Pochi avrebbero scommesso sul possibile ritorno in auge dei gloriosi sparatutto vecchio stile.
I giocatori più superficiali avrebbero probabilmente liquidato l’esperienza senza neanche provarla, troppo lontana da i canoni che anni e anni di Call Of Duty, Battlefield e Halo hanno infine imposto al genere; privi di una trama sensazionalistica, di sequenze hollywoodiane, di combattimenti realistici. Privi, insomma, di ciò che rende un videogioco tale.
Quanto si sarebbero sbagliati.
Il sentore lo abbiamo avuto nel 2014, quando Bethesda e MachineGames pubblicarono Wolfenstein: The New Order (seguito dall’ottima espansione The Old Blood), reboot dello storico shooter di Carmack e Romero, il quale fu un assoluto trionfo di pubblico e critica, instillando la precoce sensazione che gli shooter anni 90’ avessero ancora tanto da dire. Impossibile infatti paragonare certi titoli agli sparatutto moderni, la cui canonizzazione ha finito per renderli tutti spaventosamente simili tra loro: Wolfenstein, così come Unreal, Quake o Duke Nukem, portano l’esperienza ludica su un altro esaltante livello, un livello pregno di sangue e violenza, di parolacce e di armi esagerate, un livello che i videogiocatori più grandicelli non esiterebbero a definire “pura estasi digitale”.
Perché fermarsi proprio sul più bello quindi? Devono averlo pensato sul serio negli studi di Bethesda, perché ora, a due anni di distanza da The New Order, stringiamo tra le mani una copia di DOOM, nuovo reboot della saga nata nel 1993 e firmata id Software che estremizza e ridefinisce il concetto stesso di arena-shooter, con un’avvincente campagna single-player ed una scatenata modalità multigiocatore pregna di novità.
Pronti a tornare negli inferi?
Ogni videogioco che si rispetti deve iniziare con una buona trama o quantomeno un input narrativo che centri l’obiettivo, spingendoci a prendere il joypad in mano ed iniziare l’avventura. Ed è questo forse uno dei pochi punti deboli di DOOM, che sacrifica tutto, persino la trama, a favore di un solidissimo gameplay. La campagna è ambientata su Marte, dove la razza umana ha ormai da anni le proprie colonie ed i propri centri di raccolta di energia Argent, una fonte apparentemente inesauribile di potere, estratta dalle profondità del pianeta. La scoperta di simboli arcaici artificiali nei meandri oscuri del pianeta, spinge gli scienziati del centro di ricerca ad indagare, fino a scoprire che esiste un varco dimensionale tra gli inferi ed il pianeta rosso. Inutile cercare di resistere alle lusinghe del diavolo, che in breve tempo assoggetta al proprio volere Olivia Pierce, la dottoressa a capo del progetto Lazarus, costringendola ad aprire una frattura tra i mondi, permettendo l’invasione delle forze del male. Unico compito del nostro eroe, il celebre e silenzioso “Doom Guy” risvegliatosi su una sorta di altare sacrificale, è quello di ricacciare indietro la feccia demoniaca, a suon di proiettili.
Non ci sorprende quindi che i toni leggeri della narrazione abbiano in realtà una funzione duplice: la prima, come dicevamo, è quella di favorire un sistema di gioco eccellente, che reincarna alla perfezione gli albori di un genere amatissimo; la seconda è permettere al franchise di decollare per la seconda volta, dando la possibilità a questo reboot di ripartire da zero.
Fin dai primi istanti infatti, si percepisce a cosa si va incontro. In DOOM vengono eliminati tutti i momenti di immobilismo, sostituiti da un’esaltante quanto appagante danza della morte. Le orde di demoni, imp e posseduti sono numerose, affamate e spietate: avere un attimo di esitazione equivale quasi sempre a vedersi fatto a pezzettini nei modi più atroci. Non è un caso infatti che manchi la ricarica per le armi o che la velocità del protagonista sia leggermente superiore rispetto alla media degli sparatutto odierni.
In DOOM vengono eliminati tutti i momenti di immobilismo, sostituiti da un’esaltante quanto appagante danza della morte
Nel corso della sua avventura, il nostro eroe troverà un numero di armi impressionante, ognuna delle quali dotata di una modalità di fuoco secondaria e personalizzabile a seconda delle esigenze. Il fucile a pompa, ad esempio, può essere arricchito con un lanciagranate, la mitragliatrice con un’ottica migliorata, mentre il lanciarazzi gode di un sistema di puntamento a ricerca. Senza dimenticare la motosega, storico marchio di fabbrica della saga, che torna prepotentemente in questo reboot: ruvida, metallica e implacabile, questa meraviglia a benzina è capace di squartare istantaneamente quasi tutti i nemici del gioco (con un’esecuzione sanguinaria ai limiti del sopportabile), a patto di avere carburante sufficiente.
Ogni livello è nient’altro che una vasta area perlustrabile, traboccante di segreti da scoprire, nemici da abbattere e porte da aprire. Chi ha giocato all’originale senz’altro ricorderà che il back-tracking era una componente importante, quasi essenziale ai fini del totale completamento dell’avventura; cosa che fortunatamente non manca in questo nuovo DOOM, la cui esplorabilità e sfrenata ricerca di tutti i collezionabili sono parte integrante dell’esperienza.
Il raffinato gameplay di DOOM (supportato da 60fps granitici anche su console) basa la sua essenza sull’abilità del giocatore, sui suoi riflessi nello schivare questo o quell’attacco, sulla personale capacità di analizzare l’ambiente e trarne i dovuti benefici anche quando si è in palese inferiorità numerica.
L’unica chiave per la vittoria è non smettere mai di muoversi. Il ritmo di gioco è serratissimo, la verticalità degli ambienti spinge il protagonista a lanciarsi in spettacolari acrobazie, mentre l’aggiunta delle uccisioni epiche si incastra perfettamente nel sistema di combattimento. Indebolendo a sufficienza il nemico infatti, incomincerà a lampeggiare di arancione, permettendo di eseguire una delle tante esecuzioni che il team di sviluppo ha ideato. Oltre all’incredibile senso di soddisfazione, le esecuzioni lasciano un numero maggiore di munizioni o energia vitale, molto utili soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati.
Salute, Corazza e Munizioni sono i tre valori che possono esser migliorati attraverso l’utilizzo di energia Argent, che si trova in piccoli contenitori sparsi qua e là nella mappa. Considerando che energia vitale e armatura non si rigenerano come nella maggior parte dei titoli concorrenti, il loro recupero consente di migliorare sensibilmente gli attributi del nostro alter-ego, aumentando le chance di sopravvivenza. Fanno la loro comparsa anche le Rune, pietre magiche di origine sovrannaturale che possono essere sbloccate grazie al completamento di una specifica sfida a tempo. Una volta superata, la runa si attiverà e potrà essere equipaggiata, garantendo un bonus passivo. Questo sistema di miglioramento non è pensato per essere uno sbrigativo stratagemma per dare apparente profondità allo stile di gioco chiaramente old-school, ma è anzi il tocco strategico che mancava alla serie; fondamentale non solo per affrontare sfide via via sempre più estreme, ma anche per personalizzare il proprio approccio in base al livello di difficoltà selezionato.
Come le armi, anche l’armatura del Doom Guy può essere modificata con dei token che possono essere raccolti dai cadaveri dei soldati disseminati per la base marziana. Il loro impiego può consentire al giocatore di resistere maggiormente ai danni esplosivi, di aumentare il raggio d’ispezione della mappa o persino di velocizzare alcuni movimenti, come il cambio arma o l’arrampicata. Senza parlare della miriade di segreti extra e collezionabili che infarciscono ogni livello del gioco, alcuni addirittura in grado di sbloccare sezioni dei livelli originali del 1993.
DOOM non è mai un’esperienza statica, ma è una continua e furente evoluzione, dentro e fuori l’arena di combattimento, motivo per cui difficilmente vi stancherete di tenerlo nella console dopo aver terminato la campagna principale. La longevità del titolo è inoltre sostenuta da una compagine multiplayer assolutamente all’altezza del nome che porta sulla copertina. Come vi abbiamo anticipato nella nostra anteprima sulla beta uscita pochi mesi fa, l’incredibile feeling e il velocissimo combat system del single-player arrivano inalterati anche nei match online. Quanto più distante possa essere da un Battlefield o un Titanfall, DOOM per molti versi si avvicina molto di più ai vari Quake e Unreal, ma allo stesso tempo riesce ad essere una soddisfacente via di mezzo per chi si avvicina al genere per la prima volta (certo, le prime partite saranno sempre bastonate sui denti, ndr).
Non prendiamoci in giro: giocare al multiplayer di DOOM richiede bravura, tempismo e precisione
Le mappe sono piccole, strette, a volte volutamente claustrofobiche, ma ricche di passaggi secondari e piattaforme che offrono spunti di ben accolta verticalità. Peccato che non siano caratterizzate bene quanto il resto del gioco, soffrendo forse la poca varietà di ambientazioni che affligge anche il single-player. Dopo essersi fatti un po’ di gavetta, si avrà abbastanza esperienza da poter personalizzare il proprio equipaggiamento, composto sempre e solo da due armi e un tipo di granata (alcuni dei quali esclusivi del multiplayer): questo fattore risulterà importantissimo ai fini tattici del gioco, in quanto pur godendo di un vasto repertorio di macchine di morte, in DOOM ogni singola arma ha una funzione ed una potenza specifica.
L’assenza di un radar per gli avversari e di posti relativamente sicuri dove riprendere fiato, costringe ogni giocatore ad essere in continuo movimento, nella speranza di potenziare l’armatura grazie ai numerosi power-up disseminati in giro ed uscire vincenti dal prossimo inesorabile scontro. In esperienze del genere la fortuna purtroppo conta poco: giocare al multiplayer di DOOM richiede bravura, tempismo e precisione. L’utilizzo del doppio salto è prassi obbligatoria per schivare buona parte dei colpi ricevuti e la mancanza dell’iron-sight, che nei primi momenti disorienterà buona parte dei giocatori, di fatto costringe ad essere ancora più accurati. Ma id non ha fatto le cose a caso e ci viene incontro con una serie di aggiunte che rendono il nostro viaggio nella modalità multigiocatore più godibile. Dopo ogni partita, in base ai propri meriti, verranno sbloccati una serie di consumabili che se usati, daranno momentanei vantaggi, come il raddoppio degli XP, munizioni infinite, la possibilità di vedere i compagni attraverso i muri e così via.
Inoltre, in molte delle mappe disponibili sono presenti armi segrete dal potere devastante o perks che rendono invisibili o quadruplicano il danno delle armi. Una delle introduzioni più riuscite è senza dubbio la Runa Demoniaca che se raccolta, consente al giocatore di trasformarsi in un demone, seminando panico e morte tra i membri della fazione avversaria. Nel caso il posseduto dovesse soccombere prima dell’esaurimento della Runa, il suo assassino ne prenderà il posto. Detto questo però, il bilanciamento ci è sembrato ancora un po’ sofferente, figlio anche di un matchmaking non sempre all’altezza, che spesso mescola le squadre senza un criterio affidabile.
Tante sono le modalità disponibili, tra cui su tutte regna il classico Deathmatch, seguito dall’altrettanto classica Dominazione e da Zona Di Guerra, che abbiamo potuto ammirare anche nella beta. Meno galvanizzanti ci sono sembrate le modalità inedite, come Congelamento, durante la quale i giocatori vengono congelati invece che uccisi e solo i compagni di squadra possono riabilitarli al combattimento, scongelandoli. Purtroppo, data l’elevata frenesia di gioco, anche fermarsi pochi istanti per aiutare un compagno potrebbe significare la morte; spesso quindi si assiste impotenti a match in cui i pochi sopravvissuti pensano esclusivamente ad eliminare gli oppositori, invece che aiutare chi è fermo in un blocco di ghiaccio. La personalizzazione del proprio alter-ego è un altro punto su cui la software house produttrice ha puntato molto. Ogni pezzo della corazza può essere modificato a seconda del set che si preferisce (e ce ne sono davvero tantissimi), cambiando finanche colore primario, secondario ed usura dei componenti. Stesso discorso per le armi, che possono essere personalizzate con varie colorazioni e motivi fantasiosi per creare opere più uniche che rare.
Il nuovo DOOM è inoltre il primo esponente della saga a presentare SnapMap, un’inedita modalità di creazione e condivisione di mappe originali. Attraverso il menù principale, sarà infatti possibile creare dal nulla interi livelli, con tanto di dettagli aggiuntivi, nemici (i cui valori di vita e resistenza possono essere singolarmente modificati), barili esplosivi e sfide da completare seguendo solamente la propria fantasia.
Il nuovo DOOM è il primo esponente della saga a presentare SnapMap, un’inedita modalità di creazione e condivisione di mappe originali
Al di là delle enormi potenzialità che uno strumento così all’avanguardia possiede, SnapMap non è così intuitivo come volevano farci credere nella presentazione dello scorso E3: i tutorial sono moltissimi ed ognuno di essi va seguito con attenzione, poiché perdere anche un solo passaggio equivale ad ignorare fattori spesso determinanti ed anche se si presta il massimo impegno, può capitare di perdersi tra le tante nozioni imparate. Fortunatamente ci si può godere le mappe della comunità anche da semplice giocatore, selezionando le migliori tra le tante già pubblicate.
Se si vuole godere delle meraviglie che offre l’id Tech 6, inutile soprassedere: la piattaforma migliore è un PC di fascia alta. Le versioni Playstation 4 ed Xbox One sono comunque godibilissime e senz’altro ottimizzate nel migliore dei modi, contando che il gioco si attesta sempre su valori di 60fps, anche in ambienti vasti e ricolmi di modelli in movimento. Ma in molti casi è possibile notare rallentamenti nel caricamento delle textures (soprattutto al primo avvio), tempi di attesa esagerati ed una generale povertà estetica nei dettagli più comuni. In compenso, gli episodi di tearing che avevamo lamentato nella closed-beta sono fortunatamente scomparsi con il download della prima patch disponibile, il che rende l’esperienza generale ancor più galvanizzante.
Il doppiaggio in italiano si attesta su buoni livelli (inarrivabile quello originale), ma il vero fiore all’occhiello è la colonna sonora, composta solo da musiche originali di un Mick Gordon in forma smagliante. I brani sono incalzanti, rudi e potenti, con alcuni riff presi in prestito dal passato e riadattati, semplicemente perfetti per uno sparatutto del genere.
Noi ve lo diciamo: Se DOOM dovesse essere un Cadillac pronta a partire, le composizioni di Gordon sarebbero la benzina nel serbatoio.
Insomma, sembra proprio che Bethesda ce l’abbia fatta un’altra volta. Dopo il ritorno in grande stile di Wolfenstein, anche id Software ci mette il suo e pubblica quel DOOM che i fan stavano aspettando da tanto, troppo tempo. Un vero e proprio ritorno alle origini, ignorando il mezzo passo falso del terzo capitolo e andando spudoratamente contro la corrente in cui navigano gli shooter moderni. DOOM è un balletto brutale di sangue e violenza, un’iniezione continua di adrenalina che tra un combattimento e l’altro strizza l’occhio ai più nostalgici con citazioni da manuale, easter-egg ed un caotico gameplay che più anni ’90 non si può. Con questo reboot, id punta dritto al cuore pulsante dei videogiocatori, alla pura voglia di divertirsi e di sfogarsi, in barba a trame ben orchestrate o a dialoghi ricolmi di pathos. DOOM non tenta neanche di avvicinarsi ai canoni hollywoodiani rispecchiati dai videogiochi più moderni, anzi, rinnega con forza questa deriva e se ne fa scherno con sequenze ai limiti del paradossale. Grazie ad una campagna single-player della durata di circa 15 ore ed un comparto online che regala non poche soddisfazioni, DOOM si impone senza troppa fatica come esponente tutto nuovo dei first person shooter, nonostante i suoi punti di forza rispecchino uno stile vecchio di 20 anni. Al di là di qualche incertezza tecnica e di una progressione a volte troppo lineare, DOOM è uno dei più graditi ritorni di questo 2016, fulgido araldo di una categoria videoludica che non smetterà mai di sorprendere ed incantare intere generazioni. |