Editoriale 26 Giu 2024

Dragon Age: The Veilguard e la polemica che non esiste – Editoriale

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Chi vive di polemica, un giorno scoppierà

Di questi tempi, che tu sia un publisher, uno sviluppatore o un semplice giocatore, non è per niente facile sfuggire alla polemica videoludica. Se ne è resa conto piuttosto bene BioWare, un tempo amatissima software house reduce da qualche passo falso di troppo e attesa al varco alla sua presentazione di Dragon Age: The Veilguard, avvenuta nelle scorse settimane in occasione degli ormai consueti showcase di inizio giugno.

Una presentazione che si è fatta decisamente attendere, considerando come il primissimo annuncio di un quarto capitolo di Dragon Age risalga addirittura al 2018, durante (ovviamente) la cerimonia del The Game Awards. Palcoscenico perfetto per questo tipo di annuncio: a quattro anni di distanza dalla release di Dragon Age Inquisition, terzo capitolo della serie, che aveva concluso il suo ciclo di contenuti nel 2015, c’era sicuramente grande attesa per il ritorno di un franchise che sembrava essersi rimesso in carreggiata dopo gli inciampi di Dragon Age 2.

Dragon Age 2, un titolo che ho amato, ma che è una macchia sul pedigree di BioWare

Da quel momento però sono passati tanti anni, in cui il team è riuscito nell’impresa di partorire un fallimento di dimensioni cosmiche (Anthem), tenuti in piedi con il nastro carta un paio d’anni prima dell’inevitabile chiusura, e al tempo stesso non fornire neanche un’oncia di informazioni in merito alla propria saga RPG, riemersa negli ultimi 2-3 anni per fornire qualche hint sull’universo di gioco, ufficializzare il titolo (poi cambiato all’ultimo) e infine svelarsi ufficialmente nella sua forma definitiva senza aver mai mostrato al pubblico il becco di uno screenshot.

Non la migliore delle partenze per Dragon Age: The Veilguard, siamo d’accordo, ma per fortuna e purtroppo ogni progetto ha il sacrosanto diritto di essere giudicato e valutato per quello che è nel momento in cui si presenta. E il momento è stato scelto in modo piuttosto peculiare, piazzandosi all’interno di un entusiasmante Xbox Games Showcase per fare “l’annuncio dell’annuncio”, ovvero mostrare un trailer CG che introduceva i personaggi e rimandava a un “vero” reveal gameplay che sarebbe avvenuto da lì a pochi giorni.

Potrebbe essere un hero shooter?

Apriti cielo: il primo teaser mostrava colori accesi, personaggi stilisticamente molto più ricercati rispetto al consueto e un’atmosfera (tra ritmo e accompagnamento musicale) molto vicina a quella di una produzione dedicata al multiplayer online. Tanti personaggi diversi, che spaziavano in una vasta gamma di fenotipi, età e razze del mondo di gioco, destinati ognuno a spuntare una specifica casella per coprire il maggior numero di opzioni e gusti possibile.

In poche parole, tutto “politicamente corretto” secondo qualcuno (che tutt’ora commenta in modo aggressivo il video uscito il 9 giugno), e quindi meritevole di disprezzo e sabotaggio in quanto ennesima prova dell’esistenza di una lobby che dietro le quinte sta tentando di riempire il videogioco di “frociaggine” (non me ne voglia Papa Francesco).

Un esempio di trailer morigerato e assolutamente non sopra le righe.

Eppure, storicamente, la serie Dragon Age si è sempre presentata con dei trailer sopra le righe, decisamente meno in linea con il mood del gioco e intenti maggiormente a cavalcare la percezione comune del genere, sia per scene mostrate che per accompagnamento musicale. Che è un po’ quanto fatto anche oggi, in un mondo in cui i giocatori sono sempre di più e si affacciano al genere RPG senza necessariamente essere figli di D&D e dell’Epic Metal.

In ogni caso, la prova del nove sarebbe stata due giorni dopo, durante l’esclusivo gameplay reveal trasmesso sui canali ufficiali di Electronic Arts. Che dire? Si è trattato di una dimostrazione di circa 20 minuti in cui abbiamo potuto seguire un po’ di storia, di combattimenti e iniziare a farci un’idea delle interazioni tra i personaggi in Dragon Age: The Veilguard.

Varric è sempre una certezza

La scia critica che ci ha portato dal teaser al reveal però ha creato un velo di pessimismo e di rassegnazione che ha impedito di serenamente quanto visto, portando tantissimi giocatori a farsi domande su “come sarebbe dovuto essere” e denunciando un dietrofront per quello che era l’intento della serie.

“Graficamente è deludente”
“Il gameplay è troppo semplice”
“Dov’è finito il Dreadwolf?”
“Dopo tutti questi anni di attesa ora fan morire Solas nella intro?”
“Hanno cambiato tutto all’ultimo!”

Andiamo con ordine, cominciando con il ricordare che il reveal, sia trailer che gameplay, di Dragon Age: The Veilguard ha convinto appieno David Gaider, lo storico lead writer della serie, che ha voluto commentare punto per punto ciò che ha visto. Non starò a riportare tutto, trovate i suoi commenti riassunti in questo articolo. Nel momento in cui lo stesso “papà” del mondo di Dragon Age approva il nuovo corso, ci sarebbe veramente poco da discutere, ma proviamo a venirne a capo.

Anni luce avanti alla resa dei precedenti capitoli

Non è semplice sentir parlare di gioco deludente a livello di impatto visivo quando per la prima volta nella serie vediamo il team di Bioware trasformare la regia di cutscene e transizioni, originariamente sempre molto rigide e vincolate al posizionamento dei personaggi pre-dialogo (molto da PC vecchio stampo), offrendo una resa finale molto più in linea con le avventure narrative moderne di stampo cinematografico. Si tratta di un balzo non indifferente, che ha sicuramente richiesto al team un grosso dispendio di risorse.

La cura per il dettaglio è poi sorprendente, andando a spingere in modo piuttosto corposo nella realizzazione degli interni e offrendo anche all’aperto un grado di fedeltà davvero insolito per la serie, che solitamente pur riuscendo a brillare in tante situazioni (comunque a BioWare non sono mai stati gli ultimi arrivati) era costretta a ricorrere a diversi compromessi per tenere in piedi un comparto visivo discretamente pesante. I grab presi da un video compresso su Youtube non aiutano a capire il lavoro svolto, ma rendono l’idea del perché lo stesso Gaider sia letteralmente entusiasta di come sia stato rappresentato il mondo da lui creato.

Esattamente, il problema dove si pone?

Per quel che concerne la semplicità del gameplay, è comprensibile avere qualche riserva in merito a quanto mostrato: negli anni siamo diventati giocatori sempre più smaliziati, capaci di improvvisare e adattarci, affrontando titoli che fin da subito offrono numerose opportunità di sperimentare. In questo caso è molto probabile che i grossi limiti nella dimostrazione delle skill e delle combinazioni con gli altri personaggi fossero legati a precisi vincoli legati alla trama, accennata nel prologo iniziale.

Non è così semplice far vedere sezioni avanzate senza far spuntare altre domande in merito alla presenza o assenza di un membro del gruppo, soprattutto se dovessimo immaginare che uno o più personaggi possano avere la peggio (uno su tutti, potenzialmente, Varric). E no, i cambi dell’ultimo minuto non c’entrano: Dragon Age: The Veilguard, al tempo Dragon Age: Dreadwolf, ha infatti raggiunto una versione completa e giocabile dall’inizio alla fine ormai due anni fa. Difficile pensare che anziché preoccuparsi di rifinire e migliorare il titolo, il team abbia fatti chissà quale virata per cambiare tutto in corsa e rischiare il disastro.

Anche l’idea che guardando gli ultimi istanti della demo sia cambiata la direzione della trama è piuttosto curiosa: il passaggio da Dreadwolf a The Veilguard non va comunque a spostare la bussola, in quanto Solas (il Fen’Harel, il “lupo terrificante” appunto) ha comunque tutt’ora come obiettivo l’abbattimento del velo che separa il mondo del Thedas dall’Oblio, e lo scopo del giocatore (vedremo con quale grado di successo) è proprio quello di evitarlo.

Anche lato villain è percepibile un po’ di smarrimento all’idea che Solas possa finire il suo percorso “prima del previsto” per cedere il passo a dei nuovi villain apparsi in corso d’opera, come le due figure che appaiono proprio nella parte finale della dimostrazione. Peccato che i due fantomatici demoni siano stati pensati fin dall’inizio della stesura del progetto, come dimostra la loro presenza in uno dei primi teaser, quando ancora il gioco era conosciuto semplicemente come “quarto capitolo della serie Dragon Age”.

In sostanza, possiamo assolutamente concordare su come la presentazione, nelle sue varie fasi, non sia stata pensata prendendo in considerazione il fervore di un pubblico sempre più “difficile” quando si tratta di analizzare le produzioni di grossi nomi del settore, siano questi sviluppatori o franchise, e magari un po’ più di malizia nel gestire il gameplay reveal poteva essere spesa per evitare di dare l’impressione di un titolo che (almeno nel prologo) non brilli troppo per design e progressione.

Tutto il resto però è pretestuoso, dalle accuse di cambiamento alla condanna dell’inclusività. Dragon Age da sempre è cambiato e si è ripensato, in un modo o nell’altro, introducendo e scartando (a ragione o a torto) elementi considerati di volta in volta più o meno valido. L’eccessiva enfasi sull’azione e le relazioni di Dragon Age 2 era stata frenata in Inquisition, ma sembra voler tornare prepotente in Dragon Age: The Veilguard come testminoniano il gameplay dinamico e il ritorno della ruota delle emozioni.

Dragon Age 2 e Mass Effect insegnano: se gestita bene, la ruota delle emozioni è uno spasso.

Quanto all’inclusività, va sempre considerato che parliamo di un titolo in un uscita nel 2024 e che punta a un pubblico molto ampio e variegato, anche di non appassionati, e che quindi (sempre a torto o a ragione lo diranno i posteri) si gioca le sue carte per raggiungere tanti nuovi giocatori. Si sa da parecchio tempo che questo titolo non sarebbe stato ermetico e, anzi, avrebbe favorito l’ingresso di chi non era troppo familiare con la serie nei primi capitoli. Sarà questo un torto?

Se poi il problema è l’esistenza di Baldur’s Gate 3, perché a quanto pare i giocatori di oggi non possono esimersi dal paragonare ogni cosa, beh… DEO GRATIAS avremo tra le mani due titoli profondamente diversi e spinti da approcci allo sviluppo quasi agli antipodi. Non perché uno sia meglio dell’altro, ma perché è sempre interessante vedere a che risultati porta perseguire vie differenti. E questo, per il giocatori, non è mai un impoverimento quanto piuttosto un valore aggiunto.

Se con Dragon Age: The Veilguard la tanto bistrattata BioWare saprà dimostrare di essere degna dei tempi che furono, ce lo dirà solo il tempo. Nel mentre fasciarsi la testa non serve, anche se è comprensibile che la passione per un brand porti a reazioni piuttosto “focose”, anche quando non si dovrebbe: lo so che volete Leliana e Morrigan (io Hawke e Cassandra), vi capisco. Per tutti gli altri, non resta che incrociare le dita e preparare le armi per difendere quello che resterà (dopo il pasticcio di Solas e soci) del Thedas.

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