Se Final Fantasy di Square è considerato il padre dei moderni JRPG, allora Dragon Quest di Enix va ritenuto a tutti gli effetti il nonno. Pubblicato ufficialmente in Giappone nel 1986 e negli Stati Uniti nel 1989 con il nome Dragon Warrior, il titolo originale della serie fu uno dei primi giochi di ruolo per console a prendere il tanto venerato gameplay di Dungeons & Dragons per convertirlo in un’esperienza videoludica lineare e user friendly, nascondendo il classico lancio dei dadi per mostrarne solo il risultato. La serie conta numerosi esponenti e quest’anno (in Occidente) esordisce su PlayStation 4, Xbox One e prima volta in assoluto PC Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta, capitolo ambientato nel vasto open world di Erdrea forte di una grafica 3D che rende ancora più bella la già lodevole grafica del suo indiretto predecessore, Dragon Quest VIII: L’Odissea del Re Maledetto, e di altri piccoli tocchi a un gameplay oramai consolidato e rappresentativo della serie per renderla accessibile anche alle nuove leve.
Per apprezzare appieno l’impatto e l’importanza di Dragon Quest nell’ambito videoludico occorre guardare allo stato dei giochi di ruolo per console prima del suo debutto: in breve, non ne esistevano di appropriati. Prosperava su computer ma fino a quel momento aveva fallito a passare sui sistemi per TV. Dragon Quest ruppe una barriera che si pensava insormontabile, portando un genere piuttosto elitario a portata di un pubblico più ampio e su una piattaforma più per famiglie – pur con i dovuti limiti tenici. Ciò non vuol dire che non fossero stati fatti alcuni tentativi: D&D esordì su Intellivision di Mattel nel 1983 con Treasure of Tarmin e, ancora prima nel 1979, Warren Robinett si impegnò per snellire l’essenza del dungeon crawaling affinché lavorasse bene con il joystick dell’Atari 2600 e 4K di memoria grazie ad Adventure. A questo si ispirarono dei prototipi di RPG d’azione quali Venture e Tower of Druaga, che cercarono di portare il genere in sala giochi. Lo stesso Druaga inoltre influenzò molto The Legend of Zelda, pubblicato appena pochi mesi prima di Dragon Quest.
Tutti questi giochi, però, si sono presi moltissime libertà con le basi fondamentali dei giochi di ruolo: Venture aveva più in comune con Rally-X che Rogue, e The Legend of Zelda aveva originariamente in programma di debuttare con il baffuto Mario. Dragon Quest si è distinto offrendo la maggior parte degli elementi che gli appassionati più incalliti di RPG per PC consideravano d’obbligo: statistiche, esperienza, aumento di livello, incontri casuali con i nemici, combattimento a turni e un mondo ramificato ricco di PNG che spingevano avanti l’eroe nella sua missione. Titoli come Druaga e Zelda erano privi di questi elementi o li avevano del tutto rimpiazzati, sostituendo i punti esperienza con una progressione del personaggio legata all’ottenimento di oggetti che ne avrebbero migliorato lo status in generale.
Giochi di ruolo nel senso più stretto del termine erano pressoché inesistenti, fatta eccezione per Treasure of Tarmin, che proponeva una versione più sbrigativa del dungeon crawling in prima persona visto in esempi del calibro di Wizardry e The Bard’s Tale: la sua breve missione per uccidere il Minotauro e rivendicarne l’eponimo tesoro poteva essere completata in pochi minuti in base al livello di difficoltà. Perciò Dragon Quest si distinse nonostante la semplicità della trama – il viaggio del cavaliere per salvare la principessa in pericolo e uccidere il Signore del Male – ma se in Giappone su NES fu quello che potremmo definire un “colpaccio”, Nintendo non era altrettanto sicura per quanto riguardava gli Stati Uniti e decise di offrire delle copie gratuite assieme a una corposa guida strategica per incentivare l’iscrizione alla rivista Nintendo Power: questo segnò il primo passo per un grande debutto anche in Occidente, i cui unici beneficiari per molto tempo furono appunto gli USA. Il primo titolo in Europa uscì solo nel 2001 e fu lo spin-off Dragon Quest Monsters, al quale seguì nel 2006 Dragon Quest VIII: L’Odissea del Re Maledetto prima che la produzione diventasse più continuativa arrivando alla fine, un anno dopo la pubblicazione in terra nipponica, al tanto atteso Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta.
Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è il degno erede di Dragon Quest VIII
Tenendo fede a uno dei punti chiave della serie, ovvero un protagonista muto di cui possiamo scegliere il nome, il gioco ci mette nei panni di un giovane ragazzo che abita nel semplice villaggio di Roccapietra: ancora non sa di essere il Lucente, l’Eroe destinato a sconfiggere l’Oscurità e proteggere Erdrea da una minaccia silente ma sempre più forte. Quando gli viene rivelata la verità, si mette in viaggio verso il regno di Hellador per chiedere udienza al saggio re Carnelio; giunto al suo cospetto però, il sovrano lo fa incarcerare accusandolo del fatto che la sua nascita porterà inevitabilmente all’avvento del male – perché Luce e Oscurità sono due facce della stessa medaglia – e apostrofandolo aspramente come Figlio dell’Ombra. Inseguito dai migliori generali del regno, l’Eroe stringerà amicizia con i personaggi più disparati (Erik il ladro, Sylvian il circense, le gemelle Veronica e Serena, per citarne alcuni) che lo accompagneranno ciascuno guidato dalle proprie motivazioni e lentamente stringeranno con lui un legame indissolubile fatto di fiducia, speranza, coraggio, in un’epica avventura dalla quale dipendono le sorti dell’intera Erdrea. Il male tuttavia si annida ovunque e non esita a cercare la minima crepa per insinuarsi nell’animo di una persona, cambiandola nel profondo: capire di chi potersi fidare sarà la sfida più ardua alla quale l’Eroe dovrà sottoporsi, perché niente è mai come sembra e la corruzione è un sentiero più semplice rispetto al seguire la retta via.
Chi ha giocato all’ottavo capitolo non sarà sorpreso di fronte alla struttura del gioco. Dragon Quest è una serie fortemente legata alle sue tradizioni e pur avendone la possibilità non ha (ancora) deciso di fare il grande salto che molti RPG hanno compiuto o stanno compiendo orientandosi verso un gameplay più action. Questo non significa però che abbia ripreso in scala 1 a 1 le caratteristiche del suo predecessore e il primo aspetto dove lo si nota è nel mondo esterno: fin dall’inizio è infatti disponibile non solo lo scatto, che ci aiuta a coprire lunghe distanze anche a piedi, ma persino una cavalcatura fissa che può essere richiamata suonando le apposite campane sparse lungo tutta Erdrea. In sella al nostro fido destriero le distanze non saranno più un problema e lanciandoci al galoppo potremmo liberarci in un solo colpo dei nemici più deboli che incroceremo lungo la strada – altro grosso cambiamento, quello dei mostri visibili su schermo, già proposto nella versione 3DS di Dragon Quest VIII. Qualora preferissimo menare le mani, invece, ecco che si presentano alcune interessanti novità per cui vale decisamente la pena spendere due parole: anzitutto, il combattimento a turni resta un aspetto imprescindibile della serie e tale rimane anche qui, ma per renderlo più movimentato in termini di inquadrature possiamo impostare la telecamera dinamica. Non avrà alcun effetto diretto sugli scontri ma ci consentirà di avere una diversa visione dell’area e di muovere i nostri eroi al loro interno come preferiamo quando è il loro turno. Di nuovo, non otterremo alcun vantaggio così facendo ma è una alternativa per approcciare le battaglie e chissà, potrebbe essere un indizio verso un futuro action – sebbene, per chi apprezza il musou, ci siano i Dragon Quest Heroes a sopperire.
Dite addio al vecchio, macchinoso e frustrante sistema di Carica che potenziava i personaggi fino a un massimo di quattro volte ma aveva non pochi effetti collaterali. Square Enix ha optato per una soluzione più morbida: casualmente nel corso dei combattimenti i personaggi diventeranno pimpanti, ciò vuol dire – nonostante il nome un po’ discutibile ma comunque in linea con l’aria cartoonish del gioco – che per diversi turni beneficeranno di bonus ad alcune loro caratteristiche (variano a seconda del personaggio) e saranno in grado di eseguire Attacchi Pimpanti. Trattasi di tecniche difensive od offensive molto più potenti del normale per le quali sono necessari uno o più personaggi pimpanti. Molte di queste sono collegate a un’altra nuova implementazione nella struttura di Dragon Quest: la griglia delle abilità.
Se in passato la distribuzione dei PA era dettata dal caso e dalla speranza, questo sistema molto più affine alla Sferografia di Final Fantasy X o all’Albero dei Talenti di Final Fantasy XV ci permette di crescere a piacimento il nostro personaggio assegnando PA a una delle sue diverse caratteristiche – anche qui, alcuni tratti sono in comune ma per la maggior parte variano a seconda del personaggio. Sbloccare nuove tecniche o incantesimi ha anche un diretto effetto sugli Attacchi Pimpanti, perché potremmo ottenerne di nuovi. Un ultimo ma cruciale dettaglio sul combattimento riguarda la squadra di riserva: se il nostro quartetto principale dovesse essere messo al tappeto non temete il game over, perché qualunque altro personaggio di riserva li sostituirà dandovi una possibilità in più per prevalere sul nemico.
Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è un inno ai JRPG vecchia scuola
Ogni buon avventuriero sa però quando è il momento di prendersi una pausa e cercare un posto dove accamparsi: altra aggiunta all’equazione, gli accampamenti sono il punto di ristoro dove potersi riposare e far trascorrere il tempo, fare acquisti dal mercante itinerante che sa bene quanto si guadagni a seguire un manipolo di eroi, chiacchierare con i compagni, beneficiare dell’intercessione divina grazie alla statua della dea (utile a salvare partita) ma soprattutto, ed ecco l’ennesima novità di un pacchetto già molto corposo, elaborare personalmente il vostro equipaggiamento. Facile da imparare ma difficile da padroneggiare, la Forgia da Viaggio va a sostituire il Pentolone Alchemico di Dragon Quest VIII affidando la produzione di oggetti alla vostra competenza, posto abbiate raccolto il materiale necessario: il vostro livello di fabbro sale di pari passo con il livello giocatore e può aumentare la Concentrazione massima dell’Eroe o fargli apprendere nuove tecniche di forgiatura – o magari entrambe le cose. Serve buon occhio e una certa capacità gestionale per costruire l’oggetto necessario, perché la Forgia è soggetta a diverse condizioni e ogni equipaggiamento richiede una lavorazione propria. Imparate in fretta come usare i punti Concentrazione per evitare di veder sprecato il vostro prezioso materiale e se per caso la realizzazione non dovesse essere perfetta, non preoccupatevi, potete sempre rielaborare l’oggetto consumando perle del perfezionista: il fallimento, in questo caso, comporta solo la perdita delle perle ma non dell’oggetto in questione. Per ottenere nuove ricette sfogliate i libri dalla copertina rossa che troverete sparsi ovunque. Non tutti le conterranno ma vale la pena tentare perché molti equipaggiamenti leggendari li otterrete solo leggendo.
Tecnicamente, Dragon Quest XI è ineccepibile. Il framerate è sempre stabile e, che lo apprezziate o meno, non è possibile pensare un titolo della serie privo del tocco di Akira Toriyama: il suo stile è perfetto per passare da momenti allegri e spensierati a toni molto più seri, e per quanto le ambientazioni a volte pecchino di originalità è tutto così incredibilmente bello e vasto che possiamo perdonare questo piccolissimo inciampo. Mare, cielo, terra. Nulla è più fuori dalla nostra portata e con la possibilità ora di saltare, arrampicarsi, scalare con la corda, l’intera Erdrea guadagna una verticalità che non si era mai vista prima in un Dragon Quest. Se a questo aggiungete la mole di contenuti che occuperanno il nostro tempo (sulle 60 ore andando piuttosto di fretta) accanto alla storia principale, ma soprattutto l’immenso post-game che segue il finale un po’ dolceamaro dell’avventura, siamo davvero di fronte a un’esperienza su larga scala che vi porterà via almeno cento ore.
Menzioni finali e speciali per la colonna sonora, ancora una volta in MIDI (a eccezione dell’opening) e pronta a regalarci motivetti ispirati seppur non in gran numero, e la localizzazione italiana: il doppiaggio inglese raccoglie diverse cadenze e slang che la traduzione ha reso ottimamente attingendo ai nostri dialetti, rendendo la fruizione ancora più divertente senza appesantire la trama. Servono davvero altri motivi per andare dal vostro rivenditore di fiducia e ordinare una copia del gioco?
Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta ci è piaciuto tantissimo quando è uscito su PS4 ad agosto 2018, e i motivi li potete leggere nella conclusione della recensione originale. Ma, come di rado accade, l’approdo su Nintendo Switch lo ha reso ancora di più, se possibile, stupendo, e non solo per l’ovvia ma sempre graditissima possibilità di giocarlo in mobilità (e quando si parla di 70, 90, 100 ore di gioco, non è un fattore da sottovalutare). Togliamoci subito il sassolino dalla scarpa: i limiti tecnici della console di Nintendo ci sono e si vedono tutti, con un comparto grafico più povero di dettagli, soprattutto nelle texture ambientali (erba ed elementi sullo sfondo in primis), e un sistema di illuminazione al ribasso. Anche lo splendore dello stile grafico, ammirato su PS4, qui appare più pallido, più opaco. Insomma, non che fosse un campione di tecnologia, ma lo stile artistico, davvero irresistibile, non fa la stessa bella figura su Switch. Al contempo però, le novità introdotte giustificano non solo l’attesa, per chi sapeva sin da subito di volerlo giocare in handheld, ma anche un eventuale riacquisto per i super-fan: combattimenti più veloci che eliminano la noia legata al grinding, il Martello della Forgia (per il crafting) e il cavallo sempre a disposizione (grazie a un comodo menù, senza il bisogno di tornare in città, per il primo, o ai falò per il secondo), l’audio sia inglese che giapponese, la colonna sonora in versione orchestrale, ma soprattutto, una modalità 2D in 16 bit (precedentemente esclusiva della versione 3DS, uscita solo in Giappone), che offre un’esperienza del tutto nuova anche a chi lo ha già divorato su PS4, nonostante luoghi, vicende e personaggi siano sostanzialmente gli stessi (ma i livelli, ad esempio, sono meno dispersivi e più fruibili), ma che non è attivabile in qualsiasi momento (come invece succede, ad esempio, nei recenti remake di Wonder Boy). Insomma, Dragon Quest XI è imperdibile anche e soprattutto su Switch: chiudendo un occhio sul comparto tecnico, ludicamente parlando è di sicuro la migliore, la più ricca, la più completa. Testo versione Nintendo Switch a cura di Icilio Bellanima |
La versione Xbox Series X, chiamata Dragon Quest XI S: Echi di un’Era Perduta – Edizione Definitiva, è quanto di meglio si possa desiderare per il gioco; fermo restando che si tratta, in buona sostanza, di un porting della versione Switch e quindi la qualità complessiva dell’immagine sottostà a minuscoli compromessi, in termini di contenuti ha tutto, con l’aggiunta di una grafica ripulita e il framerate portato a 60fps pressoché costanti. Senza troppi giri di parole, il gioco non è mai stato così bello, in particolare adesso che le schermate di caricamento sono quasi inesistenti grazie all’SSD interno di Xbox Series X. Come suggerisce il nome stesso, è l’esperienza definitiva di Dragon Quest XI, perfetta per chi a suo tempo non ha giocato l’originale e forte sia dei nuovi contenuti sia delle migliorie alla qualità della vita. Il salto visivo dentro la next gen è incredibile, gli effetti di luce affascinanti mentre il cel shading fa sempre un ottimo lavoro nel raffigurare lo splendido mondo di gioco. A Dragon Quest XI mancavano, se così si può dire, una grafica portata oltre il livello massimo e un frame rate granitico: l’edizione next gen si occupa di entrambi gli aspetti, elevando ancora di più un gioco di per sé già sul confine della perfezione. Se avete il Game Pass, cosa state aspettando ancora? Testo versione Xbox Series X a cura di Alessandra Borgonovo |
Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è un inno ai JRPG vecchia scuola, con i giusti tocchi più moderni per non sembrare troppo datato – a partire da una grafica 3D che si sposa perfettamente con lo stile di Akira Toriyama, valorizzandone l’iconico design senza privarlo della sua identità, e un ottimo doppiaggio inglese. Porta avanti l’eredità di Dragon Quest VIII: L’Odissea del Re Maledetto, ancora adesso uno fra i migliori esponenti del genere, e chi ha avuto modo di provarlo ai tempi su PlayStation 2 (o più recentemente su Nintendo 3DS, che abbiamo recensito qui) noterà con piacere le novità volte a rinfrescarne la struttura. Dalla meccanica dei personaggi pimpanti, uno stato alterato che va a sostituire la vecchia e macchinosa carica, fino alla possibilità di utilizzare il team di riserva nel caso quello principale dovesse essere sconfitto; lo scatto e l’utilizzo di una fidata cavalcatura fin dall’inizio dell’avventura, che rendono Erdrea un mondo più piacevole da esplorare; l’inedita scacchiera delle abilità, grazie alla quale lo sviluppo dei personaggi è più personale e meno affidato al caso rispetto alla precedente e fortunosa distribuzione dei punti nelle classi; la Forgia da Viaggio, perfetta per gli avventurieri itineranti e ottimo sostituito del Pentolone Alchemico, anch’esso troppo affidato al caso e dai tempi eccessivi. Questi e altri aspetti concorrono a rendere evidente il passo avanti della serie a chi già ne conosce il caposaldo ma al contempo fanno di Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta un eccellente titolo di partenza per chiunque approcci la serie per la prima volta. La difficoltà è personalizzabile fin dall’inizio attraverso diverse opzioni ma scegliendo di rimanere su quella standard ci si troverà di fronte una sfida impegnativa senza per questo essere proibitiva o domandare un grinding eccessivo, nonostante l’allenamento intensivo rimanga una fra le caratteristiche principali della saga. A lungo andare si sente un po’ il peso degli eccessivi caricamenti fra una zona e l’altra, in termini di quantità e non di lunghezza, che potrebbero essere snelliti senza necessariamente rendere il gioco un open world senza soluzione di continuità al pari di Final Fantasy XV o The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Allo stesso modo, la scelta di mantenere la colonna sonora MIDI potrebbe non piacere a tutti e con il passare del tempo accusa una certa ripetitività, ma sono entrambi difetti che non vanno a minare le solide basi su cui si appoggia il nuovo titolo della saga. Proprio come il già menzionato The Legend of Zelda, Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è il viaggio dell’eroe nella sua accezione più lineare – iniziamo il nostro viaggio, cadiamo e ci rialziamo per diventare chi eravamo destinati a essere – ma è tutto quello che sta nel mezzo a valorizzare un tropo alla base di tutte le narrazioni fantastiche. Non potevamo chiedere un capitolo migliore. |