Dopo quattro generazioni di console e più di 20 anni di onorato servizio, il DualShock va in pensione. Il design e la concezione del DualShock 4, lo scettro del potere di PlayStation 4, lasciava già presagire una lieve deviazione dal tracciato, complice un touchpad più invasivo ma così comodo e utile, quasi ormai irrinunciabile, concretizzatasi poi con il primo reveal ufficiale di PlayStation 5 (a questo link, tra l’altro, trovate la recensione della nuova console Sony). DualSense il nuovo nome, a metà tra vecchio e nuovo, un po’ come il design stesso di questo piccolo, grande accessorio, che contribuisce e non poco a farci sentire ancor di più la “next-gen”.
Rispetto al predecessore, appare infatti familiare, e al contempo nuovo e stiloso, con la doppia colorazione che richiama la console; il grip sul retro composto da minuscole icone di PlayStation; la parte dorsale più tonda e armonica. In generale è una periferica più robusta, oltre che leggermente più pesante, fattore che gioca e non poco a favore della sensazione di solidità e alla qualità dell’impugnatura, meno stancante per la mano. Le levette analogiche sono sempre al loro posto, simmetriche, così come le frecce direzionali e gli intramontabili triangolo, cerchio, croce e quadrato. A colpire, di quest’ultimi, è la plastica trasparente che ne ricopre la superficie, finezza estetica che lascia intravedere i disegni sul fondo del bottone e, per gli iconici simboli, l’abbandono degli altrettanto iconici colori, in favore di un grigio più discreto ed elegante.
Posizione del tasto PS, ancora una volta composto dal logo PlayStation, e degli speaker, ereditati dal DualShock 4, restano inamovibili, così come l’ingresso per le cuffie (via jack 3,5mm), ma il tasto ora presenta una raffinata sagomatura, e l’altoparlante, nonostante una fila in meno di fori, ci è parso già da ora in grado di offrire effetti sonori più potenti e cristallini (perlomeno nei – pochi – titoli next- gen provati finora), contribuendo e non poco all’immersione.
Non mancano le novità, comunque, a partire dal microfono integrato, attivabile e disattivabile a piacimento, quasi a ribadire il focus sempre maggiore rivolto ai party e all’interazione social con i propri amici tramite PlayStation. Sempre sulla parte frontale ci sono la nuova versione del touchpad, che prende il led dorsale del DualShock 4 e se lo posiziona intorno ai bordi come se fosse una sciarpa, mantenendo comunque il suo scopo di rappresentare tramite i colori il cambio di giocatore in couch co-op, o di status di salute del protagonista (ove supportato). Non mancano ovviamente il tasto “Start”, ribattezzato prima “Options” su PlayStation 4, e ora rimpiazzato da tre piccole linee, similmente a quanto fatto da Microsoft, a voler evocare meglio il concetto di “menù”; e il tasto “Crea”, ex tasto “Share”, il cui simbolo ricorda un’idea che si accende come una lampadina. Entrambi, duole dirlo (soprattutto se avete dita abbastanza grandi), persino più piccoli di quelli del predecessore, ma comunque solidi.
La novità e la migliorie più gradite riguardano però indubbiamente i grilletti e l’interno, fiori all’occhiello di un redesign anche e soprattutto squisitamente tecnologico.
Parliamo prima dei tasti dorsali e dei grilletti: sia L1 e R1 che L2 e R2 sono più larghi e comodi da premere, ma se i primi si sviluppano maggiormente in lunghezza, i secondi risultano lievemente più corti rispetto al passato, ma resta comunque comodo e piacevole premerli. È però la loro nuovissima natura adattiva il vero game changer, in tutti i sensi. Al contrario di quelli dei classici controller, i grilletti del DualSense restituiscono alla categoria tutta l’importanza che meritano, alla luce del loro ruolo sempre più prominente nei control scheme di praticamente ogni titolo, una scelta che si traduce in un approccio completamente nuovo al concetto di immersività.
La vibrazione non si propaga più in maniera uniforme, ma è legata a doppio filo a ciò che accade su schermo
Se a controller spento non noterete troppe differenze, è da acceso che avrà inizio la magia, con la sua attivazione contestuale in base non solo al gioco in funzione, ma persino alle singole azioni. Ora i grilletti possono infatti esprimere diversi gradi di resistenza, rendendo così più ardua la pressione, e restituendo in un modo tutto nuovo la sensazione di compiere anche fisicamente, non solo digitalmente, l’azione virtuale. Un esempio lampante lo abbiamo vissuto grazie ad Astro’s Playroom, poco indicativo dell’applicazione comune dei grilletti adattivi, trattandosi di una tech demo pensata per sprigionare tutta la potenza del DualSense, ma che comunque lascia ben sperare per il futuro della tecnologia (a patto che gli sviluppatori in primis si prendano la briga di sfruttarla pienamente). Nell’area “Fonti Raffreddanti”, in uno dei livelli ci viene chiesto di entrare in una sorta di robot dotato di molla, il cui movimento va impartito premendo con forza su dei grilletti più duri e resistenti del solito, proprio per restituire l’idea di premere una molla, e inclinando il controller, una soluzione che sfrutta anche i sensori di movimento (già presenti nel DualShock 4 ma ancor più precisi, e si spera, sfruttati), lo speaker (che nel caso specifico produce un cigolio metallico) e l’altro fiore all’occhiello del nuovo controller di PlayStation 5, ovvero il feedback aptico, che rimpiazza i classici, “vecchi” motori di vibrazione con un feedback più dinamico, realistico e coinvolgente.
La vibrazione infatti non si propaga più in maniera uniforme, ma è legata a doppio filo a ciò che accade su schermo, andando a contribuire e non poco all’immersione: gli attuatori doppi consentono infatti di trasmettere vibrazioni di varia intensità verso ogni punto del DualSense, anche singole aree centralizzate dei grilletti, regalando così maggior credibilità alla vibrazione stessa, ma anche all’azione che si compie su schermo (in particolare gli amati/odiati Quick Time Event, che spesso provano a riprodurre gesti di intensità sovrumana ma senza un feedback fisico convincente come dotazione).
Ecco quindi che la vibrazione si fa sempre più intensa avvicinandosi a una ventola di areazione, o che riproduce la propagazione dell’acqua quando ci si immerge, o ancora, che cambia modulazione quando si passa da una superficie più morbida (come la sabbia) a una più solida (come legno o metallo), o che parte da un tasto specifico del DualSense, soprattutto quando esprime un’azione fisica (come un pugno, o uno sparo), e si diffonde fino ad affievolirsi andando verso l’esterno della periferica. Piccoli dettagli, beninteso, accentuati dal già citato Astro’s Playroom ma che, seppur in forma minore, abbiamo riscontrato anche in una produzione più grande e classica come Spider-Man: Miles Morales, e in particolare nelle cutscene, come il solletichio generato dall’elettricità quando compare su schermo.
Il DualSense, insomma, è un vero e proprio gioiello di tecnologia, che mantiene un perfetto equilibrio, a partire dal nome, tra la sua natura familiare, con feature già viste e apprezzate in passato, e un approccio all’esperienza videoludica non del tutto inedito, ma assolutamente coinvolgente e da cui è impossibile tornare indietro.
Il dubbio maggiore resta l’effettivo e concreto utilizzo: al momento di scrivere non ci è stato ancora possibile testarlo con giochi come Demon’s Souls, previsto al lancio, o a Deathloop, in arrivo l’anno prossimo, produzioni più hardcore in cui i trigger adattivi, è stato promesso, troveranno il loro spazio (si inceppa l’arma? Anche la corsa del grilletto si bloccherà a metà, ad esempio). Se i punti di forza del DualSense (che nonostante tutto gli permettono di mantenere una longevità della batteria in linea con quella del DualShock 4, 6-8 ore) non saranno meri gimmick ma diventeranno parte integrante dell’esperienza, la next-gen di Sony ha un asso nella manica assolutamente da non sottovalutare.
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