Detroit: Become Human

Detroit: Become Human

  • pegi18
  • data-di-uscita25/05/2018
  • genereAvventura Dinamica
  • sviluppatoreQuantic Dream
  • editoreSony Interactive Entertainment
  • Piattaforma Games PC PS4

Los AngelesDetroit: Become Human è una di quelle opere che resteresti a guardare per ore. Cosa che, ad essere davvero onesti, ci è successa giusto ieri sera nel corso del pre-event alla conferenza E3 2017 di Sony, quando adocchiata la postazione con una demo giocabile dell’ultimo capolavoro di Quantic Dream, con buona pace della nostra impazienza, ci siamo messi in coda nell’attesa di stringere il pad tra le mani. Un titolo sontuoso, quello di David Cage, che abbraccia ed evolve ulteriormente la visione caratteristica dello studio parigino focalizzando il proprio gameplay (da molti definito erroneamente poco più di un laser game) in un contesto narrativo sensazionale: la giocabilità funzionale alla storia, come ai tempi di Heavy Rain o Beyond, ma non senza novità interessanti.

L’aspetto che più ci ha impressionato di Detroit: Become Human, chiacchierando con il producer di Quantic nell’ora scarsa di attesa in quel dello Shrine Auditorium di Los Angeles, è la sua incredibile profondità in termini di possibilità. Mai come ora la parola bivio è riduttiva, visto e considerato che l’intero esito della vicenda (legata ad una sorta di ribellione androide nella futuristica città di Detroit) dipenderà in modo univoco dalle scelte effettuate dal giocatore. Non si tratta di conseguenze nel breve immediato, questo è bene sottolinearlo: una semplice analisi di un particolare, il reperimento di un dettaglio all’apparenza insignificante o la giusta parola con l’NPC appropriato, a distanza di ore, potrebbero dare il lasciapassare a nuove sequenze e possibilità di gioco o, perché no, persino precluderne altre.

La demo giocata di Detroit: Become Human copre la breve sequenza che, lo scorso anno, il developer francese ha mostrato nel corso della Press Conference. Indosseremo i panni di Connor, evolutissimo androide al servizio della popolazione locale utilizzato per l’analisi e il reperimento di informazioni in una qualsiasi scena del crimine. La sua avanzatissima tecnologia gli permette infatti di ricostruire virtualmente omicidi, riavvolgendo o accelerando il tempo per osservare la dinamica dell’evento, ma anche di effettuare analisi biologiche su campioni organici, rilevare impronte e altre amenità ben note agli amanti dell’investigazione. Un androide freddo e analitico, ma non per questo privo di una componente emotiva, adeguatamente celata dietro all’impeccabile professionalità che lo contraddistingue.

Detroit Become Human

La situazione, all’avvio della demo, è delicatissima. Daniel, un androide “maggiordomo”, sembra essere vittima di un malfunzionamento del proprio software: un errore di calcolo imprevedibile, che finisce per costare la vita a due esseri umani e rischia di provocarne un terzo, un’innocente ragazzina tenuta in ostaggio dall’androide sul cornicione di un altissimo grattacielo, con una pistola puntata alla tempia. L’obiettivo è semplice: salvare la possibile vittima, costi quello che costi. Il come farlo, inutile dirlo, sta al giocatore.

Già da questa breve demo si intravede uno degli aspetti più grandiosi di Detroit: Become Human: l’enorme libertà decisionale lasciata al giocatore. Nessuno ci vieta, infatti, di disinteressarci del tutto dell’analisi forense e precipitarci a perdifiato nel luogo dell’ultimo potenziale disastro, cercando di negoziare con l’aguzzino per evitare l’irreparabile: una scelta non certo facile, ma considerando l’importanza del tempo in queste occasioni, forse così assurdo potrebbe anche non essere. In alternativa, potremo cercare di sfruttare i minuti in nostro possesso per analizzare le stanze dei delitti, scansionando i cadaveri e le ferite ad esse inferti, analizzando le traiettorie dei colpi, reperendo maggiori informazioni sugli avvenimenti accaduti e – tramite l’interfaccia investigativa di Detroit – passare alle ricostruzioni virtuali degli eventi, da cui estrapolare preziose informazioni.

Perché dovremmo farlo? Beh, maggiore sarà la percentuale di risoluzione del caso all’interno dell’appartamento incriminato, maggiori saranno le informazioni che Connor potrà ricevere ed elaborare: potrà scoprire il nome del nemico, Daniel, oppure intuire da una ricevuta elettronica come il padrone di casa fosse intenzionato ad acquistare un androide nuovo, cestinando il predecessore. Sai mai che anche gli androidi siano permalosi, e Daniel abbia cercato una giustizia privata. L’analisi del sangue al pavimento ci fa intuire come la bimba in ostaggio sia ferita, e alcune chiazze di sangue sintetico blu indicano una colluttazione in cui lo stesso Deviant, come viene chiamato nel gioco, sia ferito. E molto probabilmente arrabbiato.

Detroit Become HumanRecuperare più informazioni non solo ci permette di unire i puntini in una situazione destinata a precipitare rapidamente, ma sblocca al giocatore una serie di opzioni altrimenti precluse, da sfruttare a proprio vantaggio nella fase finale di negoziazione: quella in cui, a pochi metri dal nostro obiettivo, ci ritroviamo faccia a faccia con Daniel, cercando di farlo desistere dai propri terribili scopi sfruttando la dialettica. Chiamarlo per nome, a patto di aver analizzato a dovere la camera della bambina, potrebbe renderlo più incline ad ascoltarci, prestando il fianco a frasi empatiche e di comprensione: allo stesso modo, fare leva sull’amore che la piccola prova per lui, nonostante sia una “macchina pensante”, potrebbe essere la strada giusta. Se sarete così bravi da recuperare una delle armi del delitto, potrete persino decidere se gettarla davanti ai suoi occhi, per guadagnare la sua fiducia, o mentirgli spudoratamente e tenerla a portata di mano per un epilogo… improvviso.

La possibilità di successo della nostra missione, indicata da un’apposita percentuale mostrata a video, dipende inizialmente dai dettagli e dalle informazioni scovate, ma potrà aumentare o diminuire a seconda del nostro atteggiamento con Daniel. Non solo: indugiare troppo nell’analisi delle scene del crimine farà passare tempo inutilmente, spazientendo l’obiettivo – e facendo dunque precipitare questo valore. Sì, insomma, anche nella negoziazione il tempo è denaro.

Detroit: Become Human è una di quelle opere che resteresti a guardare per ore

Nella nostra prova, dopo aver osservato alcuni giornalisti fallire miseramente la missione – anche dopo aver risolto il 100% degli “enigmi” presenti nell’appartamento, di comune accordo con un collega transalpino abbiamo messo alla prova il titolo di Cage con due comportamenti insoliti: prima, una run dritta e veloce senza il reperimento di alcun indizio, ritrovandoci faccia a faccia con Daniel nell’arco di pochi secondi. Superata comunque la missione, abbiamo riprovato risolvendo soltanto una delle due scene di omicidio, recuperando la pistola utilizzata e nascondendola a Daniel, nella speranza di trovare il modo di puntargliela contro nel momento opportuno e abbatterlo a sorpresa per liberare la fanciulla.

Ci siamo riusciti? Sfortunatamente no. Alcune scelte critiche in fase di negoziazione, infatti, hanno fatto precipitare rapidamente gli eventi, innescando la sequenza di omicidio/suicidio di Daniel sventata tuttavia dai riflessi di Connor, che sacrifica sé stesso per salvare la ragazzina. Il sorriso beffardo del Producer di Quantic Dream, tuttavia, ci ha fatto capire quanto fossimo vicini ad un epilogo diverso dai due visti sino a quel momento, un finale elettrizzante ma sconvolgente allo stesso tempo. Al che, la domanda ci è sorta spontaneamente: ma non esiste un modo per salvare tutti quanti, Daniel incluso, e risolvere al meglio la delicata incombenza? “Ci fosse solo quello, non saremmo qui a presentarti Detroit“. Ok Quantic Dream, mi avete convinto.

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Un prodigio che merita d’essere tenuto sotto stretta osservazione

In tutto questo tripudio di analisi, indizi, reperimento di informazioni capaci di modificare il destino dei protagonisti nel breve termine (come nella fase conclusiva, con l’emozionante faccia a faccia) o anche ad ore di distanza, impossibile non rimanere con la mascella spalancata di fronte alla magnificenza del titolo di David Cage. Un titolo che, pur trovandosi in uno stato di alpha embrionale, mostra su PS Pro un comparto tecnologico così avanzato da farci gridare al miracolo. L’unico neo che abbiamo trovato, forse, nella prova di Detroit è la sua “facilità”, che permette di completare positivamente la missione senza particolari impegni: ma badate, ancora una volta il Producer ci ha fatto notare come la parte cruciale non sia il solo “salvare” la bambina, ma anche il “come” la si è salvata. E di tutte le possibilità, le informazioni, gli scenari possibili in questa sequenza di poco più di venti minuti, ieri si è scalfita soltanto la superficie.

La Prova a Porte Chiuse

Non poteva certo mancare una prova a porte chiuse di Detroit: Become Human, tenuta per l’occasione da Sony in un apposito booth riservato alla stampa europea accreditata. Pad alla mano, ci siamo avventurati in un nuovo spaccato di gioco, precisamente quello mostrato nel lungo gameplay video in occasione della Press Conference di Sony dello scorso lunedì. Abbandonati i panni di Connor, ci troviamo ora a controllare Markus, androide ribelle deciso a condurre la ribellione delle “macchine” contro il predominio umano. Come fare? Ancora una volta, tutto è nelle mani del giocatore.

L’aspetto più interessante di questa demo, della durata di circa 20 minuti, è che potremmo scegliere in ogni momento come condurre la mostra “sommossa per la libertà“: se perseguire una via pacifica, limitandoci magari a liberare i nostri fratelli ed hackerare insegne, postazioni o altre apparecchiature elettroniche per gridare al mondo la nostra presenza. Oppure mettere la piazza letteralmente a fuoco e a fiamme, distruggendo insegne, incendiando panchine, sfondando vetrine e rovesciando persino veicoli o cassonetti. Ciascuna azione compiuta andrà a variare l’ago della bilancia della situazione, evidenziato a schermo da un cursore che oscilla dal “pacifico” al “distruttivo” a seconda delle scelte intraprese.

Scelte che, inutile dirlo, avranno in questa sede un peso drammatico nell’intera economia di Detroit: Become Human. Saranno infatti le azioni di Markus a caratterizzarlo di fronte agli occhi degli esseri umani, rendendolo di fatto un leader androide temibile e pericoloso, il cui comportamento va assolutamente deprecato, o piuttosto un carismatico “capo” desideroso soltanto dell’approvazione naturale della propria specie.

Il tutto, ancora una volta, obbedisce alle meccaniche di gameplay già esposte per la demo Ostaggio, con la necessità di esplorare ed interagire con l’ambientazione circostante per poi trovarsi di fronte all’amletico dubbio: provare la via pacifica o tentare il tutto e per tutto, gridando a gran voce la propria rabbia? O addirittura spingersi oltre, quando verso la conclusione ci ritroviamo con una pistola in mano e più di qualche destino nel palmo della stessa? Una situazione non certo facile per il giocatore, che minuto dopo minuto si troverà costretto a muoversi col peso schiacciante delle proprie scelte sulle spalle. Del resto, Quantic Dream ci aveva già abituato ad una situazione come questa, che riconferma per la seconda volta in due giorni la profondità dell’albero di possibilità architettato dallo studio first party parigino.

Nell’attesa di scoprire qualche dettaglio in più su Kara, terzo iconico personaggio controllabile di Detroit: Become Human, ci lasciamo alle spalle il booth Sony con la consapevolezza che, da qui al prossimo anno, sentiremo ancora parlare parecchio di David Cage e della sua nuova creatura. Ed è tutto assolutamente meritato.

 

In conclusionE3

L’attesa è stata lunga, ma ne valeva drammaticamente la pena. Detroit: Become Human è un prodigio che, già dopo nemmeno mezz’ora di gioco, merita di essere tenuto sotto stretta osservazione da chiunque, anche chi non ha mai avuto troppa simpatia per il genere introdotto dai Quantic Dream. L’ultima fatica di Cage e soci reinventa sé stessa senza tradire le proprie origini, catapultando il giocatore in un universo pseudo-fantascientifico ipnotico, ammaliante e, permetteteci, terrificante tanto esso non è lontano da una possibile realtà destinata a materializzarsi negli anni a venire. Detroit: Become Human ci ha stupiti, tenendoci incollati allo schermo per oltre un’ora ad osservare ogni minimo dettaglio nella speranza che, una volta arrivato il nostro momento di giocare, saremmo riusciti a sbloccare quella sequenza elettrizzante che ci era stata promessa, se fossimo stati abbastanza astuti. Oggi non ci siamo riusciti, ma non vediamo l’ora di riprovarci.

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