Volessimo delineare i contorni di Dishonored 2 con una parola, cercando di racchiudere in poche lettere quante più informazioni possibili sul tanto atteso sequel targato Bethesda e Arkane Studios, difficilmente potremmo trovare qualcosa di più indicato di “maturazione”. Sono già passati quattro anni dall’incipit delle avventure di Corvo Attano, l’ombra furibonda in cerca di vendetta e intrappolata in un universo steampunk dove meccanica e magia componevano le due facce di una stessa medaglia, quella di Dunwall, tanto minacciosa quanto meravigliosa: già quattro anni da un successo per certi versi inatteso per l’erede spirituale del vecchio Thief, coraggioso nel voler percorrere un sentiero più obliquo, nascosto, capace di stupire un mercato con un qualcosa la cui mancanza si faceva sentire da tempo ma, allo stesso tempo, estremamente rischioso e “di nicchia”. Lo stealth, del resto, è uno di quei generi che non perdona: serve costruzione narrativa di alto livello per tenere in piedi un’avventura appassionante dai titoli di testa a quelli di coda, ma anche un gameplay stratificato e vario, profondo, che fugga dalla banalità come la peste e, allo stesso tempo, metta nelle mani del giocatore così tante possibilità da trasformarlo in un autentico regista. Da permettergli, in estrema sintesi, di agire nell’ombra come meglio creda, obbligandolo solo quando strettamente necessario.
Dishonored, quattro anni fa, ci aveva dato un assaggio di tutto questo. Un assaggio significativo, invero, figlio di una dedizione totale del team di sviluppo nell’affinamento di un gameplay di indiscutibile caratura: non che fossero assenti difetti dalla ricetta originale di Arkane, questo è un dato di fatto, ma la brusca virata nel panorama della Prima Persona introdotta da Dishonored difficilmente avrebbe potuto esaurire la propria eco così, dopo un solo titolo. Una eco che, con Dishonored 2, risuona a volume ancora maggiore: perché c’è una differenza abissale tra “more of the same“, seppur fatto con ogni cura del caso, e “maturazione”. E l’impronta data dallo sviluppatore al level design e alle meccaniche di gameplay stealth, il totale assoggettamento alle scelte del giocatore, persino l’intrigante narrazione articolata su più piani paralleli, vanno tutte ad avvalorare una semplice testi: Dishonored 2 non è rivoluzione, ma evoluzione nella sua forma migliore. Una forma che, in termini di concept non si discosta poi molto dal primo capitolo, ma vanta una sostanza stupefacente e magistrale che, per chiunque abbia adorato il primo capitolo, si traduce in amore a prima vista. Se le nostre aspettative su Dishonored 2 erano alte, possiamo tranquillamente dirvi che, difficilmente, sarebbe potuta andare meglio di così.
Quindici anni sono passati dall’insediamento sul trono di Emily Kaldwin, la bambina imperatrice sopravvissuta all’omicidio della madre che tanto dolore costò a Dunwall – e a Corvo Attano – nel primo episodio. Un dolore di cui Corvo, ora Protettore Reale, è ancora memore, che lo spinge a vegliare sulla propria figlia giorno dopo giorno: ma proprio quando le cose sembrano andare finalmente nel verso giusto, con un regno avviato lungo il percorso della rifioritura senza più complotti, pestilenze o sordidi intrighi volti a destabilizzarne l’ordine, succede l’ennesimo imprevisto. Delilah, una strega che si professa sorella della precedente Imperatrice, usurpa il trono con un ingegnoso colpo di stato, gettando lugubri ombre sulle figure dei “regnanti” divenuti così dei bersagli in movimento. Tocca dunque scegliere quali dei due panni indossare, se quelli della giovane Emily o del navigato Corvo, per ritrovarsi di colpo braccati da guardie armate di tutto punto nel cuore di un’evasione da quella che una volta era casa nostra. Una corsa senza mai guardarsi indietro, che ci condurrà un’ultima fugace volta lungo le vie di Dunwall sino al molo dov’è attraccata la Dreadful Whale, destinazione Karnaca. E da lì ripartire, smantellare passo dopo passo l’ardita cospirazione e riportare, stavolta definitivamente, la pace.
La prima novità di questo nuovo Dishonored, ormai l’avrete capito, risiede nella selezione del personaggio: nell’epilogo del veloce capitolo introduttivo dovremo infatti scegliere chi dei due eroi controllare, una scelta irreversibile (a meno di non caricare una nuova partita) avente effetti in termini anche narrativi, oltre che di giocabilità. Da un punto di vista di sceneggiatura, è bene chiarire, le linee principali del plot di Dishonored 2 non subiranno modifiche così eclatanti: sarà necessario raggiungere Karnaka, il Gioiello del Sud, e erodere pian piano gli assi portanti della cospirazione di Delilah. Un’organizzazione tanto pericolosa quanto diabolica, che si affida ai prodigi tecnologici di uno scienziato folle capace di creare Meccanosoldati letali e instancabili, o agli appoggi politici interessati del Duca di Serkonos, non certo un caro amico per il legittimo casato reale. Una storia prevedibile soltanto all’apparenza, che al contrario si arrotola e si avvolge più volte in sé stessa dipanando di volta in volta segreti agghiaccianti, figure cruciali per la buona riuscita della missione, individui senza scrupoli aventi scopi ben precisi nei piani della pericolosa antagonista. Dishonored 2, se paragonato al proprio predecessore, offre una complessità narrativa inedita, a tratti quasi difficile da gestire vista la quantità di nozioni regalate al giocatore dai testi raccolti nel corso della partita: libri, giornali, ritagli di articolo, migliaia di linee di testo che tratteggiano, a volte illuminando solo parzialmente, un mistero mastodontico da cui è impossibile non restare ammaliati.
Karnaka è un capolavoro di level design.
Se è vero che parte di queste informazioni “corollarie” potranno cambiare a seconda del personaggio prescelto (che in virtù dei propri poteri, come vedremo a breve, potrà avere accesso ad aree differenti e, dunque, a collezionabili diversi), è tuttavia impossibile non restare inebriati di fronte all’ordito plot di Arkane, che nella cornice dell’avventura principale inserisce mille altre storie, alcune insignificanti, altre fini a sé stesse, altre che con inaspettati balzi logici si ricollegano alla nostra missione principale. Scoprirle tutte, soltanto alcune o anche nessuna è una decisione del giocatore, libero di assecondare la propria sete di esplorazione lungo l’estasiante Karnaka. Che di cose da scoprire, possibilmente lontano da occhi indiscreti, ne ha davvero parecchie.
Karnaka, inutile girarci attorno, è un capolavoro di level design. Una costante ode all’esplorazione, alla scoperta, all’infiltrarsi all’interno delle numerose architetture accessibili per investigare, curiosare alla ricerca di qualsiasi cosa possa tornare utile ai nostri scopi. Dalle fiale per il ripristino l’energia a quelle per rimpolpare le scorte di potere dell’Esterno, dalla ricerca di indizi “narrativi” dietro l’apparente strapotere di Delilah all’abbattimento dei nidi delle Mosche del Sangue che, proprio come la Peste di Dunwall, infettano la popolazione sfruttandone i cadaveri: queste sono solo una frazione della totalità di attività disponibili in Dishonored 2, che non mette freno alcuno alla volontà del giocatore lasciandolo del tutto libero di agire nel modo che più predilige – al netto di una struttura sequenziale delle missioni principali, ovviamente inalterabile, che parte sempre dalla Dreadful Whale come hub di riferimento. Potremo partire alla volta del mercato nero più vicino per far incetta di pozioni, mine o dardi, recuperare deviatori di corrente o chiavi speciali che aprano percorsi alternativi lontani da occhi indiscreti: oppure equipaggiare il Cuore alla ricerca di Rune e Amuleti d’Osso, optando per una strategia più oculata che preveda un maggior sviluppo del personaggio. Tra perk e poteri dell’Esterno potenziabili, Dishonored 2 offre un rinnovato meccanismo di crescita del personaggio, che permette di variare maggiormente il modus operandi di ciascuna missione assecondando la condotta di gioco di chi stringe il pad tra le mani: l’enfasi, inutile ripeterlo, è l’ombra più assoluta. Ma nessuno vi vieterà di fare il contrario.
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C’è coraggio nella scelta di Arkane Studios: coraggio, ma anche l’esperienza maturata nel corso del precedente capitolo. E proprio come quest’ultimo, per apprezzare al massimo Dishonored 2 sarà necessario scendere a compromessi con la fretta, con la velocità, con quell’impulso veemente di abbattere ogni possibile forma di resistenza sino a sradicare anche l’ultimo ostacolo prima della definitiva vittoria. Il titolo Bethesda non grida al giocatore, ma sussurra leggero al suo orecchio sobillandone la curiosità, spingendolo a sperimentare, toccandolo quasi nell’orgoglio sino a fargli trovare la via più indicata per raggiungere il proprio bersaglio senza aver fatto cadere una sola goccia di sangue, o addirittura senza allertare anima viva. Un percorso tutto tranne che facile, che garantisce però l’accesso ad un macrocosmo brulicante del tutto privo di linearità e vincoli: il tutto impreziosito dal folklore di Karnaka, dalla sua frenetica mitologia, da quel dualismo magico-tecnologico lampante contro cui, in talune circostanze, sembra impossibile non scontrarsi.
Dei due personaggi disponibili, Corvo Attano rappresenta la scelta più tradizionalista. I poteri in suo possesso, ereditati al netto di qualche leggera modifica dal capitolo precedente, si prestano alla perfezione alla condotta di gioco più stealth: l’immancabile Traslazione rende possibile eludere gli sguardi di gruppetti di soldati, teletrasportandoci senza essere visti dietro le loro spalle, mentre Distorsione permette di rallentare il normale corso del tempo, cercando di guadagnare strategicamente una posizione migliore. Torna Visione Oscura, fondamentale (una volta potenziata a dovere) per identificare la posizione e il cono visivo dei nemici alle nostre calcagna, o l’utilissima Possessione, grazie alla quale prendere il controllo mentale di piccoli roditori o cadaveri freschi di esecuzione, sino al controllo mentale (se expata al massimo) di un qualsivoglia nemico. Un set di poteri dell’Esterno, usabili singolarmente o anche “accoppiati” per massimizzare il profitto, che permettono a Corvo di perpetuare quel suo status di Spettro a cui quattro anni or sono ci eravamo abituati: una via, quella del silenzio, che non andrà ad aumentare il famigerato Caos del mondo che ci circonda, accompagnandoci ad un finale più positivo e ottimista di quanto otterremmo seminando morte e distruzione. Sia chiaro che lo spargimento di sangue rappresenta comunque un’alternativa nelle corde del Protettore del Regno, che potrà potenziare fendenti o abilità balistiche, ricorrere a diversi tipi di mina o altri letali ammennicoli, oltre a sfruttare branchi di ratti o di insetti per dissanguare sventurati nemici.
Non esiste alcuna ragione al mondo per cui lasciarsi scappare Dishonored 2
Ma l’evoluzione, e forse è anche il caso di dire la sperimentazione, di Dishonored 2 appare palese nella figura di Emily, una new entry che convince da subito per carisma e per skill. Proiezione, Visione Oscura e Ipnosi ricalcano da vicino le controparti in possesso di Corvo, fornendo alla protagonista le basi per muoversi indisturbata negli scenari di Karnaka. Il bello arriva con Domino, che le permette di collegare due o più bersagli umani ravvicinati rendendo le loro vite collegate da un sottile filo, o con Clone d’Ombra, grazie a cui creare una versione alternativa di sé stessa verso cui attrarre le attenzioni nemiche. Si tratta di tecniche più coreografiche di quelle a cui siamo abituati, che strizzano l’occhio all’eliminazione, per quanto silenziosa: l’ennesima dimostrazione del coraggio dello sviluppatore, che non retrocede di un solo passo nella propria volontà di lasciare carta bianca a chi gioca – al punto da permettere di rifiutare, nei panni di Emily, gli stessi poteri dell’Esterno. Inutile dire che, vi sentiate di colpo così coraggiosi, la strada di fronte a voi sarà decisamente più difficile del previsto: specie se i vostri scopi non includano l’eliminazione di alcun obiettivo, quanto piuttosto la loro neutralizzazione alternativa.
Il limite maggiore di Dishonored 2, tuttavia, è proprio nella sua apertura all’approccio distruttivo. La mescolanza perfetta di meccaniche ludiche e level design in un contesto stealth viene stravolta in modo evidente, e decisamente meno funzionale, quando il giocatore decida di correre armi in vista, aprendosi il percorso a suon di fendenti ed esecuzioni. Le animazioni dei nostri avversari, seppur ammodernate, appaiono datate e legnose, mostrando un fianco offensivo meno convincente di quanto avremmo auspicato. I pattern di attacco nemici sono prevedibili, a tratti basilari, e vengono resi ulteriormente elementari da un’intelligenza artificiale che in troppe circostanze pecca di generosità permettendo al nostro alter ego di sfuggire all’altrui contatto visivo semplicemente “alzandosi” dal suolo: come se nascondersi sopra una colonna di un paio di metri fosse sufficiente a renderci invisibili. La frenesia e la violenza non si sposano come dovrebbero con il leit motiv di Arkane Studios: sono alternative disponibili e a tratti sicuramente efficaci, ma il loro apporto nell’intera economia di gioco è pochissima cosa se paragonata a quanto la pianificazione e la strategia sanno regalare. Ognuno è libero di affrontare Dalilah e annesso esercito nel modo che ritiene più adatto alle proprie capacità: ma, e lo ribadiamo per l’ultima volta, ridurre volontariamente l’intera esperienza ludica di Dishonored ad un frettoloso “FPS ad armi bianche e non” condito da un paio di magie di sicuro effetto scenico, sarebbe il torto peggiore che potreste rivolgere a Corvo e Emily.
Chiudiamo, e stavolta definitivamente, con l’immancabile appunto tecnologico. Il Void Engine, rivisitazione di casa Arkane del leggendario IDTech, si dimostra motore robusto ed affidabile, capace di regalare scorci ispiratissimi e un livello di dettaglio assolutamente insindacabile. Ottima la gestione della luminosità, che regala al quadro di Dishonored 2 una patina a metà strada tra il dipinto ad acquerello e il più classico cel shading: Karnaka è luminosa, viva, pulsante, va a segnare un solco evidente con l’oppressione e il grigiore che aveva contraddistinto il nostro operato lungo le strade di Dunwall. Ottima anche la realizzazione degli interni, dove il lavoro del team di sviluppo denota un know how non certo trascurabile e un’attenzione complessiva certosina. Per quanto riguarda la modellizzazione dei personaggi, abbiamo riscontrato una buona varietà delle forze in nostra contrapposizione, nonostante il riutilizzo dei modelli, specie per le guardie semplici, sia a tratti evidente: nemici, comprimari e bersagli godono di una carica poligonale soddisfacente, che pur senza far gridare al miracolo (situazione condivisa anche dal parco animazioni, come fatto notare al paragrafo precedente) viene abilmente mascherata da una direzione artistica sontuosa e sui generis. Karnaka, insomma, convince e stupisce, lasciando a bocca aperta da qualsiasi parte la si guardi: non sarà il top di gamma a disposizione di PS4 (e PS4 Pro, dove abbiamo condotto la seconda metà delle nostre quasi 20 ore di playthrough per ciascun personaggio), ma c’è così tanta carne sul braciere di Dishonored 2 da poterci ritenere comunque abbondantemente soddisfatti.
Se avete amato Dishonored, non esiste alcuna ragione al mondo per cui lasciarsi scappare Dishonored 2. Un’affermazione scontata, probabilmente, ma che secondo noi sottolinea ancora una volta quanto l’ultima opera di Arkane Studios rappresenti un’ode all’avventura, alla sperimentazione e al coraggio di percorrere un sentiero poco battuto, ricco di insidie e pericoli. L’avventura di Corvo e Emily gode di una complessità, tanto narrativa quanto in termini di giocabilità, del tutto inedita: profondo e coinvolgente, Dishonored 2 si affida anima e corpo al giocatore, assecondandone i gusti, le predilezioni, gli stilemi di gioco (siano essi stealth o schiettamente combat) che più sente propri. Non c’è vincolo, imposizione o forzatura nel lungo viaggio verso la liberazione di Dunwall: l’esplorazione è totale, oltre che suggerita, le cose da fare sono moltissime, le possibilità di raggiungere il proprio obiettivo ancora di più. Così tante da farci addirittura decidere se valga la pena eliminare definitivamente il marcio dalla città, oppure lasciarlo vivo, ma inoffensivo. Dishonored 2 rappresenta qualcosa di unico nel panorama dello stealth: magnetico e mesmerizzante, apre di fronte agli occhi del giocatore le porte di un universo vivo ed enorme, che rifugge dalla linearità e permette di liberare la propria creatività. La veicola con i poteri dell’Esterno, utili per muoversi nell’Ombra impedendo al regno un triste epilogo per mano del Caos, ma allo stesso tempo la esalta con gadget, armi e soluzioni brillanti capaci di far precipitare l’equilibrio nell’arco di un istante. Duole in parte dover ammettere che è proprio in questi frangenti che Dishonored 2 mostra parte del proprio fianco, dimostrando una natura intrinseca più affine al vecchio Thief che ad un combat in prima persona: nessuno vi vieterà di ammazzare anche l’ultimo topo cammini nei marciapiedi di Karnaka, ma sappiate già da ora che si tratta della scelta peggiore che potrete fare una volta avviata la partita. Una scelta che non rende onore ad una perla di design di cui, in questa generazione, si sentiva davvero il bisogno. |