Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory – Recensione

È difficile credere che anche i Digimon abbiano spento le loro venti candeline lo scorso anno, ricordandoci non solo che il tempo passa in fretta, ma anche e soprattutto l’esistenza di un franchise messo molto in ombra (almeno in occidente) dai Pokémon, il cui debutto anticipò di poco i Digimon e bastò a dichiararne il successo globale. Spesso considerati i loro “cugini sfortunati”, i mostriciattoli nati dalla mente di Akiyoshi Hongo vantano una storia molto ricca che solo dal punto di vista videoludico non è riuscita a brillare come invece ha fatto, per esempio, la controparte d’animazione: si tratta di una passione principalmente confinata al Giappone, che li celebra al pari dei più fortunati Pokémon, mentre qui da noi l’accoglienza è sempre stata abbastanza tiepida. Parliamo di sette serie animate (la sesta è divisa in tre stagioni), più di quindici film, dozzine di videogiochi a partire dal Sega Saturn nel 1998 e innumerevoli manga, quanto basta per far capire che esiste una soluzione diversa per chiunque ne sia appassionato secondo i gusti più disparati. Inoltre il modo in cui il franchise ha sempre cercato di rinnovarsi a ogni nuova installazione, proponendo un aspetto unico di volta in volta, è qualcosa che merita di essere riconosciuto.

Per chi non lo sapesse, Digimon è l’abbreviazione di Digital Monsters, creature che vivono in un universo parallelo cui spesso ci si riferisce come Digiworld. In quanto realtà digitale, è chiara la prima grande differenza con i Pokémon: i Digimon non esistono in carne e ossa, sono bensì dati che possono prendere forme differenti, in grado di comprendere e anche parlare il linguaggio umano (abilità non estesa a tutti), dotati di una propria personalità e un libero arbitrio che in molti casi permette loro di discernere il bene dal male e scegliere di comportarsi in maniera negativa, laddove i Pokémon, salvo rare eccezioni, obbediscono agli ordini del proprio allenatore. I Digimon possono manifestarsi nella nostra realtà per interagire con gli esseri umani, bambini e adolescenti, allo scopo di salvare il mondo. Considerato che ciascuna serie racconta una storia a sé, si potrebbe criticare il franchise per non avere un’identità definita, ma d’altro canto è interessante l’idea di mostrare scorci di universi alternativi simili eppure molto diversi fra loro.

I videogiochi sono in questo senso l’esempio migliore, perché li si può giocare in qualunque ordine. Giocare a Digimon World: Next Order, ad esempio, non richiede per forza averne provati altri della medesima serie. Conoscere installazioni precedenti può tuttavia rappresentare un bonus, in quanto alcuni titoli stabiliscono una sorta di multiverso. È questo il caso di Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory, sequel dell’originale Digimon Story: Cyber Sleuth pubblicato nel 2015 e con il quale condivide pressoché ogni aspetto, riuscendo persino a riportare su schermo alcuni dei vecchi personaggi. Storia e protagonista naturalmente differiscono: questa volta vestiremo i panni di Keisuke Amazawa, un normalissimo studente che di punto in bianco si vede sottratto il proprio account Eden da un misterioso hacker. Sviluppato e gestito dalla Kamishiro Enterprises, Eden è una versione molto futuristica ed evoluta di Internet dove gli utenti possono accedere “fisicamente” attraverso degli avatar virtuali: è strutturato in molteplici zone collegate tra loro per mezzo di piattaforme e rappresenta il campo di battaglia del gioco in cui non solo trovare Digimon “selvatici”, ma anche sfidanti sempre pronti ad affrontarci. Si può accedere a Eden attraverso qualsiasi dispositivo dotato di una connessione, dunque non sarà raro entrarvi da un punto diverso dal nostro “campo base”. Accusato di un crimine non commesso, Keisuke si unisce al gruppo di hacker “Hudie” per far luce sul mistero e trovare il vero colpevole, in un’avventura che lo porterà a stringere legami con i Digimon, scoprire il lato oscuro dell’Internet e nel mentre svolgere i lavori più disparati per altrettanti committenti… che a volte si rivelano essere gli stessi Digimon!

Abbiamo già accennato che il franchise, dal punto di vista videoludico, si è rivelato piuttosto carente e in questo senso non è esagerato dire che Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory è un titolo perfetto per chi non ha mai apprezzato i giochi Digimon, come del resto si può dire del suo predecessore. In che senso, vi chiederete? Entrambi i giochi hanno preso tutti gli aspetti più terribili dei vecchi giochi e ne hanno fatto un bel falò, sminuendo al contempo, senza alcuna pietà, le meccaniche base del gameplay verso cui molti fan storici avevano sviluppato una certa affezione. Il risultato finale sono stati due giochi nettamente migliori di tutte le produzioni degli ultimi quindici anni, molto accessibili e capaci di introdurre le loro meccaniche attraverso l’uso di brevi ma efficaci tutorial che non richiedono alcuna conoscenza pregressa del franchise. Potremmo dunque definire Digimon Story: Cyber Sleuth il punto d’ingresso migliore per i non appassionati di Digimon e Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory un seguito molto fedele ai suoi punti di forza – fattori che non escludono a priori i fan, ai quali sarà offerto molto materiale per cui crogiolarsi nella nostalgia. Sfortunatamente, la fedeltà di quest’ultimo capitolo è tale da risultare una copia carbone del gioco originale con tutti i suoi pregi e difetti, avente come uniche novità la storia e l’aumento dei Digimon a disposizione. Seguiteci nella nostra disamina per capire, se lo avete giocato, a cosa ci riferiamo.

Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory è molto fedele all’originale

In contrasto con ogni gioco Digimon che la precede, la serie Cyber Sleuth si svolge principalmente nel mondo reale (il nostro, nei fatti, ma in versione futuristica) con frequenti accessi al cyberspazio per indagare sulla situazione in corso, risolvere casi o anche solo allenarsi un po’. Sono riprodotte nel dettaglio intere aree del Giappone, con particolare prevalenza dei quartieri dedicati allo shopping e dei grossi centri urbani: la base operativa di Keisuke e compagni si trova nel famosissimo quartiere di Nakano, all’interno di un internet café, e aguzzando l’occhio quando si va in giro si possono notare riferimenti ad altri giochi di Bandai Namco. Un tema ricorrente nella serie, e dunque anche in Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory, sono le relazioni che il protagonista stabilisce con i personaggi che lo circondano, siano essi umani o digitali, portate avanti principalmente attraverso la fittizia applicazione di messaggistica conosciuta come Digiline: non importa dove vi troviate o cosa stiate facendo, in ogni momento potrete ricevere messaggi che vi daranno informazioni sulla vita quotidiana dei personaggi o approfondiranno il vostro rapporto con i Digimon, i quali esprimeranno gratitudine, vi terranno informati sullo stato del loro allenamento (quando lasciati alla DigiFarm) o vi proporranno quiz – e qui si che dovrete dimostrare di conoscere il franchise! A volte si può rispondere ma la scelta sarà ridotta a un singolo messaggio, il che concorre a rendere questo aspetto meno interattivo e immersivo di quanto avrebbe potuto essere, rivelandosi anzi piuttosto inutile per come è stato implementato.

Un secondo tema è legato al problema di crescere, diventare adulti. Anziché concentrarsi sull’adolescenza melodrammatica o propendere verso un gameplay in stile dating sim per comunicare questa difficoltà, gli sviluppatori hanno preferito ritrarre la crescita di queste persone attraverso un concetto di causa-effetto, trasformandoli lentamente in qualcuno di diverso rispetto all’infanzia. Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory mette in discussione la natura della relazione che intercorre fra umani e tecnologia (qui rappresentata dai Digimon, considerati da molti nulla più di un ammasso di dati), come si rapportano usandola e cosa significa “evolversi”. Impersonando Keisuke stringeremo legami con i membri di Hudie: Ryuji che porta sulle spalle il peso di una difficile responsabilità, sua sorella Erika che è il classico esempio di tsundere e lo smaliziato Chitose, tutti legati da una certa nobiltà d’intenti che sembra paradossale se si pensa che sono tutti hacker – dunque criminali. Grazie a loro riceveremo il Digimon Capture Program, indispensabile per raccogliere dati sui Digimon, il mezzo simbolo della nostra nuova identità di hacker e della buona strada che a dispetto della nostra identità abbiamo deciso di intraprendere. In una realtà dove c’è chi cattura e tiene in cattività i Digimon ritenendoli niente più che strumenti, il programma agisce secondo un principio più corretto analizzando i dati raccolti per generare da zero nuove creature.

Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory ripercorre i passi del predecessore nello smantellare il concetto del Domatore di Digimon così come è stato creato nel 1997 e costruito nel 2005. I Domatori come siamo stati abituati a conoscerli non esistono più in Cyber Sleuth, i Digimon sono di esclusiva competenza degli hacker e sono strumenti sfruttati per infrangere la sicurezza e condurre una guerra d’informzione contro le corporazioni senza volto che mettono in atto le peggiori nefandezze. Nel corso del gioco ci saranno mostrati nel dettaglio non meno di quattro gruppi di hacker, i cui componenti seguono spesso la filosofia del “potrebbe fare del bene” che sorprendentemente si allinea con lo stile di vita dei Digimon stessi. È importante notare come pur aggredendo con ferocia l’idealismo del Domatore, il gioco ricostruisce alla perfezione la definizione ufficiale riportata nel sito Digimon Channel: “Un giorno, nei computer del mondo si propagò un virus che possedeva un’intelligenza artificiale propria. Entrato nella rete, il virus iniziò a cambiare forma e natura evolvendosi in realistici ‘Digital Monsters’ (Digimon in breve!)”. Il mondo di Cyber Sleuth non è così diverso dal nostro. Si tratta di una realtà dove è meglio essere forti che giusti, dove i criminali ne escono sempre puliti perché possono e dove il diritto delle persone è costantemente sovvertito per favorire il bene del singolo individuo. L’hacking è una componente radicata in profondità nel gameplay, essenziale per risolvere enigmi durante il corso dell’avventura e al contempo per introdursi in server protetti quando la storia lo chiederà.

La seconda metà del gioco è il punto in cui gli elementi cyber si fanno da parte per lasciare spazio all’approccio più psicologico dell’esperienza, facendo discostare la trama dalla quotidianità per farla precipitare in uno scenario apocalittico di cui Shin Megami Tensei potrebbe essere orgogliosa. Scavare nella psicologia dei personaggi è il succo della narrazione: diversi personaggi iniziano a sbriciolarsi sotto la pressione che la scoperta di determinati segreti comporta, prendendo una svolta molto più cupa rispetto ai temi generalmente affrontati dal franchise e culminando in un finale ambiguo, dove diventa chiaro che tutti combattono per ragioni che ai loro occhi risultano moralmente corrette, ma che messe sotto l’implacabile lente del raziocinio potrebbero rivelarsi forse le più egoiste. Si sente che è un gioco scritto per essere apprezzato da un pubblico adulto rispetto alla media ma non è privo di difetti: la conclusione cade nello stesso errore di Digimon Story: Cyber Sleuth e cozza con quanto esposto fino a quel momento, quasi gli sviluppatori non siano stati del tutto in grado di abbracciare la nuova direzione intrapresa dal predecessore. Il tono si affievolisce, avvicinandosi di più all’anime per bambini. Nel complesso tuttavia la trama funziona molto bene e spinge il giocatore a porsi delle domande su quello che è nei fatti un tema sempre più attuale – il rapporto fra la tecnologia e l’uomo, la sicurezza dell’informazione digitale e i pericoli che comporta un totale affidamento al virtuale. Ci sono stati dei miglioramenti anche dal punto di vista delle transizioni fra gli eventi fra due personaggi – meno brusche e prive dei riempitivi confusionari che caratterizzavano l’originale – e delle missioni secondarie, sempre bizzarre e incoerenti per alcuni versi ma in misura minore.

La trama vira verso uno scenario apocalittico che renderebbe orgogliosa Shin Megami Tensei

Il gameplay di Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory è sia un enorme vantaggio rispetto ai titoli precedenti sia una revisione un po’ disorientante di quegli stessi sistemi. Un gioco più maturo richiede un gameplay più maturo e lo sa bene Digimon Story: Cyber Sleuth, del quale questo nuovo capitolo eredita tutte le meccaniche. Ogni Digimon ha tre diverse classificazioni: tipologia, elemento e grado. Le tipologie si suddividono in Virus, Vaccin e Data, gestita secondo un sistema di triangolazione familiare a chi conosce la serie Fire Emblem; avere una tipologia favorevole rispetto all’avversario risulterà in un danno raddoppiato o addirittura triplicato, mentre nella situazione opposta la nostra forza d’attacco verrà dimezzata. Se a questo aggiungiamo l’elemento possiamo sperare in un 50% di danni in più mentre il grado fa riferimento a uno degli otto titoli generali che ci permettono di capire la forza specifica del Digimon in questione. Il combattimento si svolge secondo il classico sistema a turni, che ci vede mettere in campo un massimo di tre Digimon (possono diventare quattro se entra in gioco l’aiuto di un PNG non direttamente controllabile) scelti da un roster complessivo di undici che tuttavia è influenzato dalla memoria che questi Digimon occupano – ricordiamoci che sono pur sempre dati. Il nostro dispositivo ha uno spazio limitato (incrementabile grazie a degli oggetti) entro cui dobbiamo rientrare quando scegliamo quali e quante creature portare con noi. Naturalmente, più il Digimon sarà forte e più memoria occuperà: non sarebbe raro (specie all’inizio, dedicandoci eccessivamente all’allenamento) ritrovarci a poter portare con noi giusto i tre necessari alle lotte. È importante pensare a uno sviluppo graduale, senza precludersi fin da subito nessuna possibilità.

In qualsiasi momento si può passare dalla modalità Normale a quella Difficile dal menu principale. La prima non offre pressoché alcun livello di sfida, mentre il secondo caso si fa giusto un po’ impegnativo. Il problema in entrambi i casi sta però in un’intelligenza artificiale disastrosa e nelle battaglie contro i boss: questi ultimi possiedono statistiche arbitrariamente alte, anche quando non ci è concesso nulla di paragonabile a loro. Date queste statistiche, alcuni possono essere sconfitti soltanto grazie a mosse “penetranti” che specifici Digimon possiedono e se a questo ostacolo sommiamo il fatto che certi boss possono curarsi, capita di trovarsi davanti a una battaglia impossibile dopo pochi turni. A questo si somma la IA, che non essendo particolarmente brillante potrebbe prolungare l’agonia trascinando lo scontro per innumerevoli turni mentre noi non aspettiamo altro che essere eliminati in fretta. In generale sembra che il computer agisca senza alcun senso, evitando di approfittare dei Digimon con pochi punti vita o sfruttare eventuali debolezze, spesso compiendo azioni che non hanno alcuna attinenza con la situazione corrente. Il bilanciamento logico della difficoltà pecca anche in questo seguito, che avrebbe dovuto imparare la lezione dopo la performance del suo predecessore.

Al di fuori delle battaglie, la gestione dei Digimon è ancora una volta affidata al DigiLab: un sistema che fa un passo indietro rispetto alla più comoda gestione vista in Digimon Story, Digimon Story: Sunburst and Moonlight e Digimon Story Lost Evolution. Per quanto interessante come concept, la necessità di dover ogni volta raggiungerlo per poter organizzare i Digimon è piuttosto noiosa e nonostante gli sviluppatori abbiano disseminato il gioco di punti d’accesso, resta comunque un’ammenda parziale per un errore che non doveva essere commesso anzitutto. Gestito da Mikagura Mei, il DigiLab ci permette anche di guarire i Digimon, ripetere dungeon già affrontati e accedere alla DigiFarm, uno spazio virtuale dove far crescere i nostri mostriciattoli, che miglioreranno le loro statistiche, troveranno oggetti utili per noi o ancora meglio casi da risolvere dato un certo tempo – che diminuisce in base al numero di Digimon presenti nella singola delle tante isole che possono comporre la DigiFarm. Nel mondo reale possiamo spostarci in diverse zone attraverso il viaggio rapido una volta raggiunto il limite dell’area che stiamo esplorando; queste gite fuori dal cyberspazio, al di là degli aspetti di trama, ci servono giusto per comprare oggetti (ma possiamo farlo anche dentro Eden), comprare medaglie Digimon da vendere o passare il nostro tempo alla sala giochi cercando di diventare i Campioni del Colosseo. L’interno di Eden, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, pur essendo bello a vedersi è poco interattivo – che paradosso, siamo dentro una realtà virtuale! – e difficilmente i luoghi già visitati possono portare a qualche novità. Di tanto in tanto ci verrà fornita una password in merito alla quale interrogare determinati personaggi per avere l’informazione necessaria a progredire nella missione ma ancora una volta è un aspetto molto piatto, non divertente come forse sarebbe dovuto essere nelle intenzioni degli sviluppatori.

Dal punto di vista tecnico, il gioco dimostra gli stessi problemi dell’originale, evidenziando un lavoro carente in termini qualitativi che compromette in parte il debutto del franchise sulla console casalinga di Sony. La sensazione è che Media.Vision abbia di nuovo preso di peso il titolo da PlayStation Vita e, aggiungendoci un po’ di effetti di post produzione per migliorarne la resa complessiva su grande schermo, l’abbia portato su PlayStation 4, con un risultato piuttosto deludente. Modelli poligonali poco dettagliati, texture in bassa risoluzione e ambienti spogli sono le prove di una conversione raffazzonata, cui di nuovo si aggiunge la scomodità della telecamera fissa, detestabile dal punto di vista dell’esplorazione dei dungeon. Molto apprezzabile invece la colonna sonora a opera di Masafumi Takada, noto per le musiche della serie Danganronpa, che riprende le tracce precedenti aggiungendo però qualche nuovo elemento più orientato verso la techno, utile a dare quel tocco di originalità in più.

Conclusioni

Digimon Story: Cyber Sleuth – Hacker’s Memory è una copia carbone del predecessore, poco intenzionato però a migliorarne i difetti e povero di vere e proprie novità, oltre alla storia e all’aggiunta di alcuni Digimon. Nonostante un sistema di gioco potenzialmente coinvolgente, mancano quelle rifiniture necessarie per renderlo molto più scorrevole, e dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte a una realizzazione mediocre che ripercorre i passi di Digimon Story:Cyber Sleuth, tra le quali permane l’odiosa telecamera fissa.

È un gioco ricco di contenuti e divertente da giocare, come dicevamo, soprattutto per chi non è un appassionato dei Digimon, ma non toglie nulla anche a chi li ha seguiti per tutti questi anni. Peccato che gli sviluppatori si siano limitati per la maggior parte a fare una copia-incolla di quanto già visto nel 2015, a fronte di una storia interessante per la maturità con cui riesce a mettere in scena precisi temi.

Ci saremmo aspettati passi avanti, non indietro.

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