedono e notano tutti, ma in quel caso dovrete accontentarvi dei 30 fps; doveste, come noi, prediligere le performance, c’è una modalità ad hoc che riduce lievemente la risoluzione (ora dinamica), ma ve lo garantiamo: giocare Demon’s Souls con la responsività dei 60 fps è veramente un’altra cosa.

Conclusioni

Forse è scontato dirlo, ma non ci aspettavamo nulla di meno da questo remake: Bluepoint Games non solo ripropone fedelmente una vera e propria pietra miliare del gaming moderno senza stravolgerne la natura, ma la rende talmente bella e splendente da diventare a sua volta una nuova pietra di paragone, stavolta tecnologico. Su PlayStation 5, Demon’s Souls torna a nuova vita, riprendendosi quella seconda chance che esso stesso ci ha sempre concesso dopo una morte improvvisa o una distrazione.

Un titolo grezzo ma dannatamente avanti per l’epoca, discusso, odiato e amato alla follia, al punto di ripensare il modo di sviluppare i videogiochi e di spedire Miyazaki direttamente nel pantheon dei geni del medium, che torna reperibile non solo su una console più moderna, ma anche giocabile in tutta la sua gloria, impossibile dopo la chiusura dei server di qualche anno fa.

Non è un gioco per tutti, e non rappresenta l’entry level adatto per la serie, ma la sua natura di esclusiva di peso lo rende, di fatto, un acquisto obbligato per i nuovi utenti di PlayStation 5, e chissà che i più coraggiosi non scoprano, senza volerlo, la loro nuova “serie” preferita.

Demon’s Souls è disponibile da GameStopZing Italia.