Drakengard 3 è sviluppato da Access Games e pubblicato da Square-Enix che da tempo, ormai, cerca di esportare IP tipicamente adatte ad un pubblico giapponese anche sul mercato europeo. Tra uno stile visivo cupo e triste ed un eloquio volgare ed irriverente, il titolo si fa riconoscere già dai primi minuti di gioco, ma non tarderete a definire ripetitivi sia lo stile di gioco che gli scarni ambienti che caratterizzano l’intero lavoro videoludico svolto dal team nipponico. Creato dagli stessi sviluppatori dei primi due capitoli, nonché dello spin-off Nier, possiede alcuni degli elementi distintivi, tra cui, primo su tutti, il design dei personaggi affidato a Kimihiko Fujisaka, storico character designer del primo Drakengard e di titoli altrettanto importanti come The Last Story. Tralasciando, però, l’impatto visivo dato dai personaggi e molecolarizzando il titolo per analizzarne gli elementi, infine resta ben poco. Se i protagonisti ci appaiono discretamente dettagliati, il resto si amalgama in un frustrante nulla. Tuttavia, andiamo a vedere insieme nel dettaglio il motivo per cui Drakengard 3 non spicca e rimane in quell’alone di mediocrità ninfatica che lo permea e lascia inespresso il suo grosso potenziale.
Drakengard 3 si pone come prequel al gioco originale uscito nel lontano 2003. Nonostante il titolo voglia strutturarsi come un’opera che dovrebbe narrare fatti antecedenti al primo capitolo, questo terzo episodio lo si può giocare anche senza essere degli intenditori della serie, poiché racconta una storia di per sé indipendente dal resto e sono comunque pochi gli elementi narrativi che fanno intuire i collegamenti con gli altri capitoli.
Il gioco si concentra sulla storia di sei sorelle chiamate “Intoners”, creature che in un momento di tumulto e disperazione del mondo si sono palesate ai mortali e li hanno salvati dall’oscurità, dalle carestie e dalle guerre, inaugurando un periodo di pace senza precedenti. Ma questo è solo l’incipit, poiché la benevolenza delle Intoners nasconde macchie oscure di cui noi, inizialmente, non siamo a conoscenza. Dopo un breve filmato introduttivo realizzato con una tecnica a dir poco deliziosa che richiama le miniature medievali trecentesche, ci viene presentata la nostra protagonista, Zero. Questa ragazza, capace di stupire e far rabbrividire la più divina delle spadaccine, si mostra a noi in un trionfo di violenza gratuita, con uno spargimento di sangue così eccessivo da renderci dubbiosi sulla quantità di plasma contenuta in un corpo umano. Non possiamo fare a meno di notare la somiglianza tra il video iniziale di Drakengard 3 e quello di Lightning Returns: Final Fantasy in cui Lightning saltava a destra e sinistra tranciando qualsiasi cosa le capitasse a tiro.
Zero è una delle Intoners, ma si caratterizza immediatamente nel suo essere ribelle, folle e mossa dall’unico desiderio di uccidere le altre sue simili. Per far ciò, chiede aiuto al suo drago Michael, ma entrambi si scontreranno con il potere delle sorelle e ne usciranno tremendamente sconfitti. Così, dopo un lungo periodo di convalescenza, Zero decide che è tempo di riprendere la sua crociata e riparte alla carica, accompagnata dal nuovo piccolo drago Mikhail, reincarnazione del suo precedente compagno. Naturalmente, Mikhail è ancora un cucciolo e Zero, spesso e volentieri, si ritroverà a dovergli fare da balia tra uno scontro e l’altro, al fine di addestrarlo nella lotta contro tutto ciò che si oppone al loro scopo comune. Il rapporto tra i due offre dei siparietti in puro stile commedia manzai e mancano solo gli schiaffi con l’arisen per sottolineare il tipo di comicità giapponese che permea i vari intermezzi con cui è raccontata la storia. Nonostante siano estremamente sboccate e volgari (in una scena, Mikhail ha paura di Zero e si urina addosso, inondando un laghetto di montagna, ndr), le scenette spezzano la drammaticità e la violenza e strappano qualche sorriso, facendo dimenticare per un attimo lo scarso spessore del titolo.
Ugualmente esilaranti sono i dialoghi con i vari discepoli che incontreremo durante l’avventura. Ogni sorella che andremo a sconfiggere avrà con sé un discepolo che noi avremo cura di prendere sotto la nostra ala protettrice. Il più delle volte, però, questi discepoli sono tipi strambi, bizzarri, a metà tra l’ironico ed il tragico e di certo non li si può definire con il termine “sano di mente”. Spesso saranno dediti al sadomasochismo, oppure avranno dei gravi problemi con la sessualità o con le dipendenze. Molti discorsi tra Zero e i discepoli fanno dell’attribuzione del PEGI 18 per Drakengard 3 un’attribuzione più che indicata. Naturalmente, onde evitare spoiler, in questa sede non si può discutere dei plot-twist, ma sappiate che questo terzo capitolo non ne è sprovvisto e, almeno la storia, vi darà qualche piccola e sporadica emozione.
Drakengard 3 si presenta come un hack n’slash ruolistico, paradossalmente simile a titoli come Devil May Cry e Bayonetta (perdonate l’azzardo, ndr), in cui dovremo spostare Zero lungo eterni corridoi colmi di nemici. La noia regna sovrana dopo pochi minuti, in quanto il lavoro di level design è quasi assente o scadente. Gli stage si compongono di un unico grande corridoio senza bivi, svolte o strade alternative e i livelli di dettaglio sono a dir poco imbarazzanti, così come è imbarazzante la totale ripetitività delle cose che potremo fare con la nostra protagonista. Zero possiede due modalità di attacco: una semplice, in cui potrà utilizzare svariate armi, ed una in cui, una volta trasformata in Intoner, avrà forza e velocità aumentata per un breve periodo di tempo. Quando combatte senza far ricorso ai suoi poteri paradivini, potrà ricorrere a diversi tipi di arma, tra cui la lancia, le daghe, i chakram e i combat bracers.
Ogni arma ha la sua utilità specifica e sarà indicata per certe determinate situazioni: ad esempio, nonostante le spade possano essere molto forti, la lancia ha la capacità di rompere barriere e scudi con più facilità. Naturalmente, Zero potrà compiere attacchi leggeri, attacchi pesanti e combo devastanti che diventano sempre più lunghe e complesse man mano che capiremo come cambiare arma al volo attraverso il menu radiale. Ebbene, durante un combattimento, la protagonista può cambiare arma, selezionandola da un menu che, una volta aperto, rallenta momentaneamente il tempo fino quando non sceglieremo la nuova arma desiderata. Ogni armamento, inoltre, può essere potenziato attraverso l’uso di ingenti somme di denaro e materiali da costruzione. Niente paura, perché il denaro lo si può facilmente raccogliere sul campo, sconfiggendo nemici o distruggendo quelle noiose casse facilmente riconoscibili sul sentiero. Per quanto riguarda i materiali da costruzione, invece, ci sono tre modi per ottenerli: il primo consiste nel comprarli, ma questa possibilità è offerta solo dal terzo atto in poi; il secondo modo è quello di trovarli negli scrigni dorati nascosti nei vari livelli, ma saranno sempre fin troppo semplici da trovare; il terzo modo, infine, è quello di svolgere delle sub-quest assegnate a Zero di tanto in tanto.
Non aspettatevi, però, di trovare qualcuno che vi dia delle missioni da fare. Zero, a parte il suo drago Mikhail ed i suoi discepoli, svolge una campagna in solitaria ed incontrerà solo nemici dalle texture tanto ripetute quanto poco definite. La campagna principale è suddivisa in atti e dura all’incirca una dozzina di ore: seguirà, inizialmente, gli spostamenti di Zero lungo tutto il continente, nelle Terre del Mare, delle Foreste, del Deserto e delle Montagne. A prescindere dalla mancata originalità nell’attribuire i nomi alle varie zone, ogni area corrisponderà alla “casa” di una delle sorelle dell’eroina e sarà composta da un numero variabile di stage fino alla boss fight finale. Se l’obiettivo di Zero è quello di sterminare le sorelle e chiunque vi si frapponga, potete facilmente immaginare la spirale di violenza che ne consegue. Giunti, finalmente, alla boss fight potete tirare un sospiro di sollievo, perché solo in questi casi il gioco si differenzia sensibilmente dalla tanto odiata ripetitività. Le boss fight sono diverse ed ogni boss avrà il suo modo spettacolare per essere ucciso. Si va da un’enorme polpo/crostaceo in un’arena, passando per un castello volante psichedelico che dovremo abbattere volando in groppa a Mikhail.
Sì, il drago lo si può cavalcare. No, non lo si può cavalcare sempre. Potremo usare direttamente Mikhail solo nelle boss fight o in pochissimi stage, ma il più delle volte, agiremo con il drago solo in modo indiretto, ovvero chiamandolo in campo per un’azione rapida. Le volte in cui potremo chiamarlo ad assisterci sono davvero poche e quelle in cui lo useremo direttamente lo sono ancor di meno, almeno fino a quando non crescerà di stazza. Però, l’uso diretto di Mikhail ripaga e lo fa ad ogni sua mossa. Ad ogni modo, se volete approfondire l’esperienza con Drakengard 3, sappiate che nel titolo ci sono anche delle specie di sub-quest che verranno assegnate “via posta”, ovvero, ogni tanto verranno sbloccate delle voci nel menu di selezione del capitolo e ci verranno notificate attraverso la scritta “New” accanto alla lista delle side quest.
Tuttavia, se non avete davvero necessità di dover potenziare un’arma o di far qualche soldo, le missioni secondarie sono assolutamente inutili e consistono nello stesso quadro ripetuto più e più volte in cui a cambiare è solo la ricompensa finale. Principalmente, ci sono tre tipologie di missioni secondarie: la prima consiste nell’abbattere un numero definito di nemici entro un tempo prestabilito, la seconda consiste nel dover aprire tre casse sparse per il livello e collezionare gli oggetti richiesti, la terza, infine, è una missione appositamente creata per ricavare moneta sonante in quanto è strutturata a tempo e fino allo scadere del timer dovremo colpire il più possibile un boss per accumulare denaro ad ogni colpo. Ma a prescindere da queste elementari tipologie di missione secondaria, esse si compongono solo di uno stage, eventualmente già visto in precedenza, che non trasmetterà emozioni e non darà nulla di nuovo all’esperienza della campagna principale. Una utilità per le side-quest, se proprio la si vuol trovare, è quella di sperimentare le varie combo e le nuove armi.
Se non fosse già abbastanza l’inutilità e la pochezza del gameplay, di certo l’impatto grafico non aiuta a migliorare la sensazione di voler spegnere la console per andare a farsi un giro. L’assoluta mancanza di dettaglio grafico, la povertà delle texture e l’assenza di un level design che ci lasci un qualche tipo di libertà rende Drakengard 3 un titolo davvero troppo approssimativo. Terminata la grafica mozzafiato, l’azione brutale e l’onnipotenza incarnata nel filmato CGI iniziale, comincia il gioco vero e proprio e l’impatto con la grafica del gameplay è davvero duro da sopportare, con modelli poligonali dei nemici sono spesso ripetuti e variano solo di qualche dettaglio, ed anche se l’azione è frenetica, tutto ciò lo si può chiaramente notare subito. L’intero gioco diviene un’enorme corsa verso il finale perché, salvo le Boss Fight che offrono un minimo di varietà e sono oltremodo graficamente curate, ogni stage è così noioso da provare quasi un senso di frustrazione nel non poter saltare certe parti e arrivare subito alla conclusione dell’atto in corso.
Come già accennato in precedenza, il character designer Kimihiko Fujisaka è riuscito a dare un relativo spessore ai personaggi principali e il loro carattere, paradossalmente, viene richiamato anche dai loro costumi. Una delle sorelle Intoner “vergini”, ad esempio, ha un look molto più castigato rispetto all’altra sorella sadomasochista che, al contrario, risulta quasi svestita. La scelta di puntare molto sulla nudità, sull’umiliazione e su temi molto piccanti fa sì che Drakengard 3 sembra volersi ingraziare quel pubblico di otaku che apprezzano l’hentai. Però, vista la mancanza di un dettaglio grafico di background, vedremo solo dei personaggi vestiti in modo hot che si muovono in ambienti scarni e per nulla caratterizzati. Simili cose non le si vedevano dai tempi della PS2.
Anche le animazioni sono tristemente arretrate. Zero si muove fluida sul campo e quando si trasforma in una Intoner regala sbrilluccicanti petali rosa da far impallidire Sailor Moon, però, nel momento in cui ha bisogno di “cavalcare” Mikhail preferireste non dovervi esprimere mai a riguardo del trauma che proverete: l’animazione del drago è davvero umiliante da vedere. Le sue ali sembrano fatte di carta velina mossa dal vento e la coda pare avere una vita a parte rispetto a quella del nostro compagno draconico. E non si può nemmeno dire che la colonna sonora riesca a compensare le mancanze di giocabilità e grafica, poiché anche qui, a parte il tema principale relativamente apprezzabile, con le canzoni principali “Kuroi Uta” di Eir Aoi e “The Silence is Mine” di Chihiro Onitsuka, il resto del titolo non è caratterizzato da un accompagnamento notevole o appagante. Seppur curato dal team creativo MONACA, il sonoro non riesce ad integrarsi a pieno con le dinamiche del gioco, i video e le atmosfere così povere.
In conclusione…
Drakengard 3 ci appare essere un titolo fin troppo approssimativo, nonostante il potenziale che avrebbe potuto mettere a frutto. Contrariamente al fiore nell’occhio della protagonista, il titolo non sboccia mai e non eccelle in nessun campo, anzi, scivola spesso nella mediocrità, lasciando l’amaro in bocca. A poco servono le battute in stile commedia manzai che, pur volendo spezzare le atmosfere con una “sana” risata, non distolgono l’attenzione dalle mancanze del gioco. È un titolo che potrebbe piacere agli amanti della serie, ma solo per vedere quanti collegamenti nascosti ci sono con i capitoli precedenti, tuttavia per i neofiti è difficile da consigliare, a meno che non siano alla ricerca di un titolo indefinito in cui l’unico obiettivo nonsense è quello di essere brutale per ore ed ore, tra noia e sangue digitale. Ci si aspettava un lavoro migliore da parte di Access Games, ma hanno voluto optare per delle scelte grafiche e stilistiche che lasciano l’amaro in bocca e non fanno di Drakengard 3 un titolo sinceramente apprezzabile.
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